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ser-jo
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domenica 26 luglio 2015
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un film o una collezione di aforismi
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Ogni singola scena non regge per piu di 2 o 3 minuti, terminando con un immancabile perla di saggezza.
Se ci sono dei dubbi sul fatto che sorrentino sia un bravo regista, almeno ci resta la sicurezza che non sia un filosofo.
A sua discolpa c'e' da direche dopo aver pompato il suo talento, questi crede di essere in grado di imporci direttamente il suo pensiero; non ci conduce come farebbe un bravo regista, ce lo impone.
Spocchia irritante
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marcobrenni
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sabato 25 luglio 2015
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youth - un film non solo manierista
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È un tipico film di Sorrentino : molto manierista, ridondante, efficace e soprendente nelle immagini; ottima la scenografia; bravi gli attori, ecc. Peccato che manca alquanto di coerenza e di profondità (senso) soprattutto nei dialoghi, pure con qualche frase sbocacciata del tutto inutile. Pure la lunghezza (eccessiva) lascia un po' perplessi. Sorrentino vuole stupire e ci riesce pure; sembra che voglia rincorrere un po' Fellini senza però averne la stoffa. In sostanza è un film sopra la media, se paragonato col ciarpame da videogame che c'è intorno.
Marco Brenni
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ricciottti
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venerdì 24 luglio 2015
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una delusione, metafore sbagliate.
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Un film sulla vecchiaia di un autore appena maturo e certo non vecchio sconta subito questo. Un film con protagonisti di successo sconta un'aoreferenzialità che qui trovo imbarazzante. I due dati assieme ci danno un film che della vecchiaia non riesce a parlare e da questo la "giovinezza " proposta risulta vista in uno specchio deformato. La fotografia è bella, ma è quella di un luogo suntuosamente triste inserito, in un paesaggio di bellezza davvero modesta (anzi). Aforismi detti e personaggi come misteriosi aforismi trattati rispecchiano certo volutamente l'aristocratica visione della vita di Sorrentino ma lasciano un senso di vuoto che qui io ho percepito come banalità piutosto che come mistero.
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Un film sulla vecchiaia di un autore appena maturo e certo non vecchio sconta subito questo. Un film con protagonisti di successo sconta un'aoreferenzialità che qui trovo imbarazzante. I due dati assieme ci danno un film che della vecchiaia non riesce a parlare e da questo la "giovinezza " proposta risulta vista in uno specchio deformato. La fotografia è bella, ma è quella di un luogo suntuosamente triste inserito, in un paesaggio di bellezza davvero modesta (anzi). Aforismi detti e personaggi come misteriosi aforismi trattati rispecchiano certo volutamente l'aristocratica visione della vita di Sorrentino ma lasciano un senso di vuoto che qui io ho percepito come banalità piutosto che come mistero. La vecchiaia è un'altra cosa, la gioventù è un'altra cosa, la vita è - di solito almeno - un'altra cosa, peggiore o migliore chissà, certo differente. Forse Sorrentino vorrebbe che così sia un giorno la sa vecchiaia, cioè intelligentemente risolta dalla catartica scelta finale di Fred, ma di solito non ci sono regine nel destino dei vecchi, né vere né metaforiche. A me sembra che il regista sia già un po' precocemente vecchio e la sua catarsi ambiziosa. A meno che non volesse cripticamente dirci che è Mick ad aver ragione, che il suo suicidio sia la scelta giusta, quando toccarsi non è più un'opzione dimenticata bensì perduta. Il suicidio come scelta catartica per gli altri piuttosto che per chi la fa e dopo non c'è più. A fine film mi son alzato pensando: meno male che è finito - e in fondo non era che un film.
