peer gynt
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domenica 9 agosto 2020
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un pretenzioso contenitore di banali aforismi
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Forse Sorrentino si crede il Thomas Mann del cinema, visto che riunisce un paio di protagonisti a parlare di arte e vita nello stesso luogo di quel romanzo (il Berghotel Sanatorium Schatzalp). Ma ancora una volta dimostra invece di essere un cineasta (tecnicamente bravo, non si discute) che vende "arte". Sa che c'è chi la compra e lui la vende, da buon affarista. Sa curare come pochi fotografia e colonna sonora, ci mette dentro attori internazionali che sono un pezzo di storia del cinema (Caine, Keitel, Fonda) e che reciterebbero bene anche l'elenco del telefono. E fin qui il tutto potrebbe anche starci. Poi, però, Sorrentino ci mette dentro anche del puro e genuino "Sorrentino touch", e qui casca l'asino.
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Forse Sorrentino si crede il Thomas Mann del cinema, visto che riunisce un paio di protagonisti a parlare di arte e vita nello stesso luogo di quel romanzo (il Berghotel Sanatorium Schatzalp). Ma ancora una volta dimostra invece di essere un cineasta (tecnicamente bravo, non si discute) che vende "arte". Sa che c'è chi la compra e lui la vende, da buon affarista. Sa curare come pochi fotografia e colonna sonora, ci mette dentro attori internazionali che sono un pezzo di storia del cinema (Caine, Keitel, Fonda) e che reciterebbero bene anche l'elenco del telefono. E fin qui il tutto potrebbe anche starci. Poi, però, Sorrentino ci mette dentro anche del puro e genuino "Sorrentino touch", e qui casca l'asino. Qui si rivela l'inconsistenza (a mio parere) di questo cinema. Facciamo soltanto un accenno a tre scene che il regista ha ritenuto di grande effetto e che a noi sono sembrate pretenziose e talvolta addirittura imbarazzanti: Michael Caine che dirige le mucche sparpagliate sul prato, Harvey Keitel che filosofeggia sulle due visioni (vicino e lontano) del cannocchiale panoramico, il mare d'erba pieno di tutte le attrici dirette da Keitel che ripetono come un mantra la propria miglior battuta. E' il solito Sorrentino, che fellineggia pallido e assorto (ma lasciamo stare una buona volta il povero Fellini: il suo stile sta bene solo nei suoi film, fuori dai quali diventa maniera), che crea macchiette grottesche e inutili (due su tutte: la grassissima parodia di Maradona col tatuaggio di Karl Marx e il bonzo che levita), che infarcisce il film di aforismi profondissimi (in realtà di una banalità sconcertante: eccone uno del regista interpretato da Keitel: "Sai, credo proprio di aver capito una cosa, Fred: le persone o sono belle o sono brutte, in mezzo ci sono solo i carini").
E poi ci sono quegli elementi ficcati dentro a forza senza un motivo reale, giustificato dalla storia, ma così, perché fa tanto "grande bellezza": anche qui due fra i tanti, Miss Universo che va in piscina nuda davanti ai due vecchi protagonisti ammirati, e la povera Venezia con i suoi ponti, canali, campanili e la tomba di Stravinskij.
Insomma, sembra buon cinema, ma non lo è.
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alejazz
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lunedì 4 marzo 2019
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la giovinezza appartiene solo al passato?
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Fred (Michael Caine) e Mick (Harvey Keitel) sono ospiti di una struttura alberghiera situata presso le Alpi svizzere, un luogo ideale per riposarsi, riflettere o dedicarsi a qualcosa di importante e impegnativo. Sono avanti con l’età per cui i primi esami sul loro trascorso cominciano a presentarsi. Il primo è oramai rassegnato alla vecchiaia, convinto di avere acciacchi (es. problemi alla prostata) disseminati nel corpo, il secondo invece punta tutto sul suo probabile ultimo film.
Mentre il tempo scorre, essi sono circondati da giovani che invece hanno voglia di fare, sono spensierati e vivono senza tante preoccupazioni.
