eugenio
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venerdì 21 dicembre 2012
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il male della vecchiaia
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In un famoso quanto “sempreverde” film degli anni Quaranta, Citizen Kane (Quarto Potere),uno dei personaggi coinvolti nell’intervista del giornalista sul magnate della carta stampata Kane, appunto, affermava che “la vecchiaia era l’unico male che non ci si può illudere di poter curare”. Un’affermazione che, per quanto amara e inaccettabile, costituisce pura verità: invecchiando si perdono le forze,il fisico si rilassa e in taluni casi, oltre al decadimento del corpo, si assiste alla perdita di memoria della mente sino all’irreparabile. Sembra saperlo bene Michael Haneke, regista austriaco di fama internazionale, pluripremiato ai Festival di Cannes che ha “centrato nuovamente il bersaglio” vincendo l’ultima Palma d’Oro con Amour, un dramma da camera dalla reminiscenze bergmaniane.
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In un famoso quanto “sempreverde” film degli anni Quaranta, Citizen Kane (Quarto Potere),uno dei personaggi coinvolti nell’intervista del giornalista sul magnate della carta stampata Kane, appunto, affermava che “la vecchiaia era l’unico male che non ci si può illudere di poter curare”. Un’affermazione che, per quanto amara e inaccettabile, costituisce pura verità: invecchiando si perdono le forze,il fisico si rilassa e in taluni casi, oltre al decadimento del corpo, si assiste alla perdita di memoria della mente sino all’irreparabile. Sembra saperlo bene Michael Haneke, regista austriaco di fama internazionale, pluripremiato ai Festival di Cannes che ha “centrato nuovamente il bersaglio” vincendo l’ultima Palma d’Oro con Amour, un dramma da camera dalla reminiscenze bergmaniane.
Protagonisti sono una coppia di ottuagenari, Anne (Emmanuelle Riva) e Georges (J.L. Trintignant), ex insegnanti di musica oramai in pensione, amanti di concerti di musica classica e di libri, esponenti di un universo che ha fatto della cultura il baricentro geostazionario, il pilastro della propria identificazione sociale. La loro vita, tuttavia, cessa di essere serena quando Anne è colpita, improvvisamente, da un ictus cerebrale che, nel giro di breve tempo, ne paralizzerà prima il corpo rendendola inabile di qualsivoglia azione e costringendola ad una sedia a rotelle e, successivamente la mente inibendone l’uso della parola. Solo e privo di un aiuto concreto che possa in qualche modo alleviarne l’enorme peso, se non quello di una negligente infermiera,Georges baderà alla moglie per tutte le azioni quotidiane, lottando con amore appunto, contro la malattia. Una malattia degenerativa che distruggerà quell’armonia, de cristallizzando un’esistenza felice nel giro di poche settimane. Il tempo appunto. All’interno di quattro pareti, quasi dei compartimenti stagni, in cui il grido muto è imprigionato senza mai uscire, il battito dei minuti è scandito dalla terribile agonia di Anne ma soprattutto da quella di Georges, coraggioso esempio di un amore sacrificato, primigenio e lontano esempio dagli stereotipi melò. Perché come Haneke suggerisce, L’Amour è dedizione, condivisione delle sofferenze, unione familiare, forza promotrice di ogni evento che vince ogni bruttura e alienazione fisica.
Con una visione attenta ai drammi della quotidianità familiare, Haneke confeziona un film che in due parole potrebbe essere definito come “amaramente coraggioso”: ci vuole coraggio, infatti, per proporre senza scadere nei retorismi o peggio ancora nel vilipendio, una vicenda di umana tristezza; ci vuole coraggio per affrontare l’inferno a porte chiuse familiare prediligendo scene di “artefatta immobilità” e tappezzandolo di simbolici gesti affettivi (come la potente scena del piccione coccolato come un bimbo da Georges sotto la coperta) ma soprattutto, il grande coraggio è tutto nella scelta finale, certamente discutibile e amara.
L’analessi, le rare comparse, la splendida caratterizzazione psicologica che Emmanuelle
Riva, già “abituata” a drammi interni dal polacco Kieslowski in Film Blu, conferisce al suo personaggio, commuove e lascia commuovere grazie anche a una decisa inquadratura eloquente più di mille parole. “L’analista” Haneke svela la ferocia della vita quotidiana comunicando empaticamente allo spettatore la sofferenza della malattia e il massacro che essa genera sul corpo e sulla mente. Una sofferenza, dice il regista, purtroppo, contraddendosi e quasi schierandosi contro la tesi della dedizione amorosa, che può solo sfociare nell’annientamento del corpo e nella fine della propria esistenza.
