alessandro fiorucci
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mercoledì 1 aprile 2020
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haneke in stato di grazia
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Haneke porta in scena l'amore nella sua forma più pura, lo cala con maestria negli angusti spazi di un attico parigino e lo sublima coi silenzi che riempiono i giorni più duri di due ottuagenari innamorati. Protagonista di Amour è una coppia di anziani signori, Georges e Anne, interpretati magistralmente da J. L. Trintignant ed E. Riva. Dopo aver insegnato musica per una vita, i due trascorrono serenamente la propria pensione, assistendo fieri ai concerti di qualche affermato ex allievo e suonando l'un per l'altro il monumentale pianoforte a coda che si staglia austero al centro del loro elegante salotto. Quando ad un tratto Anne è colpita da un malore, Georges si ritrova a combatterne i postumi, barcamenandosi tra improbabili pappine ed ardite manovre infermieristiche, scacciando di tanto in tanto un fastidioso piccione che irrompe sfacciatamente dalla finestra, come a presagire un lugubre futuro.
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Haneke porta in scena l'amore nella sua forma più pura, lo cala con maestria negli angusti spazi di un attico parigino e lo sublima coi silenzi che riempiono i giorni più duri di due ottuagenari innamorati. Protagonista di Amour è una coppia di anziani signori, Georges e Anne, interpretati magistralmente da J. L. Trintignant ed E. Riva. Dopo aver insegnato musica per una vita, i due trascorrono serenamente la propria pensione, assistendo fieri ai concerti di qualche affermato ex allievo e suonando l'un per l'altro il monumentale pianoforte a coda che si staglia austero al centro del loro elegante salotto. Quando ad un tratto Anne è colpita da un malore, Georges si ritrova a combatterne i postumi, barcamenandosi tra improbabili pappine ed ardite manovre infermieristiche, scacciando di tanto in tanto un fastidioso piccione che irrompe sfacciatamente dalla finestra, come a presagire un lugubre futuro. Georges vive con dignità e volontà d'animo la malattia della moglie, godendo qua e là del supporto di vicini ed operatrici sanitarie, non sempre all'altezza di un compito moralmente così gravoso. Le rare visite dell'unica figlia Eve, la bravissima I. Huppert di Elle, non sono di conforto per la coppia e tanto meno per la stessa Eve, sospesa tra gli scricchiolii della propria vita coniugale e la dolorosa visione della madre sofferente ed indifesa. Eve diventa così il centro nevralgico e nevrotico della vicenda, incarnando esitazioni e paure di noi spettatori, soprattutto di quella parte di noi che troppo spesso cerca di dare un razionale ad ogni cosa, finendo per sotterrare ogni empatia. Ed empatia è ciò che Haneke ci chiede, tramite il sapiente uso della voce fuori campo, che a teatro, in una delle scene iniziali, invita tutti a riporre da parte ogni dispositivo elettronico e implicitamente quel chiacchericcio social, che è interpretazione distorta e giudizio spietato della realtà. Amour è un'opera neoclassica, in cui Haneke scolpisce con grazia il culmine dell'esperienza umana. L'intreccio assume una regolarissima forma circolare, svelando da subito quel finale, la morte terrena, che è l'annunciato finale di qualsiasi esistenza; Haneke sazia così la nostra fame di pubblico consumista, prima di consegnare ai nostri sensi, ormai inermi, la piena fruizione dello spettacolo dell'amore.
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rita branca
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lunedì 20 gennaio 2014
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a ciascuno il suo
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A ciascuno il suo
Amour, film (2012) diretto da Michael Haneke con Jean-Luis Trintignant, Emma-nuelle Riva, Isabelle Huppert, William Shimell, Rita Blanco, Laurent Capelluto, fotografia di Darius khondji, scenografia di Jean-Vincent Puzos, costumi di Céline Colobert
Appassionante film, un gioiello raffinatissimo sulla parabola discendente della terza età, quando l’armonia della vita è percossa dalla dissonanza della malattia.
Il film comincia con l’inquadratura del corpo di una donna composto su un letto matrimoniale e adornato di petali di fiori, immediatamente seguita dalla contrastante immagine, pullulante di vita, di una sala concerti in cui sta per cominciare lo spettacolo.
