russell crowe
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venerdì 12 giugno 2015
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noioso
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Film molto noioso e statico. Gli attori bravi i dialoghi non male ma complessivamente scarso
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(di ska82)
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daniele fanin
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venerdì 12 giugno 2015
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youth: la meglio bellezza
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L’ultimo film di Sorrentino, di ritorno a Cannes dopo il successo planetario dell’Oscar per il Miglior Film Straniero (ma proprio la Croisette aveva snobbato il film che poi avrebbe trionfato all’Academy Award), potrebbe e dovrebbe piacere sia agli estimatori del regista e sceneggiatore napoletano, per l’usuale raffinatezza delle immagini e l’icasticità di alcune battute, che ai suoi detrattori, per l’inaspettata solidità e coerente sviluppo di una storia, abilità non sempre dimostrata in passato dal regista di La Grande Bellezza.
E si trova molta più bellezza in Youth che nel precedente film di Sorrentino, proprio per la sapiente miscela di immagini e narrativa, per la buona compattezza del linguaggio e della scrittura cinematografici, purtroppo latenti nella serie di quadretti calligrafici che era La Grande Bellezza.
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L’ultimo film di Sorrentino, di ritorno a Cannes dopo il successo planetario dell’Oscar per il Miglior Film Straniero (ma proprio la Croisette aveva snobbato il film che poi avrebbe trionfato all’Academy Award), potrebbe e dovrebbe piacere sia agli estimatori del regista e sceneggiatore napoletano, per l’usuale raffinatezza delle immagini e l’icasticità di alcune battute, che ai suoi detrattori, per l’inaspettata solidità e coerente sviluppo di una storia, abilità non sempre dimostrata in passato dal regista di La Grande Bellezza.
E si trova molta più bellezza in Youth che nel precedente film di Sorrentino, proprio per la sapiente miscela di immagini e narrativa, per la buona compattezza del linguaggio e della scrittura cinematografici, purtroppo latenti nella serie di quadretti calligrafici che era La Grande Bellezza.
In un albergo termale molto esclusivo sulle alpi svizzere confluiscono, come elefanti alla pozza d’acqua nella sera della savana, ospiti di tutte le età e le provenienze, ciascuno in cerca di qualcosa di diverso ma accomunati dalla mancanza di questo qualcosa. Volando con la lentezza e leggerezza di un aliante sopra le vicende di Fred, grande musicista e direttore d’orchestra a riposo alla ricerca di una dimensione umana oltreché musicale, e di Mick, famoso regista alla ricerca di un ultimo film che possa suggellare in maniera esemplare una carriera da sogno ma in lento ed inesorabile declino, il film ci conduce per mano, con maestria e toccante coinvolgimento, all’opposto esito di queste due ricerche, armonico in Fred, distonico in Mick.
Interessante nella scelta del titolo, che identifica la giovinezza con la ricerca e la crescita interiori più che con l’età biologica del corpo, Youth è strutturato su livelli decrescenti ma fortemente coesi ed integrati: un Protagonista (un misurato e convincente Michael Caine nel ruolo di Fred), un co-protagonista (l’inossidabile Hervey Keitel come Mick), due non-protagonisti (un’emotivamente coinvolta Rachel Wiesz nel ruolo della figlia di Fred ed un misurato ed accattivante Paul Dano nei panni dell’attore di successo californiano), cui fa da contorno un corifeo di personaggi delineati con poche ma precise pennellate cinematografiche da personaggi della commedia dell’arte: il campione di calcio oltre il tramonto, la massaggiatrice con poche cose da dire, la guida alpina, Miss Universo, l’emissario della regina, la star 100% made in Hollywood, cui Jane Fonda presta con ironia ma scarsa efficacia il proprio carisma, la composita miscela di giovani sceneggiatori, la coppia silenziosa.
La rischiosa strategia di mescolare una finta realtà (la regina, la vera pop start, il campione) alla vera finzione narrativa è risultata vincente: Youth con ogni probabilità non raccoglierà i premi ed il successo di La Grande Bellezza ma rappresenta sicuramente un passo in avanti molto deciso verso la piena maturità registica e di scrittura di Paolo Sorrentino.
