riccardo tavani
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martedì 2 giugno 2015
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sulla soglia tra declino di una civiltà e riscatto
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Siamo allo Schatzalp Hotel di Davos, in Svizzera, lo stesso nel quale Thomas Mann ha ambientato il suo grande romanzo La Montagna incantata e dove hanno trascorso le loro vacanze le classi aristocratiche e facoltose della Mitteleuropa degli ultimi due secoli. Dotato oggi di una moderna Spa, con saune, bagni turchi, vasche di rilassamento, fanghi, massaggi e altri sofisticati trattamenti, si incontrano qui un rassegnato musicista in pensione, Fred, e un regista cinematografico, Mick, che invece – pur avendo più o meno la stessa età del compositore – in pensione non ci pensa proprio ad andare. Quell’Hotel, però, è anche l’Europa, l’Occidente stesso, nel suo struggente o riottoso tramonto, dentro la dimora ricca di confort, bellezza e agiatezza, cura del corpo, prolungamento progressivo della vita fisica, che ha saputo edificare nel lungo cammino della sua civiltà, insieme al predominio definitivo sul pianeta. Ogni inquadratura, gesto, brandello di dialogo tra i due ci fa sentire sulla pelle la struggente inesorabilità di tale declino. La stessa morbida bellezza scultorea di una ospite che si immerge nuda in una vasca davanti ai due acuisce al massimo la lancinante consapevolezza dell’addio. Il cinema è l’espressione artistica apicale dell’Occidente, perché convergono in esso ideologia dominante, capitale finanziario, macchina industriale, sistema pubblicitario e vendita commerciale. La tv, però, spinge anche esso al declino, proprio perché ancora più sfacciatamente, volgarmente connotata da quegli stessi elementi. Il rassegnato Fred ha un gesto ricorrente in tutto il film: fa frusciare e schioccare tra le sue dita una piccola carta di caramella. In quell’insignificante involucro rosso scuro, piatto, liscio, privo del contenuto ormai anche del contenuto che avvolgeva, c’è invece tutta la dimora, l’essere, l’origine senza tempo del suono stesso. È in quel gesto semplice, spoglio di ogni apparato ideologico, volitivo, violento e produttivo, alla portata di ogni persona, in qualsiasi latitudine cronologica e spaziale, c’è l’unica uscita necessaria, riscatto dalla terra del tramonto, dell’Occaso – dell’Occidente, appunto. Un’opera davvero all’altezza del destino dell’epoca che viviamo e che per questo può essere non capita, non premiata da chi la giudica nel logica di quell’inconsapevole piano inclinato che il film poeticamente e limpidamente ci mostra. Eppure proprio a quel logos in tutti noi il film finirà intramontabilmente per parlare e dare consapevolezza.
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vanessa zarastro
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martedì 2 giugno 2015
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nella kurhaus
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Devo dire che ho trovato il film di Sorrentino piuttosto noioso. Se non fosse stato per la recitazione strepitosa di Michael Caine forse non avrei aspettato la fine…L’idea non è male e l’inizio si prospetta promettente. Il regista intende osservare l’invecchiamento di una serie di persone arrivate all’apice del successo in settori diversi: il direttore d’orchestra ancora richiesto a tutt’oggi nonostante si sia ritirato dalle scene, il regista in cerca di un suo ultimo film, l’ex calciatore ormai disfatto in una palese caricatura di Diego Maradona. Tutti questi personaggi – che Sorrentino cerca di sfaccettare come persone - arrivano a una conclusione del loro percorso nel bene o nel male in una Kurhaus a dir meno “poco affollata” località sciistica nelle Alpi svizzere.
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Devo dire che ho trovato il film di Sorrentino piuttosto noioso. Se non fosse stato per la recitazione strepitosa di Michael Caine forse non avrei aspettato la fine…L’idea non è male e l’inizio si prospetta promettente. Il regista intende osservare l’invecchiamento di una serie di persone arrivate all’apice del successo in settori diversi: il direttore d’orchestra ancora richiesto a tutt’oggi nonostante si sia ritirato dalle scene, il regista in cerca di un suo ultimo film, l’ex calciatore ormai disfatto in una palese caricatura di Diego Maradona. Tutti questi personaggi – che Sorrentino cerca di sfaccettare come persone - arrivano a una conclusione del loro percorso nel bene o nel male in una Kurhaus a dir meno “poco affollata” località sciistica nelle Alpi svizzere. Qualche giovane casuale come l’attore che dovrebbe interpretare Hitler o la figlia e assistente del direttore d’orchestra appena abbandonata inspiegabilmente dal marito, una massaggiatrice con l’apparecchio ai denti, di poche parole e solitaria ballerina, un barbuto scalatore in cerca di compagnia e, in una piccola apparizione, la bravissima Jane Fonda che interpreta la parte di una vecchia attrice sboccata e di modeste origini. Il resto è manierato alla Sorrentino: sommatorie di immagini che lentamente, troppo lentamente, si avvicinano al soggetto/oggetto e, sempre molto lentamente, se ne allontanano.