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A ciascuno il suo
Amour, film (2012) diretto da Michael Haneke con Jean-Luis Trintignant, Emma-nuelle Riva, Isabelle Huppert, William Shimell, Rita Blanco, Laurent Capelluto, fotografia di Darius khondji, scenografia di Jean-Vincent Puzos, costumi di Céline Colobert
Appassionante film, un gioiello raffinatissimo sulla parabola discendente della terza età, quando l’armonia della vita è percossa dalla dissonanza della malattia.
Il film comincia con l’inquadratura del corpo di una donna composto su un letto matrimoniale e adornato di petali di fiori, immediatamente seguita dalla contrastante immagine, pullulante di vita, di una sala concerti in cui sta per cominciare lo spettacolo. Nel pubblico sono presenti i protagonisti principali: una coppia di coniugi in età avanzata che assiste all’esibizione di un ex alunno, diventato ormai un celebre pianista.
Lo spettatore, come sempre nella sublime cinematografia francese, è rapito dalla meravigliosa fotografia, dall’armoniosa sceneggiatura, dalla perfetta regia e dai dialoghi che la coppia si scambia in un’atmosfera di assoluta eleganza e con stupefacente bravura. Niente è ridondante in questo film dal ritmo misurato, tutto è calibrato a puntino. La coppia con cui si entra in contatto, formata da Anne e Georges, interpretati magistralmente da Jean-Luis Trintignant e Emma-nuelle Riva, vive in un’elegante casa francese dove ogni dettaglio esprime bellezza, benessere economico e un passato felice allietato anche da una figlia ormai adulta e felicemente maritata, insieme ad un presente sereno.
Ma come spesso succede, la perfezione di questa situazione è crudelmente e ciecamente turbata dall’improvvisa paralisi che colpisce il lato destro del corpo di Anne: a niente servono l’amore, la dedizione, la pazienza, l’abnegazione e le costanti cure di Georges, poiché la malattia procede inesorabile lasciando solo dolorosamente lucido il cervello e così acuendone la pena, l’umiliazione, il senso di perdita ed il tormento d’essere di peso per il marito che ama.
L’analisi che è operata su ciascun personaggio è sorprendentemente acuta, giustamente impietosa anche la critica dell’atteggiamento superficiale dei parenti che sindacano sulla condotta ineccepibile di Georges.
Il tema affrontato è duro: è giusto continuare a vivere in condizioni simili? La donna, dopo essersi fatta promettere di non essere riportata in ospedale o in altra struttura, chiede chiaramente al marito di essere lasciata morire e poiché lui si oppone, lei tenta inutilmente il suicidio in sua assenza e quindi comincia a rifiutare cibo e acqua.
Interessante l’immagine del colombo che entra a più riprese nell’appartamento, ospite indesiderato, proprio come la malattia.
Struggente lo sguardo rivolto al passato felice che senza alcun preavviso ci lascia, catapultandoci nello sgomento, schiacciandoci come fili d’erba al vento gelido.
Il regista dà una sua risposta al quesito straziante su cui fa perno la trama ed è bella e surreale la scena in cui, messo ordine in cucina, la coppia, come ha sempre fatto, infila il cappotto ed esce di casa.
Film coraggioso da sottoporre a giovani e meno giovani poiché affronta con onestà esperienze sempre più prossime a tutti nella società contemporanea.
Rita Branca
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gabriella
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giovedì 21 marzo 2013
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elegia del dolore
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Non lasciano mai indifferenti i film di Michael Haneke, non solo per l'accurata essenzialità e il rigore asciutto presenti in ogni scena, ma soprattutto per le riflessioni che inevitabilmente portano lo spettatore a confrontarsi con una realtà spesso scomoda, ma inevitabile.
Il titolo "Amour" che per sonorità potrebbe apparire frivolo e civettuolo, appare invece duro e pesante, addirittura sinistro per il tema trattato, spogliato da qualsiasi fronzolo e che va dritto al sodo senza perdersi in inutili giri viziosi che cercano di alleggerire il problema.