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Fred (Michael Caine) e Mick (Harvey Keitel) sono ospiti di una struttura alberghiera situata presso le Alpi svizzere, un luogo ideale per riposarsi, riflettere o dedicarsi a qualcosa di importante e impegnativo. Sono avanti con l’età per cui i primi esami sul loro trascorso cominciano a presentarsi. Il primo è oramai rassegnato alla vecchiaia, convinto di avere acciacchi (es. problemi alla prostata) disseminati nel corpo, il secondo invece punta tutto sul suo probabile ultimo film.
Mentre il tempo scorre, essi sono circondati da giovani che invece hanno voglia di fare, sono spensierati e vivono senza tante preoccupazioni. Ma la giovinezza appartiene solo al passato o può ripresentarsi anche quando si è in età avanzata?
Paolo Sorrentino ci regala un altro bel film dopo il successo hollywoodiano de La Grande Bellezza. Ha voluto porre un confronto di visioni della vita da parte dei giovani e dei meno giovani; quest’ultimi in particolare, lasciandosi alle spalle una buona fetta di passato, vivono ciò che resta con apatia e rammarico per le cose non fatte durante la loro giovinezza. Il giovane ha voglia di imparare e conoscere il nuovo, l’anziano che già sa e conosce utilizza la sua esperienza per aiutare il giovane.
Riprendendo una scena del film si può affermare che “I giovani vedono il futuro vicino, gli anziani vedono il passato lontano”
La giovinezza è dunque la protagonista indiscussa del film e appartiene al presente o al passato di ciascun personaggio. Figure eterogenee condividono lo stesso ambiente; il monaco tibetano che sin da giovane e per tutta la sua vita se ne sta in silenzio a meditare e a levitare (riuscendo alla fine). Vi è poi Maradona che paga gli effetti devastanti di una gioventù vissuta tra la fama, i vizi e le sostanze proibite. E infine la giovinezza rappresentata in carne ed ossa attraverso la bellezza di Miss Universo (Madalina Diana Ghenea) che incanta giovani e non.
Oramai Sorrentino ci abitua a film dove i coprotagonisti sono la scena e il momento; per questo motivo anche in “Youth” la fotografia ha un ruolo cruciale attraverso delle figure che restano immobili il regista napoletano riesce a descrivere con precisione i momenti trasformando realmente il video in una foto; ciò merito anche di un ritmo abbastanza lento che concede allo spettatore il tempo sufficiente per metabolizzare l’emozione che si vuole trasmette.
Infine, indiscusse le interpretazioni di tutti i principali attori. In particolare Rachel Weisz è riuscita a dare il giusto pathos al suo monologo fatto al padre durante la seduta di fango.
Consigliato: Sì a pubblico +13
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ambra
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venerdì 21 dicembre 2018
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titolo azzeccato. tutto molto curato.
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Youth: sa parlare di emozioni, curate in ogni dettaglio, dalla scelta del luogo, al ruolo dei personaggi ed al senso che hanno avuto del corso dei secoli, della bellezza dell’arte e delle sue forme, interpretazione eccellenti, tutto azzeccato, colori, costumi, musiche, sequenza cronologica, la sospensione e il piacere, il desiderio, la paura, la vita e la routine, il tradimento del romanticismo, ma eroismo dello stesso...credo sia un film che piacerà sempre. A me ha emozionato molto. Sorrentino è riuscito a far sì che io seguissi il film fino alla fine, guidandomi verso il finale, tra passato e futuro e le scelte compiute. È riuscito a concludere restando neutrale, parlando della vita. La chiusura finale e la scelta musicale davvero sentimentale.