Una musica bellissima inframezzata da lunghi silenzi inframezzati qua e là da monologhi più che dialoghi. Molto bella è la scena del concerto delle mucche svizzere, quasi uno spot pubblicitario.
Tra una riflessione sul cinema e il suo eventuale declino (o il declino del regista?) tra un senso di colpa verso mogli tradite o figli trascurati, si va avanti senza avere la più pallida idea di quante ore il film potrebbe durare. Un’ora in meno gli avrebbe sicuramente giovato.
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jackmalone
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lunedì 1 giugno 2015
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la conquista della gioventù
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Se nella vita di ognuno la gioventù sembra scontata e non la si apprezza abbastanza finchè non diventa un ricordo, la vecchiaia é un dono che non è concesso a tutti.Nemmeno un grande direttore d'orchestra o un regista famoso hanno fatto cose tanto meritevoli o tanti atti di generosità nella loro vita da meritare di invecchiare, per di più in buona salute.La maggior parte delle persone che hanno avuto il dono di invecchiare sprecano questa opportunità; in genere si diventa egocentrici , irascibili,ipercritici verso i figli e verso la gioventù, in genere solo per invidia.Il film sembra suggerire che la gioventù, come attitudine a guardare il mondo e gli altri con ingenuità ,ottimismo e spirito propositivo è una conquista che forse si può realizzare solo ad una certa età quando le passioni sono placate e si dovrebbe aver raggiunto un accettabile equilibrio.
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Se nella vita di ognuno la gioventù sembra scontata e non la si apprezza abbastanza finchè non diventa un ricordo, la vecchiaia é un dono che non è concesso a tutti.Nemmeno un grande direttore d'orchestra o un regista famoso hanno fatto cose tanto meritevoli o tanti atti di generosità nella loro vita da meritare di invecchiare, per di più in buona salute.La maggior parte delle persone che hanno avuto il dono di invecchiare sprecano questa opportunità; in genere si diventa egocentrici , irascibili,ipercritici verso i figli e verso la gioventù, in genere solo per invidia.Il film sembra suggerire che la gioventù, come attitudine a guardare il mondo e gli altri con ingenuità ,ottimismo e spirito propositivo è una conquista che forse si può realizzare solo ad una certa età quando le passioni sono placate e si dovrebbe aver raggiunto un accettabile equilibrio. Anche la scelta estrema del regista sembra dettata dalla razionalità e non emoziona più di tanto. ciò che emoziona tanto in questo film non si trova nei drammi personali: la ragazzina che si prostituisce , il famoso calciatore dalla vita sregolata , la moglie demente chiusa in un ospizio , é nei paesaggi immortalati dalla maestria fotografica e nella musica sublime che, essendo una cosa del tutto inutile alla vita dei comuni mortali, più di tutto dà un significato alla vita stessa. Una delle emozioni più grandi che il film ci regala è il concerto dei campanacci delle inconsapevoli mucche al pascolo e dello stormo degli uccelli in volo che sembra un applauso.
E' bello vedere che gli italiani sanno fare le cose proprio bene quando si impegnano!
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no_data
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lunedì 1 giugno 2015
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estetica musicale. da rivedere aspettando il dvd.
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Penso che Youth sia il film di Sorrentino dalla più spiccata estetica e sensibilità musicale . Perché Cannes ha chiuso gli occhi? Caine che dirige un'orchestra di mucche vale da solo il prezzo del biglietto.