Quando nella vita si è morso la parte migliore del frutto, la polpa, che rimane se non il nocciolo avariato della vecchiaia e della malattia cui devono fare i conti Anne e George?
Eppure il film è pieno di amore, un amore che si fa carico della sofferenza, che protegge, allontanando qualsiasi spettatore o estraneo a spiarlo, compresa una figlia inadeguata alla situazione, perchè la vecchiaia e la malattia portano all'isolamento, alla solitudine, lo sa bene George che secglioe la clausura dell'appartamento in cui vivono pèer assistere la moglie colpita da un ictus che pian piano la paraliza e sempre più la allontana dal mondo.
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Non lasciano mai indifferenti i film di Michael Haneke, non solo per l'accurata essenzialità e il rigore asciutto presenti in ogni scena, ma soprattutto per le riflessioni che inevitabilmente portano lo spettatore a confrontarsi con una realtà spesso scomoda, ma inevitabile.
Il titolo "Amour" che per sonorità potrebbe apparire frivolo e civettuolo, appare invece duro e pesante, addirittura sinistro per il tema trattato, spogliato da qualsiasi fronzolo e che va dritto al sodo senza perdersi in inutili giri viziosi che cercano di alleggerire il problema.
Quando nella vita si è morso la parte migliore del frutto, la polpa, che rimane se non il nocciolo avariato della vecchiaia e della malattia cui devono fare i conti Anne e George?
Eppure il film è pieno di amore, un amore che si fa carico della sofferenza, che protegge, allontanando qualsiasi spettatore o estraneo a spiarlo, compresa una figlia inadeguata alla situazione, perchè la vecchiaia e la malattia portano all'isolamento, alla solitudine, lo sa bene George che secglioe la clausura dell'appartamento in cui vivono pèer assistere la moglie colpita da un ictus che pian piano la paraliza e sempre più la allontana dal mondo. E' un amore che si ribella, anche, e prende a schiaffi in faccia la malattia; è lo sguardo implorante di Anne, uno sguardo pieno di stelle, le stesse stelle che George disegnava sulla cartolina postale dalla colonia estiva per comunicarle che le cose non andavano bene.
Una nota a parte per gl'interpreti, bravissimi , due grandi attori che hanno saputo dare al cinema il vigore della bellezza e della giovinezza, adesso, entrambi in età senile, danno voce e corpo ( specie Emanuelle Riva) al declino della vita, con coraggio, lasciandoci ancora una volta stupiti, attoniti, sgomenti e col cuore pesante di tristezza, ma anche d'indicibile commozione
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mareincrespato70
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domenica 2 marzo 2014
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vita: abbraccio tra amore e morte
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E così lo stile rigoroso, l'etica d'acciao di Michael Haneke, regista austriaco più per cinefili che da grande pubblico (per fortuna!?) ci "regala" un grande film, direi un capolavoro!
Che cos'è la vecchiaia e come si incrociano in questa fase della nostra vita, amore e morte? Sì è fortunati se si incontrano: sia per "continuare" un po' insieme guardandosi con diffidenza, sia per finire e morire uniti, a braccetto.
Film impietoso nella sua bellezza e nel suo rigore stilistico e di sceneggiatura, sguardo attento nello smascherare le facili convenzioni e convinzioni ipocrite sulla serenissima (?) terza d'età, dove forse l'amore può solo attenuare la disperazione.
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E così lo stile rigoroso, l'etica d'acciao di Michael Haneke, regista austriaco più per cinefili che da grande pubblico (per fortuna!?) ci "regala" un grande film, direi un capolavoro!
Che cos'è la vecchiaia e come si incrociano in questa fase della nostra vita, amore e morte? Sì è fortunati se si incontrano: sia per "continuare" un po' insieme guardandosi con diffidenza, sia per finire e morire uniti, a braccetto.
Film impietoso nella sua bellezza e nel suo rigore stilistico e di sceneggiatura, sguardo attento nello smascherare le facili convenzioni e convinzioni ipocrite sulla serenissima (?) terza d'età, dove forse l'amore può solo attenuare la disperazione.