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dariolodi
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domenica 17 settembre 2017
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dispersivo
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Merita *** soprattutto per l fotografia e per l'ambientazione. La regia è sicura, ma la sceneggiatura regge poco, sviluppandosi, come fa, su più fronti, su più contenuti. Occorre una gran padronanza della storia (che non c'è, sostanzialmente) per renderla davvero interessante. Sorrentino maschera le disuguaglienze concettuali con richiami scaltri, con figure emblematiche, ma sotto si avverte un'incertezza narrativa per le troppe situazioni in ballo. Film crepuscolare con il crepuscolo abilmente dipinto. Attori all'altezza. Notevole la ricerca dell'essenzialità.
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samanta
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sabato 15 luglio 2017
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la pesantezza della giovinezza
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Ho visto il 14 luglio in TV il film Youth (la giovinezza) che è l'l'ultimo film girato da Paolo Sorrentino (successivamente ha diretto la serie TV the young pope) ed uscito nel 2015. Il fim costò 12.300.000 e incassò 24.000.000, incasso insufficiente per la quota relativa alla produzione a coprire le spese, non fu quindi un successo commerciale ed anche da un punto di vista critico ebbe riscontri controversi. La trama: due anziani amici ottantenni Fred Ballinger celebre direttore di orchestra sinfonica e compositore ormai da anni in pensione (Michael Caine) e Mick Boyle (Harvey Keitel) celebre regista che prepara con un gruppo di assistenti il suo ultimo film, sono ospiti di un Hotel di lusso con centro di benessere nelle montagne svizzere.
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Ho visto il 14 luglio in TV il film Youth (la giovinezza) che è l'l'ultimo film girato da Paolo Sorrentino (successivamente ha diretto la serie TV the young pope) ed uscito nel 2015. Il fim costò 12.300.000 e incassò 24.000.000, incasso insufficiente per la quota relativa alla produzione a coprire le spese, non fu quindi un successo commerciale ed anche da un punto di vista critico ebbe riscontri controversi. La trama: due anziani amici ottantenni Fred Ballinger celebre direttore di orchestra sinfonica e compositore ormai da anni in pensione (Michael Caine) e Mick Boyle (Harvey Keitel) celebre regista che prepara con un gruppo di assistenti il suo ultimo film, sono ospiti di un Hotel di lusso con centro di benessere nelle montagne svizzere. Il film inizia con l'incontro di Ballinger con l'inviato della Regina Elisabetta che per il compleannoo del principe consorte vorrebe un concerto diretto dal maestro e con l'esecuzione di un'opera composta a suo tempo dallo stesso "parole semplici" Ballinger rifiuta per motivi che saranno poi svelati: l'opera è stata solo cantata da sua moglie che non c'é più e lui non vuole rovinare il suo ricordo. Nel corso del film vi è la presenza di altri personaggi come la figlia di Ballinger Lena che è anche sua assistente ed è sposata con il figlio di Boyle che proprio in quei giorni la abbandona per una pop star, un un attore di Holliwood Jimmy Tree ( Paul Dano) che studia il personaggio di un film che sarà girato in Germania (poi si scopre che deve interpretare Hitler). Alla fine Boyle dopo che la sua attrice preferita Brenda (Jane Fonda ormai irriconoscibile) attorno alla quale è costruito il film, lo abbandona facendogli presente che è ormai finito come regista e che il cinema non ha più prospettive si suicida davanti all'amico, mentre Ballinger chiariti i rapporti controversi con la figlia decide di dirigere il concerto per la regina. E' un film che rispecchia la decadenza del cinema italiano che sembrava negli ultimi tempi risollevarsi, gli autori sono occupati a contemplare il proprio ombellico senza domandarsi se al pubblico per cui in fondo è creata la pellicola interessi o meno l'ombellico del regista. I personaggi sono delle macchiette tra il farsesco e il grottesco, ma non fanno ridere. L'inviato della regina è lo stereotipo dell'inglese immaginato da uno sceneggiatore senza fantasia, appare fugacemente Miss Universo ospite dell'albergo interpretata da una divetta rumena molto bella che dopo delle brevi battute scambiate con l'attore americano si mostra in piscina completamente nuda (lato A e lato B), presenza inutile nell'economia del film e messa lì per sollecitare le velleità pruriginose degli spettatori. Come un tormentone appare un uomo obeso all'inverosimile con tatuata nella schiena il volto di Karl Marx che a dire dei critici vorrebbe rappresentare Maradona, ma non si comprende la sua presenza, come non si comprende che cosa significhi la strana massaggiatrice di Ballinger. Quanto agli ospiti più che anziani appaiono degli zombie silenziosi intenti a contemplare il vuoto. Oltrututto il film è infarcito dalle visioni oniriche dei personaggi che appaiono delle imitazioni di seconda mano di Fellini, e oltre a infastidire rendono ancora di più difficile la comprensione del film. Qual'é il significato? E' veramente difficile dare una risposta, anche perchè i personaggi del film non sono reali sono pure fantasticherie del regista, personalmente penso che il rimpiangere la giovinezza che non c'é più non distolga dal presente, ogni stagione della vita ha il suo senso che è ben superiore ai problemi della prostata di Ballinger e Boyle che ci affliggono per tutto il film. Ottima peraltro la fotografia e induscutibili le capacità tecniche di Sorrentino. ma questo non basta per fare un bel film.