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zarar
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lunedì 1 giugno 2015
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quadri di un'esposizione
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Un anziano direttore d’orchestra e un suo vecchio amico regista, in una asettica e piuttosto sinistra SPA svizzera di lusso, popolata da personaggi con l’aria di naufraghi e automi e da fugaci visioni di giovinezza trionfante, vivono con triste autoironia le limitazioni della vecchiaia, in una presunta vacanza che dovrebbe rimettere in forma il primo, facilitare l’ultimo e cruciale impegno registico dell’altro. Il direttore d’orchestra è apatico, il regista è vagamente eretistico. Su di loro si abbattono proprio in questa circostanza due colpi negativi: l’unica figlia del direttore d’orchestra è abbandonata dal marito; l’attrice a cui il regista è legato da sempre e a cui sogna di far interpretare il suo film – quello definitivo della sua vita - rifiuta nettamente, rinfacciandogli per sovrappiù la sua vecchiaia.
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Un anziano direttore d’orchestra e un suo vecchio amico regista, in una asettica e piuttosto sinistra SPA svizzera di lusso, popolata da personaggi con l’aria di naufraghi e automi e da fugaci visioni di giovinezza trionfante, vivono con triste autoironia le limitazioni della vecchiaia, in una presunta vacanza che dovrebbe rimettere in forma il primo, facilitare l’ultimo e cruciale impegno registico dell’altro. Il direttore d’orchestra è apatico, il regista è vagamente eretistico. Su di loro si abbattono proprio in questa circostanza due colpi negativi: l’unica figlia del direttore d’orchestra è abbandonata dal marito; l’attrice a cui il regista è legato da sempre e a cui sogna di far interpretare il suo film – quello definitivo della sua vita - rifiuta nettamente, rinfacciandogli per sovrappiù la sua vecchiaia. Il regista, che pure sembrava il più vitale, sente di non avere più futuro e si suicida; di fronte a questo shock, l’apatico direttore d’orchestra in modo piuttosto sorprendente si salva, per così dire: decide che invecchiare è comunque meglio che morire, che non va rifiutato quel tanto di futuro che resta, e che ciò è possibile se si accetta fino in fondo il proprio passato. Si fa una certa fatica a mettere insieme la storia raccontata, perché questa storia in sé non ha nessuna forza nel film, nonostante qualche coup de théatre (piuttosto grottesco, oltretutto) . Il dialogo non morde e – a parte qualche felice battuta tra i due vecchi amici - è palesemente, e si direbbe volutamente, banalizzato, convenzionale, recitato. Perché Sorrentino, come già ne “La grande bellezza”, sembra suggerire che le parole non dicono niente di significativo, solo le immagini parlano veramente. Ma come già nell’altro film, il miracolo non riesce : e non perché la macchina da presa non sia nella mano di un maestro, o perché gli attori non siano bravi, ma perché si tratta di una sequenza di scene autoreferenziali, quadri di esposizione: astratti o espressionisti, grotteschi o romantici o bucolici, iperrealistici o ambiguamente onirici, pieni di echi filmici, artistici o letterari, corredati di accompagnamento musicale supersnob. Sotto ogni scena possiamo immaginare un titolo che suggerisce simboli e significati a volontà e tutto l’autocompiacimento del regista. Ma sono slegati, disorganici e non bastano a creare un discorso. Dov’è il Sorrentino di “This must be the place?”
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zanze61
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domenica 31 maggio 2015
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imbarazzante
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Lascia senza parole la bruttezza di questo film. Privo di una sceneggiatura sensata, ogni 5 minuti cambia direzione nel vano tentativo di delineare una situazione e una storia, ripetendo a oltranza per ben due ore gli stessi concetti triti e ritriti: ma proprio non quaglia, tutto rimane vagamente abbozzato e subito lasciato lì, con una vacuità che immagino molto gradita al pubblico televisivo, che ne apprezzerà senz'altro anche il manierismo insopportabile, i soliti dialoghi finti con pretese di profondità, le solite scopiazzature di idee da altri film (persino dal Maestro di Vigevano!), con i personaggi (ma è troppo chiamarli così) che non superano mai il livello dello stereotipo, anzi sono semplici riempitivi per andare avanti in qualche modo.