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marezia
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venerdì 12 giugno 2015
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memorie di un'adepta
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Così sono stata chiamata, giusto? Adepta. Io? Lei, semmai, di un certo Huston, evocato in nome di non so che cosa. Dei paesaggi? Delle montagne? Perché io armi non ne ho viste e divise nemmeno (eccetto che per quella di Hitler, doverosa citazione storica e anche un tocco di surreale che in una galleria umana quale quella dell'albergo ben ci stava). Dire che il film l'avesse annoiato sarebbe bastato; il resto è stato folklore: citazionismo e anche una certa dose (non piccola) di narcisismo. Insomma, ci ha informati dei Suoi orari, di tutte le possibile e immaginabili alternative gastronomiche, dei Suoi gusti, e perfino del fatto che fosse accompagnato.
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Così sono stata chiamata, giusto? Adepta. Io? Lei, semmai, di un certo Huston, evocato in nome di non so che cosa. Dei paesaggi? Delle montagne? Perché io armi non ne ho viste e divise nemmeno (eccetto che per quella di Hitler, doverosa citazione storica e anche un tocco di surreale che in una galleria umana quale quella dell'albergo ben ci stava). Dire che il film l'avesse annoiato sarebbe bastato; il resto è stato folklore: citazionismo e anche una certa dose (non piccola) di narcisismo. Insomma, ci ha informati dei Suoi orari, di tutte le possibile e immaginabili alternative gastronomiche, dei Suoi gusti, e perfino del fatto che fosse accompagnato. Troppa grazia!
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dhany coraucci
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giovedì 11 giugno 2015
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sorrentino magnifico, piu' artista che regista
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Non sono un'estimatrice di Picasso ma quello che ha detto sulla giovinezza è talmente profondo e veritiero da farmi dimenticare ogni remora nei suoi confronti: “Ci si mette molto tempo per diventare giovani”. Che Sorrentino abbia pensato a Picasso mentre ideava il film non so, ma pare proprio che si sia ispirato a questa frase. E l'ha reinventata a modo suo, con quella profondità assorta e lungimirante che appartiene al linguaggio poetico più di ogni altra cosa. Ve lo devo proprio dire: io adoro Sorrentino, amo il suo modo di esprimersi, i suoi personaggi impregnati di amarezza, le sue storie sottili ma che spalancano mondi sconfinati da esplorare: perché ogni inquadratura, per me; ogni frase, ogni sguardo e ogni singola nota musicale che li accompagnano sono circondati di mistero e intensità e stimolano immensamente tutti i miei sensi nel tentativo di comprenderli, di condividerli o semplicemente di ascoltarli.
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Non sono un'estimatrice di Picasso ma quello che ha detto sulla giovinezza è talmente profondo e veritiero da farmi dimenticare ogni remora nei suoi confronti: “Ci si mette molto tempo per diventare giovani”. Che Sorrentino abbia pensato a Picasso mentre ideava il film non so, ma pare proprio che si sia ispirato a questa frase. E l'ha reinventata a modo suo, con quella profondità assorta e lungimirante che appartiene al linguaggio poetico più di ogni altra cosa. Ve lo devo proprio dire: io adoro Sorrentino, amo il suo modo di esprimersi, i suoi personaggi impregnati di amarezza, le sue storie sottili ma che spalancano mondi sconfinati da esplorare: perché ogni inquadratura, per me; ogni frase, ogni sguardo e ogni singola nota musicale che li accompagnano sono circondati di mistero e intensità e stimolano immensamente tutti i miei sensi nel tentativo di comprenderli, di condividerli o semplicemente di ascoltarli. Questo poi, per me, è il più bello di tutti i suoi film per innumerevoli ragioni. Dalle storie che hanno per protagonisti degli anziani ci si aspetta sempre un po' di saggezza e di verità, ma bisogna anche aver qualcosa da dire se non si vuole fare solo della retorica e Sorrentino che per me è più artista che regista, da dire ha molte cose. I due protagonisti ( Michael Caine e Harvey