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greatsteven
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giovedì 13 luglio 2017
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in vacanza a primavera, riflessioni su vecchiaia.
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YOUTH – LA GIOVINEZZA (IT/UK/FR/SVIZZ, 2015) diretto da PAOLO SORRENTINO. Interpretato da MICHAEL CAINE, HARVEY KEITEL, PAUL DANO, RACHEL WEISZ, JANE FONDA
Introdotto dal titolo che poi ricompare anche nel finale, è la storia dell’amicizia fra due uomini anziani, alla soglia degli ottant’anni: l’ex compositore e maestro d’orchestra Fred Ballinger e il regista cinematografica ancora in attività Mick Boyle. Amici di vecchissima data, alloggiano nello stesso albergo svizzero alle pendici delle Alpi, trascorrendo pigre giornate fra saune, massaggi e passeggiate fra i sentieri montuosi. Fred ha composto brani da lui stesso denominati "canzoni semplici", ha diretto l’orchestra di Venezia, è vedovo della moglie Melanie, cantante lirica per cui scrisse pezzi musicali destinati espressamente a lei, rifiuta di lavorare per la Regina d’Inghilterra che gli invia all’hotel un corrispondente giornalistico, è restio a buttare giù una sua autobiografia per conto di una società editoriale francese e, assistito dalla paziente e delusa figlia Lina, ha ormai un concetto della musica che lo inquadra come pensionato senza più illusioni né ambizioni da coltivare.
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YOUTH – LA GIOVINEZZA (IT/UK/FR/SVIZZ, 2015) diretto da PAOLO SORRENTINO. Interpretato da MICHAEL CAINE, HARVEY KEITEL, PAUL DANO, RACHEL WEISZ, JANE FONDA
Introdotto dal titolo che poi ricompare anche nel finale, è la storia dell’amicizia fra due uomini anziani, alla soglia degli ottant’anni: l’ex compositore e maestro d’orchestra Fred Ballinger e il regista cinematografica ancora in attività Mick Boyle. Amici di vecchissima data, alloggiano nello stesso albergo svizzero alle pendici delle Alpi, trascorrendo pigre giornate fra saune, massaggi e passeggiate fra i sentieri montuosi. Fred ha composto brani da lui stesso denominati "canzoni semplici", ha diretto l’orchestra di Venezia, è vedovo della moglie Melanie, cantante lirica per cui scrisse pezzi musicali destinati espressamente a lei, rifiuta di lavorare per la Regina d’Inghilterra che gli invia all’hotel un corrispondente giornalistico, è restio a buttare giù una sua autobiografia per conto di una società editoriale francese e, assistito dalla paziente e delusa figlia Lina, ha ormai un concetto della musica che lo inquadra come pensionato senza più illusioni né ambizioni da coltivare. Mick ha diretto venti film, di cui undici con protagonista la diva coetanea Brenda Morel, è ritenuto un cineasta di venerabile talento ormai però in fase calante, intende realizzare con la sua ultima opera cinematografica il suo testamento morale e intellettuale, ha un figlio, Julian, con cui non va d’accordo e che tradisce Lina (la figlia del suo migliore amico) per accoppiarsi con una becera popstar, Paloma Faith, che lui stesso reputa eccellente sotto le lenzuola. In comune hanno poco o niente, ma l’età avanzata e i rimpianti di una gioventù sprecata e forse non pienamente esperita li fanno divergere sulle scelte di vita, sui motivi che le hanno animate e sui moti istintivi che li hanno condotti a scegliere l’arte come strumento d’espressione interiore. Loro compagno di chiacchierate e passeggiate è l’attore-sceneggiatore Jimmy Tree, quarantenne, ricordato solo per un personaggio, Mr. Q, un