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Lascia senza parole la bruttezza di questo film. Privo di una sceneggiatura sensata, ogni 5 minuti cambia direzione nel vano tentativo di delineare una situazione e una storia, ripetendo a oltranza per ben due ore gli stessi concetti triti e ritriti: ma proprio non quaglia, tutto rimane vagamente abbozzato e subito lasciato lì, con una vacuità che immagino molto gradita al pubblico televisivo, che ne apprezzerà senz'altro anche il manierismo insopportabile, i soliti dialoghi finti con pretese di profondità, le solite scopiazzature di idee da altri film (persino dal Maestro di Vigevano!), con i personaggi (ma è troppo chiamarli così) che non superano mai il livello dello stereotipo, anzi sono semplici riempitivi per andare avanti in qualche modo. L'odiosità e inutilità del "giovane attore in cerca di ispirazione" è più unica che rara (la storia di Hitler poi non significa nulla e finisce lì senza alcun senso), mentre la bonazza serve solo per avere un culo da mettere nella locandina. Gli unici 5 minuti ben fatti sono quelli del dialogo fra Keitel e Jane Fonda, il resto è penoso. Se uno non sa scrivere una sceneggiatura e brancola così visibilmente nel buio, che se la faccia scrivere da qualcuno! Fortunatamente Caine e Keitel sono in grado di recitare senza le direttive del regista, mentre l'attrice che recita la parte della figlia è stucchevolissima con tutte quelle mossette. Sorrentino: mai più!
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marezia
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domenica 31 maggio 2015
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ad alta quota tutto è più chiaro...
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Pellicola che unisce alla notoria capacità EVOCATIVA delle scelte registiche di Sorrentino una concretezza che viene da un tipo di cinema più introspettivo che mai. Secondo me, SUPERIORE a "La grande bellezza", racconta di più di quest'ultimo e avrebbe meritato di più. Mi chiedo come si possa non capire: forse chi è andato a vederlo dormiva? Oppure tra un'immagine l'altra si scorda quello che ha visto e non connette? Boh? Intimo, profondo, anche sarcastico, irriverente e UNICO. Molto ma molto bello.
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silvano bersani
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domenica 31 maggio 2015
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la morte in engandina
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Stranamente Sorrentini viene avvicinato a Fellini. Ad una osservazione superficiale potrebbe anche apparire così. Eppure continuo a pensare che nel cinema di Sorrentino c'è molto, molto di più e di diverso.
Mentre La Roma della Grande Bellezza era un luogo molle, incrostato di significati e di odori, questo film è ambientato in una beauty farm nelle Alpi svizzere. E' un luogo quasi astratto, siderale, una perfetta macchina per riparare corpi e menti afflitte dal male di vivere o, il che è peggio, dal male di aver vissuto, o di non aver vissuto, perchè tanto a questo punto non fa poi differenza. Non è un albergo di lusso: nella sua perfezione è quasi una macchina, un sanatorio, un lager, il tavolo anatomico di uno spietato anatopatologo dello spirito.
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Stranamente Sorrentini viene avvicinato a Fellini. Ad una osservazione superficiale potrebbe anche apparire così. Eppure continuo a pensare che nel cinema di Sorrentino c'è molto, molto di più e di diverso.
Mentre La Roma della Grande Bellezza era un luogo molle, incrostato di significati e di odori, questo film è ambientato in una beauty farm nelle Alpi svizzere. E' un luogo quasi astratto, siderale, una perfetta macchina per riparare corpi e menti afflitte dal male di vivere o, il che è peggio, dal male di aver vissuto, o di non aver vissuto, perchè tanto a questo punto non fa poi differenza. Non è un albergo di lusso: nella sua perfezione è quasi una macchina, un sanatorio, un lager, il tavolo anatomico di uno spietato anatopatologo dello spirito. Il rimando che viene in mente (strano che nessuno l'abbia colto) è più alla Montagna Incantata di Mann. E non a caso certe scene del film, certi passaggi, certi dialoghi, rimandano direttamente al Visconti della Morte a Venezia. Perchè in fondo è questo di cui si tratta: di una lunga meditazione sulla vita nel momento in cui diventa sempre più corta, della giovinezza, nel momento in cui viene a mancare, delle passioni non certo sopite, ma dolorosamente interiorizzate nel momento in cui l'orologio biologico dice che il tempo è scaduto, e delle passioni stesse è consentito cogliere o il rimorso o il rimpianto. E questa è la vera crudeltà del film, perchè se la sceneggiatura è lieve, se i dialoghi sono intessuti di una bella ironia molto britannica, il confronto tra corpi giovani e levigati, anche quando inconsapevoli, e la devastazione che il tempo ha lasciato sugli altri corpi, questi si, purtroppo, anche troppo consapevoli, è di una cattiveria quasi insopportabile.