Keitel, il secondo più strepitoso del primo) sono due vecchi artisti che trascorrono le vacanze assieme nella quiete un po' soporifera e balsamica della Svizzera più lussuosa. Uno è apatico, l'altro è inquieto. Nelle loro abituali passeggiate si ritrovano i ricordi, i rimpianti, le passioni e le difficoltà di una vita che sta giungendo al termine. A volte sono divertenti e assomigliano a Walter Matthau e Jack Lemmon, ma più spesso sono segnati da una consapevolezza e da una fragilità che nemmeno il loro conclamato successo e tutta la loro agiatezza riescono a mitigare. Sono stati giovani, sono stati innovatori, mariti, amanti e infine padri. E' tutto lì, in quel soggiorno esclusivo in cui ogni ora è programmata e asettica; a volte ci sono dei vuoti di memoria o dei dubbi, a volte arriva un ospite inatteso, a volte si devono compiere delle scelte difficili o spiegare perché un tempo si sono dovute fare, a volte ci sono dei sogni e dei luoghi bui e lontani. Ecco, un film del genere, denso e raffinato e assorto, potrebbe anche non finire mai e il piacere di assistervi rimarrebbe immutato, almeno per me che sono affascinata da tanta poesia. Ha un cast di attori stranieri di altissimo livello, io apprezzo moltissimo questa scelta perché la malìa del film è espressa, grazie a loro, all'ennesima potenza. Anche Paul Dano per cui non ho mai avuto una gran simpatia, qui è bravissimo! (quello che dice sul desiderio fa venire i brividi). Lunghi primi piani impietosi alle due attrici (Rachel Weisz e Jane Fonda) che si esprimono in un intenso monologo sono tra le scene più belle del film. E poi, come sempre, c'è la musica preponderante: sommerge, fluttua, scompone. Generi diversissimi, coraggiosamente sofisticati e tra tutti un vecchio amore di cui io mi innamorai quasi trent'anni fa, Mark Kozelek (addirittura il suo nome è quarto nei titoli d'apertura, benché faccia solo una piccola apparizione) un musicista americano d'indole inglese, schivo e misterioso, molto “indipendent” ma con suo affezionatissimo seguito (vedi me); le sue ballate acustiche che fanno da colonna sonora a numerosissime inquadrature sono tutte meravigliose. E concluderei la mia “sviolinata” colma di gratitudine e di piacere con la scena nella quale Michael Caine dirige un concerto “bucolico” di campanacci e suoni della natura, uno splendore!
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redrose
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giovedì 11 giugno 2015
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youth - inno alla giovinezza
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Premesso che tutti i film di Sorrentino necessitano, a mio avviso, di lungo processo di metabolizzazione e di successive e approfondite visioni, per godere a pieno di tutte le sfumature e per ascoltare con attenzione gli apparentemente vacui ed esigui dialoghi, anche questa volta si esce dalla sala costernati, come quando ci si sveglia bruscamente da un sogno popolato da personaggi eccentrici, la cui esistenza sembrerebbe giustamente insignificante.
“Le emozioni sono sopravvalutate” afferma il protagonista, e lo sono così tanto da farle fuori dalla propria vita…ma è davvero così?
Fred Ballinger (interpretato dal bravo e longevo Michael Caine) è apatico e annoiato quanto Jep Gambardella: direttore d’orchestra in pensione, è un uomo che non ha più interesse per nulla, guarda indietro nel passato ma nello stesso tempo lo rifiuta; non ha voglia di tornare a dirigere, respinge ogni proposta di scrivere un libro, non ha un bel rapporto con la figlia (un simpaticone insomma).
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Premesso che tutti i film di Sorrentino necessitano, a mio avviso, di lungo processo di metabolizzazione e di successive e approfondite visioni, per godere a pieno di tutte le sfumature e per ascoltare con attenzione gli apparentemente vacui ed esigui dialoghi, anche questa volta si esce dalla sala costernati, come quando ci si sveglia bruscamente da un sogno popolato da personaggi eccentrici, la cui esistenza sembrerebbe giustamente insignificante.
“Le emozioni sono sopravvalutate” afferma il protagonista, e lo sono così tanto da farle fuori dalla propria vita…ma è davvero così?
