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Odissea di un gatto folk

Filosofia e musica in A proposito di Davis.
di Roy Menarini

Oscar Isaac - Capricorno. Interpreta Llewyn Davis nel film di Joel Coen, Ethan Coen A proposito di Davis.

domenica 9 febbraio 2014 - Approfondimenti

Il senso dell'ultimo capolavoro dei fratelli Coen sta tutto in un dialogo. Costretto per un errore a trascinare con sé il gatto rosso dei padroni di casa, Llewyn telefona all'università dove lavora l'amico e prega la segretaria di rassicurarlo: "I have the cat". La segretaria non capisce e ripete come in un teatro dell'assurdo "Ok, you are the cat". E Llewyn insiste: "No, I HAVE the cat!". In verità, lui è il gatto, vero protagonista di questo film. Si chiama, non a caso, Ulisse, ed è l'unico che ha una casa dove tornare, peraltro dopo essere stato scambiato per un altro gatto - in uno dei tipici scambi di persona o di oggetti nonsense della filmografia coeniana. Llewyn al massimo può tornare al primo divano che lo ha ospitato, il resto è una sua personale, malinconica, ridicola e tristissima Odissea che ruota attorno al nulla, il grande nulla che i Coen narrano da sempre - due autori ormai paragonabili, come peso nella cultura americana, a Charles Schultz o Art Spiegelman.

Nessuno come i Coen avrebbe potuto comprendere così a fondo il folk pre-Dylan del 1961, il Village (tutt'altro che euforico o romantico), la rivalità col beat e col jazz rappresentata dalle figure di Roland Turner (alias Doc Pomus) e del suo accompagnatore/poeta. È vero che pochi anni dopo in Italia Guccini esordiva con un disco intitolato Folk Beat n.1, saldando d'un colpo le due tradizioni (e del resto proveniva da un gruppetto chiamato Gatti - ci sarà una logica astrale), però in America le cose non stavano esattamente così. Persino il folk urbano, di cui Davis (alias Dave Van Ronk) fa parte, è ben diverso dal folk campagnolo, tanto è vero che a un certo punto il protagonista deluso e alticcio insulta una simpatica contadina che sta strimpellando una canzone del repertorio provinciale.
Attirandosi le prevedibili ire dei sopravvissuti e dei parenti di quell'epoca, i Coen hanno in verità proceduto con la consueta spericolatezza nel rimanere a cavallo tra filologia e reinvenzione di sana pianta. Tutta la vicenda ispirata alle memorie di Van Ronk diventa sì una ricostruzione d'epoca, ma nel contempo vale come rilettura mentale e filosofica dei rapporti tra musica e società in America. La nostra distribuzione ci permette di vedere A proposito di Davis pochi giorni dopo la scomparsa di uno dei padri del folk, Pete Seeger, autore di parecchi standard poi cantati dai gruppi cui si allude nel film dei Coen - basti pensare a If I had a Hammer ripresa poi da Peter, Paul & Mary (qui Jim, Jean and Troy). Fu tra coloro che cercarono di staccare la spina elettrica di Dylan nel concerto di Newport del 1965 - secondo alcuni il momento in cui finì simbolicamente anche il Greenwich Village.

E proprio Dylan è il fantasma (infine concreto) che aleggia su tutto il film. Dylan si è sempre prestato a paradossi di rappresentazione, giocando con la propria identità, anche nel bizzarro film da lui diretto, Renaldo and Clara. Ma i Coen sembrano più che altro dialogare con Io non sono qui di Todd Haynes e No Direction Home di Martin Scorsese, trascinando però l'epopea folk pre-menestrello in un ambito di cui appropriarsi, ovvero la leggenda ebraica (evidente, fin dalla somatica, nelle cene a casa dei Gorfein) e la filosofia, con Wittgenstein e Gödel sullo sfondo. Toccando imprevisti picchi di commozione e struggimento, i Coen hanno dunque superato se stessi, e espresso una maestria che sottende un magma di significati e percorsi nascosti, che - nel tempo, rivedendo più volte A proposito di Davis - scopriremo e sfoglieremo uno dopo l'altro.

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