Sugli aspetti formali del film molto ci sarebbe da dire. Cominciamo da quelle che ritengo possono essere unanimemente condivisibili. Grandi, grandissimi interpreti, sia i due protagonisti maschili, sia la sorprendente Rachel Weisz. Grande anche il cameo di Jane Fonda. (Ma dietro ad un grande interprete c'è sempre la mano di un grande regista). Ci vuole una assoluta consapevolezza del mezzo per condurre lunghi monologhi con inquadratura fissa in primo piano. Altri autori, per molto meno, sarebbero stati massacrati dalla critica e dal pubblico. Eppure a Sorrentino viene sempre rimproverato l'opposto contrario, e cioè la rindondanza di immagine.
Una grande ammirazione anche per la fotografia, asciugata, sobria, ma che non rinuncia mai alla pienezza espressiva del mezzo.
E poi c'è lui, Sorrentino. Come dicevano altri, se a qualcuno Sorrentino non piace non c'è proprio mezzo per convicere del contrario. Il suo perfezionismo formale è spesso motivo di riserve. Io dico solo, sommessamente: se leggo un libro mi piace che sia scritto con un buon linguaggio, se ascolto un disco mi piace che il suono sia pulito e ricco di dinamica, se vedo un film apprezzo se lo sforzo compositivo dell'immagine è parte del processo artistico creativo. E le inquadrature di Sorrentino sono una vera festa per gli occhi. Forse giova ricordarlo: lo specifico cinematografico è appunto: narrazione attraverso le immagini.
Poi qualcuno si è rammaricato per la dura sorte riservato al film dai fratelli Cohen a Cannes. La loro cifra espressiva è talmente divergente da quella di Sorrentino che francamente avremmo dovuto stupirci del contrario.
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[+] una festa per gli occhi
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jayan
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domenica 31 maggio 2015
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il tempo che passa, la giovinezza e la vecchiaia
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Un film stupendo, molto filosofico e intenso, sulla vita e la morte, la giovinezza e la vecchiaia.
Fred, e Mick sono ottantenni in vacanza in un hotel a Wiesen, alle pendici delle montagne svizzere. Fred è un direttore d'orchestra che ha smesso di dirigere da quando è scomparsa la moglie, Mick è un regista che sta preparando il suo ultimo film, che non riuscirà a finire perché la sua interprete principale si rifiuterà di fare la parte.
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Un film stupendo, molto filosofico e intenso, sulla vita e la morte, la giovinezza e la vecchiaia.
Fred, e Mick sono ottantenni in vacanza in un hotel a Wiesen, alle pendici delle montagne svizzere. Fred è un direttore d'orchestra che ha smesso di dirigere da quando è scomparsa la moglie, Mick è un regista che sta preparando il suo ultimo film, che non riuscirà a finire perché la sua interprete principale si rifiuterà di fare la parte. La storia si sviluppa tutta in questo luogo, su questa montagna incantata, dove sia loro due, amici da una vita, che gli altri personaggi, riscoprono l'importanza del tempo, che una volta andato non si può recuperare. Anche se il titolo, "giovinezza", potrebbe trarre in inganno, è di fatto un film sulla "vecchiaia", su quando ci si accorge che la morte si avvicina inesorabilmente e non c'è tempo per fare ciò che vorremmo fare, allora ci si chiude nei ricordi - quindi giovinezza andata! Sorrentino ha detto in un'intervista che questo è un film sul tempo, e per rappresentarlo ci porta in un luogo che sembra al di fuori del tempo. Anche i personaggi giovani sembrano più un colorrario che l'essenza del film. Non mancano le figure da circo, come il mangiatore di fuoco e la donna che soffia e forma le bolle, ma sono meno importanti e il regista vi dedica meno tempo, rispetto a "La grande bellezza". E poi, tema ricorrente, è la ricerca della giovinezza, il superamento impossibile della vecchiaia.
In questo film Sorrentino supera se stesso, e Michael Caine è eccezionale come attore, ma anche gli altri, tra cui Rachel Weisz, un gioiello come sempre.
Sorrentino ci incanta ogni volta che dirige un film. Bravissimo! Un film da non perdere, e da vedere sul grande schermo, altrimenti si perdono i grandi paesaggi!
Avrebbe dovuto vincere a Cannes, ma non importa, sta diventando campione di incassi, e questo è ciò che conta: che la gente lo veda!