Fred Ballinger (interpretato dal bravo e longevo Michael Caine) è apatico e annoiato quanto Jep Gambardella: direttore d’orchestra in pensione, è un uomo che non ha più interesse per nulla, guarda indietro nel passato ma nello stesso tempo lo rifiuta; non ha voglia di tornare a dirigere, respinge ogni proposta di scrivere un libro, non ha un bel rapporto con la figlia (un simpaticone insomma).
Dall’altra parte della barricata invece, il caro “vecchio” amico di sempre Mick Boyle (Harvey Keitel), un anziano regista ancora in cerca di consacrazione, aggrappato saldamente al passato, forse anche troppo. E poi tanti personaggi che si ritrovano in un lussuoso albergo di budapestiana memoria ai piedi delle Alpi, a vivere il proprio tempo con leggerezza, la stessa leggerezza, che in fondo, si farà mal di vivere e perversione.
Gli ospiti che abitano questo set onirico sono lì proprio per restituirci il senso e il valore delle emozioni: il potere del desiderio che permette al monaco tibetano di liberare la sua testa dalle leggi della fisica, la nostalgia per il passato del più grande calciatore della storia (un finto e se possibile ancor più sfatto Diego Armando Maradona); un intenso Paul Dano nei panni del tormentato Jimmy Tree, il divo di supereroi che viene screditato con parole sapienti da una stupenda e infinitamente giovane Madalina Ghenea (Miss Universo); una figlia impegnativa, Lena, interpretata da una sensuale e matura Rachel Weisz che, come tutte le donne ferite dall’amore, non aspetta altro che di lasciarsi andare nelle braccia di un campione di free climbing. Insomma ognuno cerca a suo modo uno spiraglio di felicità.
Youth è un film sulla la sacralità della giovinezza perché elogia la vecchiaia come un tempo maturo, un omaggio scomodo alla nostalgia che ogni tanto ti viene a cercare e ti obbliga a riflettere, sul tuo passato e su quel che resta del futuro. Anche in questa pellicola lo stile sorrentiniano è inconfondibile: onirico, visionario, barocco, irrimediabilmente lento e alla fine ineluttabilmente triste. O lo ami o lo odi, non ci sono vie di mezzo. I suoi frame sono quadri, o ti struggono e lasciano il segno o ti lasciano indifferente, è inutile discutere sulla mancanza di trama e sulla debolezza del soggetto. Non è questo il punto. Il punto è che la musica irrompe sulle scene, quasi quanto è dirompente la fotografia. E che un padre e una figlia riescono a dirsi quello che non si sono mai detti. Il punto è che il talento visivo del regista è indiscutibilmente suggestivo. “Tutto dipende da come metti il cannocchiale. Da che lente usi per guardare il mondo”. Lo stesso vale per questo film, usate tutti i vostri sensi e lasciatevi guidare. Vi piacerà.
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artal
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mercoledì 10 giugno 2015
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la grande giovinezza
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Youth di Paolo Sorrentino
La giovinezza è guardare qualcosa trovandolo intensamente vicino, la vecchiaia è l'esatto opposto, è la memoria che fa capricci, è un lento andare verso il lontano.
Un direttore di orchestra ormai in pensione si trova a fare i conti con l'amore per la musica cui ha sacrificato quasi tutto, dal rapporto con la moglie a quello con la figlia, coinvolta e sconvolta dalla fine del suo matrimonio. Un regista si dedica alla stesura della sua ultima opera coadiuvato da un gruppo di giovani sceneggiatori. Un attore si dedica alla creazione del personaggio che dovrà liberarlo dal ruolo commerciale che lo ha reso famoso e per finire trova spazio anche la partecipazione di una miss universo in grado di solleticare pruriti agli spettatori ignari della sua nuda bellezza.
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Youth di Paolo Sorrentino
La giovinezza è guardare qualcosa trovandolo intensamente vicino, la vecchiaia è l'esatto opposto, è la memoria che fa capricci, è un lento andare verso il lontano.