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luanaa
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lunedì 13 luglio 2015
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volevo lanciare un messaggio a brian...se mi legge
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E con il quale concordo sulla pessima distribuzione italiana. Brian, se ti capita, prova a vedere White God- sinfonia per Hagen...un film ungherese che ha vinto il premio un certain regard del 2014. Passato fuggevolmente sui nostri schermi..."segato" da Zappoli che ha dato 5 stelle a questa lagna di "Surrentino". Ne vale davvero la pena ciao e continua...continuiamo così.....
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no_data
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sabato 11 luglio 2015
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il film capolavoro di sorrentino
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Solo un grande regista poteva parlare dei rapporti che si incatenano tra padre e figli e inscenare con sensibilità e intelligenza, l'amicizia tra due uomini, dentro una cornice fotografica e sonora eccellente.Le scene finali sono la citazione della migliore filmografia italiana, Sorrentino porta in scena l'ingratitudine, la disillusione, ma anche la vita, raccontadolo attraverso un cast d'eccezione. Un film sibillino, autobiografico e assoluto, superficialmente valutato da chi giudica la compagine piuttosto che i dialoghi perfetti quasi teatrali, il tutto condensato in una rappresentazione cinamotagrafica veloce e sferzata.
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pier delmonte
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lunedì 29 giugno 2015
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un'ora e poi... scusate ma mi sono arreso
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io mi devo guardare un film dove in un albergo svizzero per vecchi ricchi si confezionano pillole di saggezza o comunque si levano sguardi sulla fauna umana? ma non mi interessa neanche un po'! Caine sosia di Servillo, il finto Maradona, i soliti intervalli scenici... un film che comunque fa riflettere? che lancia un messaggio? ma noooo.... l'unico messaggio e' questo: sorrentino ci lancia questo messaggio... quanto tempo ci metterete voi stupidi spettatori a capire che io non sono un grande regista e forse nemmeno... un regista?
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patric
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domenica 28 giugno 2015
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grande sorrentino, piccola anima
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Grande fotografia, montaggio, grandi attori che sanno il mestiere (M. Kaine, H. Keitel, J.Fonda...), bei brani musicali ma dovrebbero essere proporzionati alla grandezza del messaggio che a mio avviso impazza nel film: benchè siano i personaggi inseriti in un ambiente da favola (un hotel a 5 stelle svizzero pieno di comforts di ogni tipo) non posssono comunque sfuggire al segno dei tempi che è lo stesso scorrere del tempo per l'uomo, cioè la vecchiaia. I due protagonisti, il compositore e il regista, si confrontano sul tema proponendo risposte esistenzialiste diverse, l'uno si rinchiude in sè stesso dicendosi in pensione e ritirato dalla vita, l'altro si prodiga con tutte l'energia rimastagli nella realizzazione di quello che crede il suo ultimo film che mai realizzerà perchè morirà suicida.