Tutto senza una lacrima, senza violenza, senza filtri. Con la sola forza delle immagini
Onore al merito.
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olgadik
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venerdì 16 novembre 2012
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triste semplice e quasi perfetto
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Un film tristissimo, semplice, quasi perfetto. Drammatico al limite del sopportabile per la sua normalità senza orpelli, ma anche discreto nel presentare una realtà terribile e a volte sensibilissimo. Il regista austriaco dall’aspetto di guru e dallo sguardo di entomologo scava a fondo nella coscienza e nel rimosso di molti di noi. In tutti e due i casi si toccano concetti fondamentali: l’amore così difficile e così prezioso a qualsiasi età, l’arte come consolazione o come dannazione, la senescenza che comunque ci riguarderà e contro la quale non si può più fingere, la perdita delle persone care. A tutto ciò si aggiunge la sofferenza e il sacrificio di sé, spesso inutili, che generano impotenza e rovinano la vita, il fisico, i sentimenti di chi assiste all’evolversi senza speranza di una malattia, nonché al dolore senza remissione dell’altro.
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Un film tristissimo, semplice, quasi perfetto. Drammatico al limite del sopportabile per la sua normalità senza orpelli, ma anche discreto nel presentare una realtà terribile e a volte sensibilissimo. Il regista austriaco dall’aspetto di guru e dallo sguardo di entomologo scava a fondo nella coscienza e nel rimosso di molti di noi. In tutti e due i casi si toccano concetti fondamentali: l’amore così difficile e così prezioso a qualsiasi età, l’arte come consolazione o come dannazione, la senescenza che comunque ci riguarderà e contro la quale non si può più fingere, la perdita delle persone care. A tutto ciò si aggiunge la sofferenza e il sacrificio di sé, spesso inutili, che generano impotenza e rovinano la vita, il fisico, i sentimenti di chi assiste all’evolversi senza speranza di una malattia, nonché al dolore senza remissione dell’altro. Il laico si trova nudo di fronte alla perdita di chi ama e nel cammino difficilissimo che gli si spalanca davanti arriva a desiderare o a essere di fatto l’autore della dolce morte. Questo accade nella casa borghese di Anne (Emmanuelle Riva) ed Henry (Jean-Louis Trintignant). Essi sono due ottantenni di fatto e nella finzione. Dopo una vita insieme, interessi comuni per la musica (entrambi sono stati insegnanti della materia), lo svolgersi tranquillo dei giorni, ritmato dalle piccole abitudini, dai concerti serali, dall’ascolto di cd di ex-allievi diventati noti e da un’intesa che non ha più bisogno di parole, vedono frantumarsi il loro mondo. Una mattina Anne ha un momento di totale assenza che sembra passare senza conseguenze. Ma non è così; dall’ictus che la paralizza a metà, dopo un’inutile operazione, la situazione passa a crescenti difficoltà, fino all’annullamento di ogni dignità e capacità di esprimersi della persona. Ogni giorno che passa il corpo afferma la sua dissoluzione che trascina con sé anche pensiero e memoria o viceversa, a seconda di come uno la pensi. Né servono le cure di Henry, la totale dedizione, il dispendio ostinato delle sue forze barcollanti, sostenute sulle prime dalla speranza. Dopo, la situazione diventerà intollerabile e quando Anne inizia a rifiutare anche l’acqua sarà chiaro al suo vecchio e disarmato compagno cosa deve fare. In quanto allo stile di Haneke, la geometria degli spazi, i piani sequenza statici, il ritmo estenuato e dilatato sottolineano tutti i momenti clou della narrazione. Il ruolo primario della casa (dove si ambientano anche in altri suoi film il male, l’amore, i rituali della vita e della morte) insieme allo sguardo rigoroso e asciutto, scevro da compiacimenti patetici, riconfermano le doti di un maestro che può non piacere, ma della cui forza descrittiva non si può dubitare. Vedasi infine la forza simbolica di certe immagini come, verso la fine, è la sequenza della cattura del piccione da parte di Henry, per poi liberarlo dopo averlo accarezzato, come ha fatto con Anne. Ritorna alla mente il libro di Suskind “Il piccione”, anche se le tematiche sono diverse. Da applausi a scena aperta la recitazione dei due vecchi attori, che danno il meglio di sé facendo scomparire in un colpo solo le riserve e le censure verso l’amore dato e vissuto dai più anziani, allorché dalla bellezza dell’arte e della giovinezza si arriva a una fine che sembrava ancora lontana.