Un direttore di orchestra ormai in pensione si trova a fare i conti con l'amore per la musica cui ha sacrificato quasi tutto, dal rapporto con la moglie a quello con la figlia, coinvolta e sconvolta dalla fine del suo matrimonio. Un regista si dedica alla stesura della sua ultima opera coadiuvato da un gruppo di giovani sceneggiatori. Un attore si dedica alla creazione del personaggio che dovrà liberarlo dal ruolo commerciale che lo ha reso famoso e per finire trova spazio anche la partecipazione di una miss universo in grado di solleticare pruriti agli spettatori ignari della sua nuda bellezza. Il tutto ambientato in una Svizzera primaverile dalle blue cime.
C'è un'antipatia verso Sorrentino che male si lega con l'Opera, un'antipatia per il regista, non certo per l'uomo, perchè il suo modo di raccontare le cose, lo spazio della narrazione ed il tempo della trama, sono borghesi e perbenisti come una scena bucolica in cui non trovano spazio le rivolte contadine, gli allevatori sporchi di sudore e la sporcizia che l'uomo ha in se e produce. È un'antipatia legata al suo sguardo da salotto buono, così lindo e così ricercato da sembrare innaturale. Eppure c'è qualcosa di nuovo, qualcosa che non si trova altrove, c'è un'innovazione di fondo che non si vedeva dai tempi di Fellini, una costruzione delle sequenze che ha del rivoluzionario: perchè il film è costruito sulle immagini e per queste. Può sembrare una banale ovvietà, invece è l'appunto più evidente che si possa fare a questo film, perchè sono le immagini, le inquadrature, le luci e la fotogafia ad importare. Tutto il resto no. Non ha importaza, nessuna, la sceneggiatura, a tratti insignificante e senza alcuno spessore; non hanno importanza i dialoghi, sciatti e a tratti grotteschi ridotti ad un semplice riempitivo, qualcosa per interrompere il susseguirsi delle inquadrature; non ha importanza la storia e nessuna importanza ha la trama che a tratti pare di una sconcertante stupidità. Chi sta dietro la macchina da presa, il cameramen, lo sceneggiatore ed il soggettista, potrebbero pure non esserci. Eppure, e qui sta il colpo di genio, è un cinema innovativo, è qualcosa che dicevamo di non vedere da tanti anni, un modo di rendere il cinema il posto per le immaggini e nient'altro, come se di nuovo linguaggio si parlasse, come se ci si trovasse di fronte ad una nuova concezione di cinema e questo a discapito dell'antipatia che suscita una simile consapevolezza. Gli attori, magistrali e dalla potenza scenica non indifferente, rendono piacevole la visione. Michael Caine è un portento, Harvey Keitel è un degno compromesso tra i ricordi che suscita ed i capelli spolverati di bianco, Rachel Weisz formidabile.Tutto questo idillo però non dura che per una ottantina di minuti a fronte dei 138 circa. Perchè sul dialogo in cui trova spazio una insensata Jane Fonda, è forte la voglia di alzarsi e andare via per poi magari tornare proprio prima della fine, quando l'ennesima inutile scena non è che una conferma di quanto fosse sufficente interrompere il film e trattarlo come un documentario, uno di quelli sulla natura con gli animali. Voto 6.
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barone di firenze
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domenica 7 giugno 2015
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fellini docet
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E' la prima volta che mi trovo in difficoltà a commentare un film, solo emozioni e sensazioni si ride si piange, l'atmosfera Felliniana delle saune edei personaggi sul prato sono spettacolari come la copula ad alta quota. La musica una colonna sonora da urlo dal rock al pop alla sinfonica. Ciliegina sulla torta il bonzo che lievità, bravo Sorrentino con la tua faccia pacioccona da bravo ragazzo.
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enzo70
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domenica 7 giugno 2015
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un film da non perdere che conferma sorrentino
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Sorrentino conferma con Youth un percorso di crescita artistica che amplifica sempre più le distanze dal mediocrissimo “Il Divo”. Un film impegnato ed allo stesso tempo leggero, l’incredibile capacità con scene surreali di alleggerire il ritmo del racconto ricorda sempre più il miglior Fellini. Perché Youth è insieme etica, la decisione di un anziano direttore di orchestra di non tornare a dirigere, neanche su richiesta della regina di Inghilterra, per omaggio alla moglie, ricoverata in una clinica psichica a Venezia; ed un regista alla ricerca dell’ultimo film, il capolavoro con cui chiudere la sua carriera artistica; ed è estetica nelle scelte artistiche spesso audaci ma che esaltano i gusti, e il plurale non è casuale, degli spettatori; l’ambientazione del racconto, in un elegante hotel sulle Alpi svizzere e lo straordinario alternarsi di protagonisti, una vera e propria carrellata di diversa umanità, risultano l’ennesima scelta indovinata.