Grazie Paolo!
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nino pell.
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domenica 31 maggio 2015
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dalla decadenza apatica alla rinascita interiore
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Sorrentino si conferma regista particolare e geniale. La trama è ambientata in un tranquillo albergo che funge anche da centro benessere e nel quale trascorrono un periodo di villeggiatura alcuni anziani e anche alcune persone giovani, durante un loro momento di lunga pausa meditativa. In realtà, da una chiara ed evidente chiave di lettura, l'albergo rappresenterebbe un luogo metaforico in cui stazionano vari personaggi, intenti a tracciare un bilancio della loro vita e a riflettere sulle loro esistenze. La maggior parte di essi sono persone molto anziane e pertanto il loro spirito riflessivo si traduce per lo più in nostalgia di un passato ormai andato via e di un presente che lentamente scivola via, malinconicamente vissuto in uno stato di decadenza apatica.
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Sorrentino si conferma regista particolare e geniale. La trama è ambientata in un tranquillo albergo che funge anche da centro benessere e nel quale trascorrono un periodo di villeggiatura alcuni anziani e anche alcune persone giovani, durante un loro momento di lunga pausa meditativa. In realtà, da una chiara ed evidente chiave di lettura, l'albergo rappresenterebbe un luogo metaforico in cui stazionano vari personaggi, intenti a tracciare un bilancio della loro vita e a riflettere sulle loro esistenze. La maggior parte di essi sono persone molto anziane e pertanto il loro spirito riflessivo si traduce per lo più in nostalgia di un passato ormai andato via e di un presente che lentamente scivola via, malinconicamente vissuto in uno stato di decadenza apatica. Tra i principali protagonisti della storia, abbiamo Fred (interpretato da un grande Michael Caine), un anziano compositore di musica, tristemente ricordato dalla gente comune per alcuni suoi brani più semplici e popolari, ma che comunque viene continuamente corteggiato, nel corso della sua villeggiatura, dalla visita di alcuni emissari della regina Elisabetta per un suo ritorno in scena, pregandolo di partecipare ad un grande concerto. Ma, a tali continue pressioni, il vecchio Fred insiste nel non accettare in quanto romanticamente ritiene che la cantante lirica proposta per il concerto non è all'altezza della propria moglie ormai ridotta ad uno stato vegetativo all'interno di un centro riabilitativo. L'unico che sembra avere ancora vigore e desiderio per la vita è l'altro anziano protagonista, Mick, il quale invece è stato un noto regista e si sta concentrando alla sua ultima pellicola avendo ingaggiato alcuni giovani attori. Sorrentino dimostra come sempre la sua geniale dualità stilistica tra amarezza e ironia in quanto non ci fa capire, nel corso delle battute di prova, se questo film di Mick è veramente particolare e originale oppure è vuoto e fiacco. Intanto il vecchio regista vuole assolutamente che ad interpretare il ruolo principale sia una vecchia attrice a lui molto cara, una certa Brenda, che egli ha lanciato al successo in passato grazie ad alcune pellicole da lui dirette. Ma, l'incontro tra i due personaggi sarà addirittura letale per il povero Mick, il quale, a seguito di un angustiante scambio di opinioni con Brenda, egli entrerà in un totale stato di disillusione e di crisi esistenziale nei riguardi del suo presente artistico, tanto da indurlo ad una scelta estrema. Tale triste episodio farà in modo che l'anziano compositore Fred, amico strettissimo di Mick, finalmente si risveglierà dal suo attuale "coma esistenziale" per una vigorosa rinascita interiore ritornando finalmente alla vita e partecipando al concerto auspicato. Questa pellicola di Sorrentino ha uno stile riflessivo, apparentemente sotto tono che inevitabilmente non possiamo non accostarlo, ad esempio, al suo recente film "La grande bellezza", ma con la differenza che man mano che si giunge alle sequenze finali, non possiamo non avvertire il suo senso di profondità e, appunto, di levitazione esistenziale.
Rivolgo, inoltre, i miei più sentiti complimenti al regista per la scelta della colonna sonora: da brani impreziositi di un pop rock denso, intellettuale e sofisticato (intervallati da un momento ironico caratterizzato dal brano romantico "Reality") alla bellissima composizione orchestrale della sequenza finale del film ed ancora l'eccellente brano di musica classica che accompagna i titoli di coda
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