Colta e raffinata la presenza diretta e indiretta della musica come motivo di vita che fa da sfondo alla vita e alla vicenda; ma la pietas di Haneke non si spinge troppo in là, perchè forse nella nostra esistenza è sempre megio affrontare e dirsi amare verità piuttosto che bugie di comodo.
Magistrale, indimenticabile la prova dei due protagonisti, due professori di musica in pensione: Trintignant, quasi irriconoscibile, torna sulla scena dopo tanti anni e corona il suo sogno ("tornerei a recitare solo per Haneke") regalandoci un'interpretazione reale più che realistica (o tutte e due), magnifica; Emmanuelle Riva (la ricordo madre di Juliette Binoche in "Film blu" di Kieslowki), non è da meno con una recitazione, a tratti sommersa dal suo dolore fisico e psicologico, che dà il volto e il corpo ad una sofferenza che mette al bando qualsiasi fastidiosa ipocrisia anti-eutanasica.
Fillm d'autore nel senso più alto del termine, cinema di altissimo spessore stilistico e contenutistico, premiato, con merito, in tutto il mondo. E che arricchisce il cuore lasciandoti un velo di inevitabile, anche se giustamente realistica, tristezza. C'esta la vie...
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luigi chierico
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domenica 18 maggio 2014
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l’eutanasia : amore – caritas – piretas
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Non credo possa definirsi capolavoro un film se è eccellente solo nella fotografia,nella trama, dialogo,musica ecc.Amour può definirsi capolavoro soltanto per la veramente straordinaria interpretazione che Jean-Louis Trintignant dà a Georges,e soprattutto Emmanuelle Riva ad Anne.Entrambi ultraottantenni danno vita ad una altrettanto straordinaria storia di vita o di morte.d’amore e dolore, nel silenzio di una agghiacciante solitudine.L’intero film è una partecipazione alla dedizione di un anziano consorte nei confronti della propria consorte,entrambi devono affrontare la loro sorte, lei nella sofferenza del corpo,lui in quella dello spirito.Una dedizione che è amour, amour nel chiedere scusa, nell’assecondare, nel raccontare,nell’alimentare colei che per una vita è stata poesia e musica.
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Non credo possa definirsi capolavoro un film se è eccellente solo nella fotografia,nella trama, dialogo,musica ecc.Amour può definirsi capolavoro soltanto per la veramente straordinaria interpretazione che Jean-Louis Trintignant dà a Georges,e soprattutto Emmanuelle Riva ad Anne.Entrambi ultraottantenni danno vita ad una altrettanto straordinaria storia di vita o di morte.d’amore e dolore, nel silenzio di una agghiacciante solitudine.L’intero film è una partecipazione alla dedizione di un anziano consorte nei confronti della propria consorte,entrambi devono affrontare la loro sorte, lei nella sofferenza del corpo,lui in quella dello spirito.Una dedizione che è amour, amour nel chiedere scusa, nell’assecondare, nel raccontare,nell’alimentare colei che per una vita è stata poesia e musica.L’assistere allo sfacelo di un corpo che si decompone giorno dopo giorno rimanendo aggrappato ad una vita che non si può più chiamare vita,ma preludio alla morte.Per George è terribile,come per tutti coloro che vengono chiamati a vivere un’esperienza del genere:un genitore per un figlio,un figlio per un genitore,un coniuge per un coniuge.Col matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri,deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà,all'assistenza morale e materiale,alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.Il celebrante,nell’unire in matrimonio,chiede “Vuoi tu prendere come tua legittima sposa la qui presente..per amarla,onorarla e rispettarla,in salute e in malattia,in ricchezza e in povertà finché morte non vi separi?”.Michael Haneke,in questo film lo ricorda a tutti,dando prova di come si possa affrontare la sofferenza,il declino di una vita che si consuma come cera al calore di una fiammella. Non conta sapere nulla di questa coppia,sono due anziani che hanno condiviso la loro vita e tanto basta,non c’è bisogno di mostrare una ricca abitazione,che a noi viene mostrata quasi vuota,priva di quadri,di ricordi(solo fotografie),ad eccezione di uno studio con una ricca libreria con tante parole; è di un libro che per prima cosa chiede Anne,da inferma,a Georges tornando da un ospedale,a cui non vuol far ritorno.I simbolismi non mancano:l’acqua che continua a scorrere come la vita,la colomba che riappare dopo l’ultimo atto,una porta che pare sia stata forzata;nella vita, quando meno te lo aspetti una malattia,un ictus,ti ruba la salute,se non la vita.Che bisogno c’è di una colonna sonora in tanto bisogno di silenzio e solitudine? Non c’è l’animo in subbuglio? Perché è vero.”L’immaginazione e la realtà hanno poco in comune”.