robot provvisto di pesante armatura con cui sfondò al botteghino, e da lui ritenuto un lavoro di caratura inferiore rispetto ad altri film da lui interpretati e sceneggiati. Mick è alla ricerca, insieme ai suoi cinque giovani sceneggiatori, idealisti inconsapevoli e focosi combattenti di principio, di un finale per il suo film-testamento, mentre Fred magari non è così recalcitrante all’idea di tornare sul palcoscenico e muovere di nuovo le mani davanti ad un gruppo di orchestrali, un violino solista e una soprano d’eccezione… Dopo This Must Be The Place (2011) e La grande bellezza (2013), il premio Oscar di casa nostra rispolvera il discorso del perché dell’arte, e realizza una profondissima analisi che bissa le due precedenti, per come affronta il tema con caparbietà, lucidità, rigore stilistico e apertura mentale. Mette in campo due protagonisti egualmente sconfitti e compassati per certi versi, ma che rimangono comunque con parole importanti da dire e comunicare alla vita, che in fondo è l’unico elemento a remargli contro, mentre tutti coloro che li circondano li ammirano, li vedono come artisti con un bagaglio culturale ancora non esaurito, e pronto a scaturire sottoforma di fotogrammi od opere sinfoniche da eseguire davanti ad un pubblico strabiliato per tanta bravura. Due mondi a confronto, due velleità artistiche che differiscono significativamente fra loro, due modus operandi agli antipodi che collimano, pur facendosi da contraltare o probabilmente proprio per questa ragione, creando un gigantesco, soave ed etereo paragone che spinge a rilevanti riflessioni. Il loro controcanto è dall’altra parte del proscenio: i giovani. Lina (una Weisz in piena forma e, malgrado la recitazione sostenuta, molto raggiante) fronteggia un trauma sentimentale considerevole e che tutto sommato non merita, considerandosi un portento a letto, e riesce a cogliere ancora nell’apatico (così si esprime lei) padre un barlume di vivacità e creatività, spingendolo a rimettersi in gioco e in discussione finché non ne uscirà un esito tutt’altro che trascurabile; Jimmy Tree (Dano, laconico e prodigioso, che si prende in giro comparendo anche vestito da Adolf Hitler, una mattina, nel tentativo di individuare fra i clienti occasionali dell’albergo qualche degna comparsa per un progetto) capisce che i suoi spettatori lo ammirano esclusivamente per un ruolo da far impazzire il box office, ma in un negozio di souvenir rumorosi una bambina ammette di aver apprezzato un suo film sul rapporto padre-figlio, esaminato con vigore e ambiguità, riempiendogli il cuore di gioia. Ma Sorrentino è bravissimo a schivare la trappola della retorica e del moralismo, mettendo al bando ogni vizio di forma sentimentalista, e non dà un giudizio favorevole ai vecchi o ai giovani, ma comprende le motivazioni di entrambi i gruppi esprimendo il suo unico giudizio sulla necessità di rendere straordinaria la propria esistenza come un’opera d’arte. Un’opera che si costruisce con gli anni, col passare del tempo, con interesse e impegno profusi in reciproco equilibrio, rischiando spesso di andare incontro a contrasti feroci e ridimensionamenti spaventosi, ma sempre mantenendo saldo al comando il gusto di praticare l’arte per l’arte, un piacere autoreferenziale che può condurre a due estremi opposti. Esemplare è, in tal senso, il suicidio di Mick nel sottofinale, il che porta lo sconfortato e accorato amico Fred a tornare a Venezia portando dei fiori per la moglie defunta e a fare una gloriosa ricomparsa a teatro e dirigere l’orchestra italiana, nei