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Sorrentino conferma con Youth un percorso di crescita artistica che amplifica sempre più le distanze dal mediocrissimo “Il Divo”. Un film impegnato ed allo stesso tempo leggero, l’incredibile capacità con scene surreali di alleggerire il ritmo del racconto ricorda sempre più il miglior Fellini. Perché Youth è insieme etica, la decisione di un anziano direttore di orchestra di non tornare a dirigere, neanche su richiesta della regina di Inghilterra, per omaggio alla moglie, ricoverata in una clinica psichica a Venezia; ed un regista alla ricerca dell’ultimo film, il capolavoro con cui chiudere la sua carriera artistica; ed è estetica nelle scelte artistiche spesso audaci ma che esaltano i gusti, e il plurale non è casuale, degli spettatori; l’ambientazione del racconto, in un elegante hotel sulle Alpi svizzere e lo straordinario alternarsi di protagonisti, una vera e propria carrellata di diversa umanità, risultano l’ennesima scelta indovinata. Un cast di altissimo livello, Michael Caine su tutti, facilitano il lavoro. A questo punto non sono i premi, ma la qualità dei film, a decidere che oggettivamente Sorrentino è il più grande regista italiano in attività.
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angelo umana
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domenica 7 giugno 2015
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che si esprima
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che si esprimA meglio di me ... Ancora complimenti.
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luka1975
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domenica 7 giugno 2015
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film di spessore
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Finalmente un film per cui vale la pena andare al cinema.
Dopo tante delusioni di film dalla trama sterile e decisamente banali che abbondano nelle sale e nei Festival Sorrentno ci regala l ennesima perla. Un film coinvolgente , appassionante magistralmente interpretato.
Una cifra stilistica che ti rimane dentro e da spessore. Un classico. Nulla di casuale musica e immagini e parole.
La regia la scelta dei personaggi, mai ripetitivi ma ciascuno con la sua storia e anche la fotografia sono di ben altro livello rispetto a quanto offre oggi la presunta concorrenza di Sorrentino.
Eppure tanta critica parla di kitch o di baci perugina.. Ma il mondo e` bello perche' vario e tutti hanno liberta` di parola.
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Finalmente un film per cui vale la pena andare al cinema.
Dopo tante delusioni di film dalla trama sterile e decisamente banali che abbondano nelle sale e nei Festival Sorrentno ci regala l ennesima perla. Un film coinvolgente , appassionante magistralmente interpretato.
Una cifra stilistica che ti rimane dentro e da spessore. Un classico. Nulla di casuale musica e immagini e parole.
La regia la scelta dei personaggi, mai ripetitivi ma ciascuno con la sua storia e anche la fotografia sono di ben altro livello rispetto a quanto offre oggi la presunta concorrenza di Sorrentino.
Eppure tanta critica parla di kitch o di baci perugina.. Ma il mondo e` bello perche' vario e tutti hanno liberta` di parola. Sarebbe sempre meglio pero' non confondere la cioccolata con altre cose.. Anche per igiene personale.
Sul film... E dunque un aspetto episodico e il gusto per l` aforisma o il motto filosofeggiante certamente ci sono.
E dunque questo sarebbe un minus rispetto a un continuo dialogare?
Sarebbe un minus rispetto a due soli personaggi esaminati per 120 minuti?
Esiste un equo canone anche per i giorni di durata della storia? C` e' un numero di feriti che un bel film dovrebbe avere?
La trama c` e' i personaggi abbondano. Forse quello che il film e il regista chiedono al pubblico e' di tenere acceso il cervello fino all` ultimo e di prestare concentrazione.. Cosa non da tutti.
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