Il regista ha saputo raccogliere la realtà in tutta la sua crudezza, il dolore che diviene dramma e poi tragedia attraverso poche parole, molti gesti di tenerezza e pazienza, con momenti di altissima partecipazione, tanto che l’interpretazione è scambiata per realtà, la finzione per verità: chiede Gerges “Morire? è questo che vuoi?” Anne risponde con gli occhi, spenti ma loquaci. Si perché quando ci si è amati per una vita ci si intende tacendo! Così anche Georges finirà col comunicare accarezzando una colomba,simbolicamente chi è invece volata via, o con i fiori e le stelle.
Oscar, Palma d’oro, Golden Globe ad Emmanuelle Riva ed a Jean-Louis Trintignant, all’amore, alla vita, alla morte per eutanasia,quale ultimo gesto d’amore e rinuncia insieme;“Non metti il cappotto? Non vieni via insieme a me?”.
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jacopo b98
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mercoledì 1 maggio 2013
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amour, di michael haneke
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Georges (Trintignant) e Anne (Riva) sono due anziani musicisti in pensione. Quando lei si ammala lui la assiste fino alla fine. Al suo dodicesimo film l’austriaco Haneke ha raggiunto la perfezione, con questo lento, deprimente, triste e drammatico melodramma. Non è una storia d’amore bensì d’Amore, l’amour del titolo è l’amore supremo, assoluto, il più grande, importante e disperato. Così il glaciale regista che ci aveva sconvolti nel 2009 con Il nastro bianco, ora ci commuove raccontando l’amore senile del vecchi Georges per la vecchia moglie. Haneke è impietoso: documenta il diventar vecchi e “la violenza della malattia” come nessuno prima di lui.
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Georges (Trintignant) e Anne (Riva) sono due anziani musicisti in pensione. Quando lei si ammala lui la assiste fino alla fine. Al suo dodicesimo film l’austriaco Haneke ha raggiunto la perfezione, con questo lento, deprimente, triste e drammatico melodramma. Non è una storia d’amore bensì d’Amore, l’amour del titolo è l’amore supremo, assoluto, il più grande, importante e disperato. Così il glaciale regista che ci aveva sconvolti nel 2009 con Il nastro bianco, ora ci commuove raccontando l’amore senile del vecchi Georges per la vecchia moglie. Haneke è impietoso: documenta il diventar vecchi e “la violenza della malattia” come nessuno prima di lui. Con una messa in scena fredda, glaciale e molto neutrale, il regista rinchiude i due anziani nella “prigione” delle sue inquadrature, poche, spesso fisse. Raramente si avvicina ai personaggi, che non escono mai dall’immenso appartamento, una prigione di morte e dolore, in cui risuona musica di Mozart, tra tappeti persiani e mobilia raffinata. Inoltre la cosa terribile è che, mentre la Margareth Thatcher di The Iron Lady aveva l’alzheimer e non soffriva, qui la povera Anne , prima privata dei movimenti e poi della parola e infine della voglia di vivere, sente tutto, è cosciente delle proprie sofferenze: fondamentale è la battuta della moglie verso il marito, “alcune volte sei un mostro, ma sei gentile”. E così, mentre in molti film si può dire “non mi riguarda”,qui si è posti di fronte a paure nascoste, o forse non poi così tanto, che ci riguardano tutti. Letteralmente strepitosi i due interpreti principali, Trintignant non recitava da molto tempo, perché caduto in depressione in seguito alla morte della figlia, per via di violenze subite dal compagno. Trionfo di critica e di premi, che ha raccimolato in decine e decine di festival internazionali, dalla Palma d’Oro a Cannes 2012 (quando il presidente della giuria era Nanni Moretti), ai cinque César, ai due BAFTA (film straniero e attrice), al Golden Globe come miglior film straniero, alle cinque inaspettate nomination agli Oscar: film, regia, sceneggiatura originale (Haneke), attrice e film straniero, l’unico poi vinto. Avrebbe meritato la candidatura anche il bravissimo Trintignant e almeno la Riva, a ottantasette anni, avrebbe dovuto vincere.