modi e nelle strutture che l’emissario britannico al servizio di Her Majesty gli aveva richiesto. Con un ruolo che non tocca neanche i dieci minuti sullo schermo, Fonda regala al pubblico un autoritratto inquieto e sofferto, con la sua attrice disillusa, arcigna e cinica, ma in fondo anche realista, che respinge la parte di protagonista nella pellicola del suo scopritore Mick, che le replica ricordandole di averla scoperta lui e di averla sottratta al meccanismo distruggente dello star system hollywoodiano, sicché lei controbatte di esserci stata benissimo e che lui ha sprecato il suo talento rincorrendo fantasie fatue e speranze vane. Numerosi pezzi di bravura, un andamento che fa della lentezza un punto di forza, nessun frammento d’immagine o spezzone di dialogo posto dove non servisse, una recitazione dei comprimari sobria e funzionale, una fotografia (Luca Bigazzi) che ritrae con parsimonia i verdi paesaggi alpini, una scenografia (Ludovica Ferrario) asciutta e comprensiva di un ambiente che accoglie a braccia aperte i suoi caratteri e, infine, le musiche originali di David Lang che scandiscono, fra motivi classici e spaccature dirompenti delle più recenti avanguardie musicofile, il ritmo di una narrazione che procede sulle note di un pentagramma che racchiude tutta l’esistenza, grazie alla rappresentazione di quello che aspira a diventare il migliore brano di un regista non ancora cinquantenne, che finora ha dato ottime prove del suo talento immenso e ha centrato il bersaglio superando davvero sé stesso. Sorrentino è una promessa che farà ancora parlare molto di sé, soprattutto dopo il fatto che, ad ogni fuoriuscita nuova, fa scoprire alla critica un frammento della propria personalità artistica che stupisce per freschezza e originalità.
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totybottalla
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venerdì 24 marzo 2017
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vacanza di fine stagione!
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Un lussuoso albergo sulle Alpi svizzere è scenario di incroci di vite vissute, da vivere e da rimediare, Sorrentino imprime al suo lavoro una vena malinconica scegliendo una forma di dialogo essenziale e brillante, la saggezza, la cultura e il talento di Mick non servono più a ricordarglielo una strepitosa Jane Fonda (Brenda) che dice quello che nessuno vorrebbe sentirsi dire, e cinica come la vita, se ne va. Il film sembra uno specchio implacabile per tutti noi, la giovane miss che sfoggia il suo charme e il super campione ridotto in quel modo sembrano segnare gioie e dolori di un'esistenza imprevedibile, ottima prova corale degli attori, buone le tecniche di ripresa e bella la fotografia, mia valutazione: 3,5 stelle.
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Un lussuoso albergo sulle Alpi svizzere è scenario di incroci di vite vissute, da vivere e da rimediare, Sorrentino imprime al suo lavoro una vena malinconica scegliendo una forma di dialogo essenziale e brillante, la saggezza, la cultura e il talento di Mick non servono più a ricordarglielo una strepitosa Jane Fonda (Brenda) che dice quello che nessuno vorrebbe sentirsi dire, e cinica come la vita, se ne va. Il film sembra uno specchio implacabile per tutti noi, la giovane miss che sfoggia il suo charme e il super campione ridotto in quel modo sembrano segnare gioie e dolori di un'esistenza imprevedibile, ottima prova corale degli attori, buone le tecniche di ripresa e bella la fotografia, mia valutazione: 3,5 stelle. Saluti.
