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Alla ricerca del futuro

La fantascienza vintage in Oblivion.
di Roy Menarini

Tom Cruise in una scena del film Oblivion.
Tom Cruise (Thomas Cruise Mapother IV) (61 anni) 3 luglio 1962, Syracuse (New York - USA) - Cancro. Interpreta Jack Harper nel film di Joseph Kosinski Oblivion.

domenica 14 aprile 2013 - Approfondimenti

È curioso che in un film dove la memoria dei protagonisti è stata cancellata, i riferimenti ad un'altra memoria - quella del cinema - siano così numerosi. Da quando Oblivion è uscito nelle sale, non si fa altro che elencare il maggior numero di citazioni e allusioni possibili presenti nella pellicola, che coprono praticamente tutto la storia di questo genere. In verità, la predilezione di Joseph Kosinski sembra andare alla science fiction degli anni Settanta, con un occhio a Zardoz, uno a 2002 - La seconda Odissea e una mano nel cilindro del sottogenere distopico e orwelliano.
In gioco, nel profondo, c'è una vera e propria estetica della fantascienza. Non tutti i generi sono uguali tra di loro. Il cinema d'autore e il contesto del cinema cosiddetto drammatico sembrano richiedere una maggiore originalità proprio per la loro stessa ambizione di offrire sguardi e percorsi inediti nella nostra vita. Generi codificati come l'horror e la fantascienza - spesso in fertile e reciproco dialogo - operano in altre direzioni. L'originalità in senso stretto (sempre che esista dopo quasi centoventi anni di cinema) non è presupposto essenziale, caso mai un sapiente equilibrio tra consapevolezza storica e rilancio d'immaginario. Oblivion è uno dei pochi film di science fiction contemporanei che sembra possedere il respiro del classico, anche se fiaccato da alcuni passaggi meno felici e personaggi secondari incerti. I temi profondi che la fantascienza si incarica da sempre di sollecitare, ci sono tutti: la memoria riprodotta, l'intelligenza artificiale, l'alieno come altro da noi, la metafora del cataclisma e della guerra come nascosto desiderio di palingenesi, la crisi dell'identità personale. A sua volta, la dimensione formale e iconografica del film obbedisce, sì, al sincretismo tipico di questo genere almeno a partire dagli anni Ottanta, ma predilige (e coglie) uno stile egemonico sulla mera amalgama, uno stile composto di chiarore e nitidezza in opposizione alla dimensione oscura e tenebrosa della tradizione alla Metropolis/Blade Runner.
In buona sostanza, la riuscita di Oblivion potrebbe essere riassunta nello slogan: temi vintage con messa in scena tecnologicamente avanzata. È anche nella realizzazione tecnica, infatti, che si nasconde la promessa della fantascienza, legata allo stupore e alla credibilità (se non verosimiglianza) dei mondi rappresentati. E tornando ai temi elencati poco fa, Oblivion acuisce la sensazione di un catastrofismo che occulta il suo contrario, un'aspirazione al completo rimodellamento dei rapporti umani e civili, una fantasia talvolta commovente di recupero del passato ancestrale: due elementi che si potrebbero tacciare di superficialità e sentimentalismo, ma che - al contrario - ricordano la funzione primaria della fantascienza. Quella di raffigurare eventi talmente immensi e incontrollabili da far pensare che solo un cinema all'altezza di questo immaginario possa contenerli e raccontarli.

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