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Grande fotografia, montaggio, grandi attori che sanno il mestiere (M. Kaine, H. Keitel, J.Fonda...), bei brani musicali ma dovrebbero essere proporzionati alla grandezza del messaggio che a mio avviso impazza nel film: benchè siano i personaggi inseriti in un ambiente da favola (un hotel a 5 stelle svizzero pieno di comforts di ogni tipo) non posssono comunque sfuggire al segno dei tempi che è lo stesso scorrere del tempo per l'uomo, cioè la vecchiaia. I due protagonisti, il compositore e il regista, si confrontano sul tema proponendo risposte esistenzialiste diverse, l'uno si rinchiude in sè stesso dicendosi in pensione e ritirato dalla vita, l'altro si prodiga con tutte l'energia rimastagli nella realizzazione di quello che crede il suo ultimo film che mai realizzerà perchè morirà suicida. Il regista gioca con la bellissima fotografia in tutto il film mettendo bene in evidenza il segno del tempo, con una gustosa ed apperzzabile ironia, ma invia lo spettatore in un mondo (tutto del regista ) in cui non vì è speranza alla vecchiaia e allo scorrere del tempo che si rende crudele quando il vecchio si contrappone al giovane (vedi quando una bellissima donna, miss universo, passa accanto ai due protagonisti in piscina e sbatte in faccia sia a loro che allo spettatore le splendide forme che possiede solo per il momento...). Un minimo segno di speranza si intravede quando Fred, il compositore, torna sui suoi passi e decide infine di realizzare il concerto per la regina d'Inghilterra (chi l'avrebbe mai rifiutato un lavoro del genere?), mentre Mick, il regista, all'inizio vive la speranza di tornare a lavorare come regista mentre più tardi si fa sopraffare dall'annientamento di sè stesso dopo che ha appreso che l' attrice protagonista del suo prossimo ed ultimo film (J.Fonda) non avrebbe più lavorato per lui. Ho resistito fino alla fine nella visione del film, in fondo il film è fatto bene; fa male vedere gente che si alza ed va via, gente s.t. adulta. Eravamo al cinema di sabato, secondo giorno di proiezione, a vedere il film in non più di 60 persone, alla fine del film siamo rimasti in meno della metà, non piaceva a molti e questo è un brutto segno, la gente è andata a vedere il film perchè è di Sorrentino ed è stato candidato a Cannes allo scorso concorso, stroncato dalla critica. Sorrentino a mio avviso segue le tracce di Fellini nelle sue creazioni cinematografiche esagerate (vedi la controfigura di Maradona!) ma è lento nell'esporle e rappresentarle, a volte misterioso costringendo lo spettatote a voiaggiare con la sua mente sulle sue frequenze e a trovare spiegazioni a ciò che viene rappresentato. Il suo viaggio sembra essere uno "stream of consciousness" continuo, un'elaborazione di concetti vari trasposti in immagini, belle immagini, ma che non hanno una risposta in sè se non quella esistenzialista atea o agnostica e cominque priva di ogni speranza per l'uomo e per il suo essere. La stessa arte è senza speranza, il concerto che Fred realizza per la Regina è solo un rimediare a ciò che è stato della sua disastrosa vita familiare, del suo rapporto con la figlia. La vecchiaia può essdere a mio avviso una fonte di ricchezza per la giovinezza, la vecchiaia può essere un valore aggiunto nella vita di un uomo, al mondo vi sono tanti vecchi che creano, scrivono, si impegnano nel sociale, sorridono anche se sono più poveri dei vecchi di una volta, ma danno speranza a chi verrà dopo di loro. La giovinezza di oggi è allo sbando se non affonda le sue radici ed emozioni nella vecchiaia di oggi dell'umanità, quella saggia e costruttiva e che magari non frequenta nè si rinchiude in hotels a 5 stelle per stare in un finto e momentaneo paradiso che in realtà non è altro che l'inferno dell'esistenza umana se lo si considera un rifugio dell'anima. L'anima è sempre quella, rimane sempre giovane se la si alimenta con buoni valori e la vecchiaia del corpo non ha la vittoria su di essa se solo l'anima le impone la sua giovinezza e questo è il messaggio che un grande regista dovrebbe comunicare alle nuove generazioni ma anche all vecchie (Sorrentino non l'ha fatto nel suo utimo film nè su questo), solo così il mondo potrà essere migliore, solo così si potranno vincere le contrapposizioni e le diatribe di fede e tra credi, tra la civiltà cristiana occidentale ed islamica integralista, tra ricchi e i poveri, tra i proprietari ed nullatenenti, tra i fortunati della vita ed i meno fortunati. Auguri Sorrentino, bravissimo ma cerca di allargare un pò i confini della tua anima tanto quanto sai fare con la fotografia dei tuoi film.