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lilit73
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lunedì 28 ottobre 2013
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la malattia che tormenta i vivi....
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E non poteva che essere diversamente, quando si vanno a toccare tasti delicati, quanto lo sono le malattie degenerative che non danno mai troppo scampo. Ma se da una parte c'è un marito, coraggioso e vecchio anch'egli e che spesso attraversa il largo corridoio di quella grande casa, teatro e messa in scena di un lungo, quanto sofferto trapasso, stanco e scricchiolante come il parquet che calpesta, dall'altra, c'è la nuova generazione, che in questo caso è l'unica figlia, colei che sentenzia, ma che non ha il coraggio di fare altro, perché alla fine e molto probabilmente, non ne sarebbe neanche in grado. Sbigottisce la sua non presenza, sbigottisce, ma non sconcerta, perché infondo, anche questo fa parte della storia di questo film, dove la drammaticità della malattia, si scaglia con una realtà spesso più tragica di quella raccontata nella pellicola.
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E non poteva che essere diversamente, quando si vanno a toccare tasti delicati, quanto lo sono le malattie degenerative che non danno mai troppo scampo. Ma se da una parte c'è un marito, coraggioso e vecchio anch'egli e che spesso attraversa il largo corridoio di quella grande casa, teatro e messa in scena di un lungo, quanto sofferto trapasso, stanco e scricchiolante come il parquet che calpesta, dall'altra, c'è la nuova generazione, che in questo caso è l'unica figlia, colei che sentenzia, ma che non ha il coraggio di fare altro, perché alla fine e molto probabilmente, non ne sarebbe neanche in grado. Sbigottisce la sua non presenza, sbigottisce, ma non sconcerta, perché infondo, anche questo fa parte della storia di questo film, dove la drammaticità della malattia, si scaglia con una realtà spesso più tragica di quella raccontata nella pellicola. La malattia che tormenta i vivi, denudati dalla dignità e forse più degli stessi ammalati, che almeno però, hanno tutto il motivo per sentirsi privi di difese. Consigliare un film del genere quindi, non è facile. Potrebbe essere mal interpretato o peggio ancora, considerato noioso. Perché ricorda ciò che la maggior parte di noi, teme in assoluto...la malattia e successiva morte, vissuta come l'incubo assoluto, dei sani ipocriti rimanenti.
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angelo umana
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sabato 17 gennaio 2015
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la vecchiaia nel cinema
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Michael Haneke è un originale “giovane” regista 73enne, austriaco con molte french-connections (per via degli attori e attrici francesi sue muse), spiazzante, intellettuale, controcorrente, capace di mostrare la violenza estrema e gratuita di Funny Games (1997 rifatto nel 2007), il sospetto e il voyeurismo in Niente da nascondere (con Claude Auteuil e Juliette Binoche), i vizi non detti o la perversione della perfida La pianista (Isabelle Huppert), l’analisi delle relazioni tra gli esseri umani in Il nastro bianco, Oscar al miglior film straniero nel 2010, e le considerazioni sulla vecchiaia di questo Amour, vincitore a Cannes nel 2012.