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[+] recensione toccante..quasi poetica
(di luanaa)
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foffola40
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domenica 28 ottobre 2012
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anche l'amore finisce
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due attori perfetti, nonostante l'età avanzata, diretti magistralmente . Il film non emoziona perchè è molto razionale , la malattia e poi la morte della moglie sono una prova dura per l'anziano coniuge come viene espresso dal portiere dello stabile che elogia le capacità del padrone di casa nel sostenere una situazione così drammatica. Infatti quasi nessuno lo aiuta se non saltuariamente perchè la cura della moglie passo passo verso l'immobilità, l'asenza dela parola e poi della mente è tutta sulle sue spalle sia fisicamente che psicologicamente. Ma si accende mano a mano che la malattia avanza una tensione fra loro, la moglie non vuole più vivere e guardando le foto del passato rimpiange la vita bella di prima.
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due attori perfetti, nonostante l'età avanzata, diretti magistralmente . Il film non emoziona perchè è molto razionale , la malattia e poi la morte della moglie sono una prova dura per l'anziano coniuge come viene espresso dal portiere dello stabile che elogia le capacità del padrone di casa nel sostenere una situazione così drammatica. Infatti quasi nessuno lo aiuta se non saltuariamente perchè la cura della moglie passo passo verso l'immobilità, l'asenza dela parola e poi della mente è tutta sulle sue spalle sia fisicamente che psicologicamente. Ma si accende mano a mano che la malattia avanza una tensione fra loro, la moglie non vuole più vivere e guardando le foto del passato rimpiange la vita bella di prima. Verso la fine il loro rapporto muta vorrebbero farla finita soprattuto la moglie che rifiuta le cure insistenti del marito che esasperato le dà uno schiaffo.
La scena del piccione che entra in casa dalla finestra e viene rincorso dal marito ondeggiante è molto significativa e metaforica. Non si piange ma si riflette. FRancesca Saveria.
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astromelia
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lunedì 3 dicembre 2012
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ti spiego la vecchiaia...
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ti spiego come si finisce alle volte l'esistenza umana ,ma lo faccio in un ambiente borghese dove posso sopperire economicamente alla malattia devastante,forse questa l'idea del regista,perchè al di là del fatto inconfutabile narrato,la realtà vera sfugge alla sceneggiatura,il film non mi ha meravigliato ne ha aggiunto niente di particolare quando in una famiglia succedono simili disgrazie,le scelte sono personali e rimangono nell'ambito parentale,si ritorna qui al tema dell'eutanasia,inutile quasi ridicola la scelta del tempo della figlia di parlare di soldi e di case da comprare alla madre moribonda e incapace di interloquire,e i fiori recisi nell'acqua,e il piccione desaparecido, come pure ostico a capirsi che trintignan si uccide anzi non si capisce quasi,frettoloso il finale ,.
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ti spiego come si finisce alle volte l'esistenza umana ,ma lo faccio in un ambiente borghese dove posso sopperire economicamente alla malattia devastante,forse questa l'idea del regista,perchè al di là del fatto inconfutabile narrato,la realtà vera sfugge alla sceneggiatura,il film non mi ha meravigliato ne ha aggiunto niente di particolare quando in una famiglia succedono simili disgrazie,le scelte sono personali e rimangono nell'ambito parentale,si ritorna qui al tema dell'eutanasia,inutile quasi ridicola la scelta del tempo della figlia di parlare di soldi e di case da comprare alla madre moribonda e incapace di interloquire,e i fiori recisi nell'acqua,e il piccione desaparecido, come pure ostico a capirsi che trintignan si uccide anzi non si capisce quasi,frettoloso il finale ,... altro difetto la lentezza esasperante a tratti scomoda e irriverente,già claustrofobico l'ambiente austero di un appartamento,mah, saranno gusti ma a me è parso un film qualunque e un pò intimista,quasi un fatto personale.
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(di astromelia)
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linus2k
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domenica 28 ottobre 2012
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hymne à l' "amour"
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Leggere le istruzioni prima dell'uso.