Pat60
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luanaa
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sabato 27 giugno 2015
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ricordiamoci comunque
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Che Sorrentino/Garrone/Moretti non sono stati filati a Cannes. Che quest'anno ha preso un premio un regista ungherese come l'anno scorso un'altro regista ungherese col favoloso WHITE GOD)...come pure un greco una irlandese ed un colombiano e con la palma d'oro ad Audiard.Ricordiamoci che il cinema è lo specchio di una cultura. E che purtroppo l'Italia non ha una voce significativa culturale, che siamo in una depressione in tutti i sensi.Peccato per il grande cast (adoro Paul Dano.../ Keitel/....e Caine) Ricordiamocelo.Luana.
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omero sala
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venerdì 26 giugno 2015
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de senectute 2
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Caine si salva, splendidamente inespressivo come sempre (e flemmatico come piace a noi, con le rughe come valore aggiunto). Keitel è il solito cialtrone, qui in disarmo.
La Fonda è un mascherone imbarazzante di disincantato cinismo e di forzata trivialità, ma da sotto il cerone trasuda muffa, non traspira la malìa suggestiva delle grottesche creature felliniane.
La sfilata dei personaggi di contorno echeggia proprio il bestiario di Fellini, esplicitamente omaggiato nella sconcertante apparizione a Keitel degli interpreti di tutti i suoi film sui verdi pascoli alpini insolitamente sgombri da musicanti mandrie in prova d’orchesta. Ma mentre Fellini ritrae archetipi organici al senso generale dei suoi film (pensate alla galleria di Amarcord), Sorrentino abbozza caricature (l’obeso Maradona, il monaco buddista che levita, l’alpinista rozzo, la massaggiatrice analista, l’équipe degli sceneggiatori creativi, l'aplombico inviato della regina, la coppia rancorosa) e le infila nella trama (trama?) in un susseguirsi di siparietti dissociati, senza farcene intuire la funzionalità, le connessioni, il significato.
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Caine si salva, splendidamente inespressivo come sempre (e flemmatico come piace a noi, con le rughe come valore aggiunto). Keitel è il solito cialtrone, qui in disarmo.
La Fonda è un mascherone imbarazzante di disincantato cinismo e di forzata trivialità, ma da sotto il cerone trasuda muffa, non traspira la malìa suggestiva delle grottesche creature felliniane.
La sfilata dei personaggi di contorno echeggia proprio il bestiario di Fellini, esplicitamente omaggiato nella sconcertante apparizione a Keitel degli interpreti di tutti i suoi film sui verdi pascoli alpini insolitamente sgombri da musicanti mandrie in prova d’orchesta. Ma mentre Fellini ritrae archetipi organici al senso generale dei suoi film (pensate alla galleria di Amarcord), Sorrentino abbozza caricature (l’obeso Maradona, il monaco buddista che levita, l’alpinista rozzo, la massaggiatrice analista, l’équipe degli sceneggiatori creativi, l'aplombico inviato della regina, la coppia rancorosa) e le infila nella trama (trama?) in un susseguirsi di siparietti dissociati, senza farcene intuire la funzionalità, le connessioni, il significato. Ma si sa, nei Grand Hotel c’è sempre gente che viene... che va... tutto senza scopo... (come nel film di Goulding del 1932).
Un film da spiluccare, insomma, dove ognuno, come negli aperitivi in piedi, può trovare bocconi sorprendentemente saporiti. Ma si capisce da lontano che l’infilata kitsch delle guantiere zeppe è pensata per fare bella mostra di sé, con le tartine policrome e lustre fatte di pane flaccido e lamelle di salmone sotto vuoto.
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omero sala
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venerdì 26 giugno 2015
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de senectute
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De senectute doveva intitolarsi questo film, e non La giovinezza, che – incarnata nei folgoranti glutei di miss universo – sfila solo per un attimo (come Anita nel fontanone di Trevi) davanti agli occhi miopi di Michael Caine (92 anni suonati) e a quelli da topo di Harvey Keitel (che assomiglia un po’ a Polanski e di anni ne ha solo 76).