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Michael Haneke è un originale “giovane” regista 73enne, austriaco con molte french-connections (per via degli attori e attrici francesi sue muse), spiazzante, intellettuale, controcorrente, capace di mostrare la violenza estrema e gratuita di Funny Games (1997 rifatto nel 2007), il sospetto e il voyeurismo in Niente da nascondere (con Claude Auteuil e Juliette Binoche), i vizi non detti o la perversione della perfida La pianista (Isabelle Huppert), l’analisi delle relazioni tra gli esseri umani in Il nastro bianco, Oscar al miglior film straniero nel 2010, e le considerazioni sulla vecchiaia di questo Amour, vincitore a Cannes nel 2012. Un tempo della vita non frequentemente descritto dal cinema nella sua essenzialità, con realismo, l’ineluttabilità del diventar vecchi (“se di vecchiezza la detestata soglia evitar non s’impetra”, Leopardi), gli aspetti quasi banali o il lato oscuro, nascosto, di questa fase della vita, lontano dall’entertainment o dalla mitizzazione che a volte il cinema ne fa.
I due anziani ultraottantenni sono niente-poco-di-meno che Jean Louis Trintignant e Emmanuelle Riva, con la loro giovane 60enne figlia Isabelle Huppert. Si invecchia, non ci si può far niente, si degrada e non si riesce ad essere più quelli di prima. Un film che pone diversi temi: uno è quella della pietà di Trintignant nell’assistere la sua compagna, che decade progressivamente e velocemente, un impegno a cui tiene fede perché la loro è un’unione forte ormai più che un Amour. Un legame tra due intellettuali benestanti, lei era una pianista e la figlia Huppert vive della musica anch’essa. Da piccola si rasserenava, dice al padre, al sentire i genitori fare l’amore nella loro stanza, capiva che erano uniti. Ma Trintignant non tiene fede a quell’impegno proprio fino all’ultimo. Sarà forse la pietas o le convinzioni della moglie che lo portano a non prolungare quella sofferenza: lei si era fatta promettere di non venire mai più ricoverata in ospedale, e riteneva del resto priva di senso una vita condotta tra quegli stenti, quando non si può svolgere quasi più nessuna delle proprie occupazioni quotidiane.
La vita prosegue o questa è la vita, così sembra pensare la figlia Huppert al trovarsi sola nell’appartamento vuoto dei genitori alla fine del film; la vita proseguiva anche prima, attorno ai due anziani: “Non ho il tempo di pensare alla vostra preoccupazione. Avete la vostra vita, lasciateci la nostra”. Questo le aveva detto il padre quando essa voleva agire, fare qualcosa contro il decadimento della madre: un non reagire che risulta inaccettabile ad altre età. Sia stato per il valore del regista, oppure per la veridicità delle scene girate sempre all’interno dell’appartamento dei due anziani, oppure ancora per la interpretazione di due mostri sacri del cinema francese e per quella “sofferente” e toccante di Emmanuelle Riva, la Palma d’Oro a Cannes fu strameritata!
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eiffel
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domenica 11 novembre 2012
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troppo facile
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Ho aspettato qualche giorno a ripensare a questo film perchè, finita la proiezone, uscendo dalla sala ,sei colto da un senso di rifiuto e rabbia, gli stessi sentimenti che provano i protagonisti del film davnti alla vecchia e alla malattia.Allora puoi pensare che il film essendo riuscito a coinvolgerti così profondamente ,a farti passre certe emozioni è un ottimo lavoro .Ma cosa di più facile che coinvolgerci con un problema ,quello dell,invecchiamento, del decadimento fisico e mentale che oggi noi ,tutti noi, anche chi non e ancora così avanti negli anni ,abbiamo così presente , che da tutti noi è così temuto ,per tutti noi ,indistintamente ,così terrorizzante perchè assolutamnete inevitabile.
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Ho aspettato qualche giorno a ripensare a questo film perchè, finita la proiezone, uscendo dalla sala ,sei colto da un senso di rifiuto e rabbia, gli stessi sentimenti che provano i protagonisti del film davnti alla vecchia e alla malattia.Allora puoi pensare che il film essendo riuscito a coinvolgerti così profondamente ,a farti passre certe emozioni è un ottimo lavoro .Ma cosa di più facile che coinvolgerci con un problema ,quello dell,invecchiamento, del decadimento fisico e mentale che oggi noi ,tutti noi, anche chi non e ancora così avanti negli anni ,abbiamo così presente , che da tutti noi è così temuto ,per tutti noi ,indistintamente ,così terrorizzante perchè assolutamnete inevitabile.Allora l'esecizio ,seppur sia confezionato ottimamente ,con due mostri sacri come attori protagonisti,può apparire sconatao :come fa a non coinvolgerti un film dove ti vedi incontinente, afasica e d emiplegica privata di qualsiasi dignità e senza alcuna speranza di guarigione?