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stefano capasso
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lunedì 5 dicembre 2016
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riflessioni sul tempo
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Fred e Mick sono due vecchi amici ottantenni, che si incontrano periodicamente in un hotel sulle alpi svizzere. Uno è stato un compositore e direttore d’orchestra, l’altro un regista di cinema. Un emissario della regina di Inghilterra tenta di convincere Fred a tornare sulle scene per dirigere una sua famosa piece mentre Mick sta cercando di portare a compimento il suo ultimo lavoro.
Paolo Sorrentino in un film di grande bellezza formale racconta la vecchiaia, e i desideri e le contraddizioni che si porta dietro. E’ un bel film, dove si alternano momenti di grande intensità narrativa ad altri di pura fantasia immaginativa. Un percorso di esplorazione dell’età che passa e che ha le sue peculiarità in ogni fase
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paolorol
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martedì 8 novembre 2016
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sorrentino si riconferma miglior regista italiano
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Sorrentino è stato accostato a Fellini, in particolare dopo il successo planetario de La Grande Bellezza. Laddove Fellini ne La Dolce Vita esprimeva simpatia e compassione, se non empatia, per i personaggi rappresentati nel suo capolavoro Sorrentino esibiva più uno sguardo freddo e distaccato, quasi da entomologo. Anche in Youth utilizza la stessa ottica e si dimostra forse ancora di più cinico e freddo nell'approcciare temi sensibili, senza preoccuparsi di rispettare il canone che impone di tributare sempre un certo riguardo alle categorie umane più tutelate dalla generale ipocrisia. Non si ha più il coraggio di dire che una persona è "vecchia".
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Sorrentino è stato accostato a Fellini, in particolare dopo il successo planetario de La Grande Bellezza. Laddove Fellini ne La Dolce Vita esprimeva simpatia e compassione, se non empatia, per i personaggi rappresentati nel suo capolavoro Sorrentino esibiva più uno sguardo freddo e distaccato, quasi da entomologo. Anche in Youth utilizza la stessa ottica e si dimostra forse ancora di più cinico e freddo nell'approcciare temi sensibili, senza preoccuparsi di rispettare il canone che impone di tributare sempre un certo riguardo alle categorie umane più tutelate dalla generale ipocrisia. Non si ha più il coraggio di dire che una persona è "vecchia". Nel linguaggio comune è ormai avvalsa la consuetudine di dire che una persona è "più grande" di un'altra. Ci si dimentica che "più grande" o "più piccolo" sono termini indicati per persone di età non superiore ai 10 anni. Sorrentino non ha paura di essere impopolare, sa benissimo che il suo film non diventerà mai campione di incassi perchè affronta un tema che impaurisce così intensamente le persone al punto che queste ne negano l'esistenza. Nei film la morte è in ogni dove, la vecchiaia non compare che di rado. Invece qui ci viene esibita senza lifting e botox fisici e ancormeno psicologici. I vecchi di Sorrentino sono buoni ma anche cattivi, lui scava nelle loro anime e ne dissotterra gli orrori senza ritegno. Gli attori sono tutti diretti in modo straordinario nelle loro parti così impegnative, la sceneggiatura è perfetta e misurata, senza nessuna concessione all'effetto gratuito. La fotografia è meravigliosa.
Un altro film di Sorrentino che ci fa inorgoglire del nostro essere Italiani. Non speravamo più, dopo anni di trash e cinepanettoni volgari, che potessero riapparire registi del calibro di Fellini ed invece è successo. Chi ama i film d'azione si astenga dalla visione ma anche dai commenti inappropriati.
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[+] non è per ora il miglior regista italiano
(di vighi)
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giovanni.
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martedì 28 giugno 2016
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bruttissimo
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Non ho mai visto un film cosi noioso lento senza ritmo, vedo che i commentatori di questa rubrica sono tutti raffinati critici o forse per fare la figura degli esperti mettono il massimo del punteggio copiando quello dei critici veri.
[+] non siamo critici
(di giuliana400)
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