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La depressione del killer

La crisi economica vista da Cogan.
di Roy Menarini

In foto Brad Pitt in una scena di Cogan.
Brad Pitt (William Bradley Pitt) (60 anni) 18 dicembre 1963, Shawnee (Oklahoma - USA) - Sagittario. Interpreta Jackie Cogan nel film di Andrew Dominik Cogan - Killing Them Softly.

domenica 21 ottobre 2012 - Approfondimenti

La natura bifronte di Cogan di Andrew Dominik è già tutta nel titolo originale, Killing Them Softly: un duro film di genere con le raffinatezze dell'autore. Un po' il marchio stilistico del regista, che pure in L'assassinio di Jesse James aveva fatto prevalere la dimensione contemplativa su quella narrativa. Qui, invece, da raccontare c'è parecchio, una complicata storia di rapine e omicidi, che sembra uscita pari pari dagli anni Novanta, quando - nel dopo Pulp Fiction - venivano prodotte decine di pellicole con gangster bizzarri e dialoghi spiazzanti. Dominik sembra andare, come il Friedkin di Killer Joe (ma con minor fiuto), alla ricerca della basi letterarie di questa contemporaneità violenta e desolata, in tal caso il romanzo omonimo di George W. Higgins. E organizza, di fianco agli eventi principali, una riflessione intorno alla crisi economica, ambientando il film durante la campagna di Obama e nell'infuriare del crollo del 2008. Se la morale è abbastanza nota (le istituzioni americane sono basate su un capitalismo criminale non troppo diverso da quello della malavita: ciò che Robert Altman ha messo in scena per anni), è invece ritornando allo svolgimento della trama che scopriamo gli elementi più originali.
A un certo punto, infatti, il killer prezzolato cui dà il volto Brad Pitt spiega al suo cliente che dovrà uccidere un sospettato, dimostratosi nel frattempo incolpevole. Alla sorpresa del committente, l'assassino spiega che l'opinione comune - leggi: il passaparola della malavita - tende a considerare costui responsabile, e a diffidare delle prove che lo scagionano. A questo punto, che sia o meno colpevole è indifferente. Va eliminato per garantire la solidità del sistema e proteggere il mondo delle partite a carte clandestine, spesso sensibile a dicerie di vario genere. Ecco, nella logica spietata del ragionamento si cela l'intima disumanità del sistema. In un film che si conclude con una frase inequivocabile ("Pagami!"), lo strapotere del denaro e la subalternità al guadagno delle leggi umane (mafiose o meno), sono esemplificate assai meglio da questo paradosso piuttosto che dagli sforzi di Dominik di collegare la cronaca nera al disastro dei mutui subprime.
Detto questo, il cinema americano degli anni Dieci (intesi del nuovo secolo), continua a dimostrarsi incessantemente segnato dalla crisi. Ed è ovvio che un genere come il gangster movie, nato in certo qual modo dalla Grande Depressione per cantarne gesta e antieroi, sia più sensibile di altri alle ricadute sociali e criminogene del virus finanziario. Dominik (uno di quei registi che mostrano di avere un seria erudizione nel campo della storia del cinema) lo sa bene e il suo unico peccato è di avercelo fatto sapere in maniera troppo caricaturale.

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