Vedere il film solo ben preparati, coscienti della trama, dell'argomento e dell'effetto che questa opera può avere
sulle nostre coscienze, sulle nostre paure, sui nostri inconsci, sui nostri ricordi...
"Amour", nuova opera di Micheal Haneke e vincitore della Palma d'Oro al Festival del Cinema di Cannes 2012, è un film
perfetto. Inattaccabile.
Un trio di attori eccezionali a servizio di una sceneggiatura perfetta ed una regia misurata e minuziosa, meticolosa e
attenta a far entrare lo spettatore nella realtà del film, facendo perno su paure e ricordi, rendendolo partecipe come raramente succede.
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Leggere le istruzioni prima dell'uso.
Vedere il film solo ben preparati, coscienti della trama, dell'argomento e dell'effetto che questa opera può avere
sulle nostre coscienze, sulle nostre paure, sui nostri inconsci, sui nostri ricordi...
"Amour", nuova opera di Micheal Haneke e vincitore della Palma d'Oro al Festival del Cinema di Cannes 2012, è un film
perfetto. Inattaccabile.
Un trio di attori eccezionali a servizio di una sceneggiatura perfetta ed una regia misurata e minuziosa, meticolosa e
attenta a far entrare lo spettatore nella realtà del film, facendo perno su paure e ricordi, rendendolo partecipe come raramente succede.
Non si può fare a meno di entrare nella vita di questa anziana coppia, colpita dalla malattia, dal deterioramento progressivo fisico e cognitivo della protagonista (una indimenticabile Emmanuelle Riva, mastodontica in questo ruolo). Haneke è impietoso in tutto questo: si sofferma lento, insistente, quasi crudelmente su tutta la decadenza, sulla sofferenza, sul ricordo dei bei momenti e sulla sofferenza del presente. Si sprofonda lentamente, sempre più pesantemente, con una voglia (almeno la mia) di scappare dal cinema, di smettere di star così male.
Il cinema diventa una stanza aggiuntiva della casa, una casa che si trasforma progressivamente in una prigione, per i protagonisti e per gli spettatori, si soffre un senso di claustrofobia, di soffocamento, di desiderio di fine, di liberazione. La morte arriva ad essere desiderata come liberazione, come catarsi di una serie progressiva di pugni nello stomaco, di dolore.
Un momento quasi grottesco, un piccione che entra in casa da una finestra aperta, diventa quasi paradossalmente l'unico momento di "aria" di quel carcere di sofferenza.
Ho letto, anche all'ingresso del cinema, che "Amour" è un film sull'eutanasia... mah... non credo... Sarebbe riduttivo e banalizzante.
Amour è un film sulla coppia, sull'uomo, sulla malattia, sulla famiglia, su tutti noi.
Amour è un vero e proprio inno all'Amore, ma un Amore importante, enorme, che si nutre di condivisione della sofferenza, di dignità, di ricerca di rispetto, che si impone sopra la miseria umana e rompe gli schemi, fisici e morali, imponendosi sopra tutto, come unica, grande legge umana.
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(di aorla13)
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francesca meneghetti
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sabato 27 ottobre 2012
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io e te da soli fino in capo al mondo
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L’ultima nuova rock è che i Rolling Stones stanno lanciando un nuovo disco. Per quanto evergreen nello spirito, gli anni passano anche per loro.Se gli anni’70 brulicavano di cantanti e musicisti “sbarbini”, oggi nessuno si stupisce più di vedere in scena dei "matusa". Anche nel cinema troviamo sempre più attori anziani, e storie che li vedono protagonisti. Non è da stupirsi, se si pensa alle dinamiche demografiche presenti nei paesi nord-occidentali, molto più anziani di quelli del sud-est, sia per l’allungarsi della vita, sia per l'alto numero dei figli del dopoguerra, giunti in massa alla terza età.
Questo trend dà luogo a due possibili esiti: la rassicurazione ottimistica (basti pensare a “Tutto può succedere” o, sia pure con sfumature più pensose, al più recente “Marigold Hotel”), oppure la presa d’atto drammatica di quale sfacelo porti con sé quello che Leopardi definiva il “tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie gravissime”.