Dopo Moretti (Mia madre) anche Sorrentino riflette sulla dissoluzione della vecchiaia e della memoria: il primo, che forse la sente incombente, cincischia nevrotico ed vanitoso; il secondo, che la prefigura lontana, filosofeggia desolato e fellineggia come al solito. Ma in ambedue c’è qualcosa di fasullo, di artificioso: viene da pensare che sia un vizio tutto italiano, degli autori italiani, quello di girare film per esibirsi e non per far vivere emozioni, di mandare messaggi al milieu degli intellettuali snob che si atteggiano a cinefili, di solleticare la corteccia cerebrale dei critici, di offrire argomenti ai giornalisti della pagina degli spettacoli, far litigare le giurie dei festival e fomentare le polemiche che fanno bene al botteghino.
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De senectute doveva intitolarsi questo film, e non La giovinezza, che – incarnata nei folgoranti glutei di miss universo – sfila solo per un attimo (come Anita nel fontanone di Trevi) davanti agli occhi miopi di Michael Caine (92 anni suonati) e a quelli da topo di Harvey Keitel (che assomiglia un po’ a Polanski e di anni ne ha solo 76).
Dopo Moretti (Mia madre) anche Sorrentino riflette sulla dissoluzione della vecchiaia e della memoria: il primo, che forse la sente incombente, cincischia nevrotico ed vanitoso; il secondo, che la prefigura lontana, filosofeggia desolato e fellineggia come al solito. Ma in ambedue c’è qualcosa di fasullo, di artificioso: viene da pensare che sia un vizio tutto italiano, degli autori italiani, quello di girare film per esibirsi e non per far vivere emozioni, di mandare messaggi al milieu degli intellettuali snob che si atteggiano a cinefili, di solleticare la corteccia cerebrale dei critici, di offrire argomenti ai giornalisti della pagina degli spettacoli, far litigare le giurie dei festival e fomentare le polemiche che fanno bene al botteghino.
Sorrentino, fra i cosiddetti grandi, non è il primo a cedere a questi impulsi: troppi registi (ma anche molti artisti, scrittori, compositori,…), dopo aver dato l’anima e essersi espressi in alcune prime opere geniali (ascoltando la creatività compressa che “ditta dentro”), una volta assaggiato il meritato successo, si sono lasciati gradualmente sedurre dalle sirene della presunzione sino a farsi fagocitare dagli ingranaggi della produzione per partorire quello che vuole il mercato (“internazionale” of course), quello che i consumatori si attendono, quello che la carriera impone.
Youth non si sottrae a questo meccanismo: per un’oretta svolazza a mezz’aria con quella dose di confusione che te lo fa sembrare alla ricerca disorientata di risposte sulla vita e sull’amore, sulla paternità e sull’arte, sulla dissoluzione dei legami e sull’inquietudine di chi sente vicina la fine. Poi arranca disorganico, delude le promesse e precipita pesantemente sotto il peso della sua esagerata artificiosità, eccessivo nei colori, sentenzioso nei dialoghi (che sono sostanzialmente un montaggio di monologhi, un’antologia dell’aforismo), triste nella sua consapevole e colpevole immodestia. Volendo parere un grande film, riesce a essere solo penosamente grosso, ingombrante, opulento, ponderoso, indigesto come un piatto con troppi ingredienti.
Volendo essere antinarrativo, riesce a essere confuso, soprattutto per l’eccessivo numero di sequenze oniriche (che, vabbè, sono inspiegabili per loro natura, ma sono tenute ad essere significative e organiche alla sia pur articolata complessità del discorso).
Volendo essere denso, diventa criptico per la fissazione nell’uso di messaggi subliminali (le simmetrie minimaliste degli interni, le esplosioni primaverili degli esterni, l’onnipresenza dell’acqua) e per le disseminate metafore (acuta quella della felicità, lontanissima per i vecchi, illusoriamente a portata di mano per i giovani, irraggiungibile per tutti).
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[+] michael caine
(di gabriella)
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