E' anche vero che stiamo parlando di un film ben girato ,si svolge tutto all'interno di un appartamento perchè in fondo si svolge tutto alll'interno di un'intensa relazone amorosa,e la consolazione di questo amore così profondo , vero, incorrutibile è l'unica flebile luce che ci dà la forza di arrivare alla porta d'uscita
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omero sala
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giovedì 21 marzo 2013
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il rifugio e la prigione
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Negli spazi claustrofobici di questo preservato isolamento si dispiega struggente la veemenza di una disperazione compressa e dignitosa e si rivela – nello stesso tempo – la potenza di un amore assoluto e sgomento: il decoroso appartamento, nel quale si sono accumulati mobili e oggetti testimonianza di una vita, diventa rifugio e prigione, nido di sicurezza e gabbia di angoscia, stanza nuziale e camera mortuaria. La piccola evasione che Anna cerca nel passato sfogliando un album di vecchie foto è – a mio parere – più atroce di quanto non lo siano le scene di accudimento o quelle crude dell’agonia.
Negli infiniti tempi di forzata vicinanza fra Anne e Georges si alternano momenti di intimità e momenti di intollerabile ripugnanza: ed è difficile capire se siano più dolorosi i primi o i secondi, se sia necessario mettere in atto maggiori energie per superare il ribrezzo della degradazione o per sussurrarsi la tenerezza dei ricordi.
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Negli spazi claustrofobici di questo preservato isolamento si dispiega struggente la veemenza di una disperazione compressa e dignitosa e si rivela – nello stesso tempo – la potenza di un amore assoluto e sgomento: il decoroso appartamento, nel quale si sono accumulati mobili e oggetti testimonianza di una vita, diventa rifugio e prigione, nido di sicurezza e gabbia di angoscia, stanza nuziale e camera mortuaria. La piccola evasione che Anna cerca nel passato sfogliando un album di vecchie foto è – a mio parere – più atroce di quanto non lo siano le scene di accudimento o quelle crude dell’agonia.
Negli infiniti tempi di forzata vicinanza fra Anne e Georges si alternano momenti di intimità e momenti di intollerabile ripugnanza: ed è difficile capire se siano più dolorosi i primi o i secondi, se sia necessario mettere in atto maggiori energie per superare il ribrezzo della degradazione o per sussurrarsi la tenerezza dei ricordi. La sintesi perfetta della dicotomia dolore-amore è la scena in cui Georges aiuta Anne nello spostamento dalla sedia al letto mimando involontariamente i passi strascicati di un ballo impacciato, tragicamente bizzarro.
Il dolore provoca asfissie, allucinazioni, alterazioni; paralizza, prosciuga e inebetisce.
La demenza di Anne – i suoi occhi, i suoi intensissimi occhi muti – e la pazienza quasi ottusa di Georges – i suoi gesti, i suoi silenziosi gesti inefficaci – ci inabissano nella depressione, nel dolore senza fondo. Le sequenze, scandite spesso da convulsi tagli di montaggio ci portano una dopo l’altra sempre più in basso: Anne sprofonda nella sua vacua inconsapevolezza, Georges nella sua lucidissima angoscia. Il dolore prepotente è indicibile: le antiche stanze sprofondano nel silenzio, la donna piomba nell’afasia, l’uomo sceglie il mutismo.
L’irruzione devastante della malattia rende inutili gli affetti (la premura dei figli e la riconoscenza degli allievi) e svuota di senso i ricordi (le musiche di Schubert, le stampe degli impressionisti, le foto dei tempi felici, gli oggetti accumulati).
Non resta che la regressione nell’infanzia. La fiaba aiuta ad allontanare la realtà. È confortante scivolare con i pensieri verso il felice mondo dell’incoscienza, prima di abbandonarsi al sonno.
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