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L’ultima nuova rock è che i Rolling Stones stanno lanciando un nuovo disco. Per quanto evergreen nello spirito, gli anni passano anche per loro.Se gli anni’70 brulicavano di cantanti e musicisti “sbarbini”, oggi nessuno si stupisce più di vedere in scena dei "matusa". Anche nel cinema troviamo sempre più attori anziani, e storie che li vedono protagonisti. Non è da stupirsi, se si pensa alle dinamiche demografiche presenti nei paesi nord-occidentali, molto più anziani di quelli del sud-est, sia per l’allungarsi della vita, sia per l'alto numero dei figli del dopoguerra, giunti in massa alla terza età.
Questo trend dà luogo a due possibili esiti: la rassicurazione ottimistica (basti pensare a “Tutto può succedere” o, sia pure con sfumature più pensose, al più recente “Marigold Hotel”), oppure la presa d’atto drammatica di quale sfacelo porti con sé quello che Leopardi definiva il “tempo amaro e lugubre della vecchiezza; vero e manifesto male, anzi cumulo di mali e di miserie gravissime”.
Il regista Michael Haneke imbocca questa seconda strada: difficile e ostica anche per lo spettatore. Perché lo fa? Forse perché crede che l’arte sia, come sosteneva Aristotele, copia del vero? Non si direbbe, perché, pur tendendo il film alla mimesi, gli aspetti più crudi della realtà sono omessi o coperti dall’interposizione di persone od oggetti: una scelta raffinata, ma non verista. Inoltre perché compaiono dei passaggi simbolici (v. il piccione che entra due volte nella stanza), e dei sogni, o delle allucinazioni, che si infiltrano nel resoconto oggettivo.
Sembra piuttosto che il suo scopo sia indagare sugli sconvolgimenti psicologici che la malattia e l’invalidità di uno dei due produce in una coppia tanto solida e collaudata (quanto isolata), e nel fortissimo sentimento d’amore che lega i due. Gli equilibri precedenti saltano completamente, infatti, quando uno dei due perde in forza, autonomia, dignità: la sofferenza più grande non è tanto fisica, quanto psicologica. Sta nel vedere e vedersi degradare nel corpo. Nel provare disagio e vergogna. Nello scoprire che un cervello sano può trascinare un corpo menomato solo fino a un certo punto. Nell’intuire che non c’è più un futuro davanti e che l’amore può essere ravvivato solo in brevi sprazzi di ricordo. A questo punto la coppia si chiude: evita i contatti con l’esterno persino con la figlia, troppo presa dai suoi problemi per avere tempo e voglia di curare la madre, ma che vorrebbe imporre soluzioni scientifiche e asettiche (le dà disagio avere sotto gli occhi quel corpo segnato dal male). E alla fine, la coppia risolve il proprio dramma da sola: chi agisce, presta le mani all’altro, ne interpreta la volontà, che è anche la propria. E’ l’amour che trionfa tragicamente.
Il film è lento, perché la lentezza nei gesti e nei ritmi è tipica dell’età anziana. Si svolge tutto nell’appartamento della coppia, arredato all’antica, con mobili di legno scuro. L’unica apertura all’estero è data dalla finestra: anzi, da due. Quella della cucina e quella dell’atrio, affacciata su un cortile interno. Le atmosfere intime e un po’ cupe, così come i primi piani, volti a indagare i pensieri e i sentimenti, ricordano “Sussurri e grida”, film di Bergman del 1972.
L’interpretazione dei due protagonisti è straordinaria e altamente professionale: merito di Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant. Meritano elogi anche i loro doppiatori Vittoria Febbi e, a quanto pare, Nino Prester.
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osteriacinematografo
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martedì 4 dicembre 2012
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la vita diviene amore, l'amore vita
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“Amour” è l’ultimo film di Michael Haneke,un'opera atipica rispetto ai consueti standard tematici di Haneke.
Anne e Georges sono due insegnanti di musica in pensione: i due coniugi trascorrono giornate tranquille in un appartamento parigino,dove il tempo è scandito da una successione metodica di eventi,fatta di piccole abitudini quotidiane,di letture e concerti,delle rare visite di vecchi studenti e dell’unica figlia.
D’improvviso Anne si ammala,colpita da un ictus che si manifesta sotto forma d’infido blackout,e le cose cambiano tanto velocemente da non dare il tempo di pensare: George decide d'impulso che sarà lui a prendersi cura della moglie.
Il prologo lascia subito intravedere la soluzione della storia,che è una soluzione scontata,a causa delle connaturate limitazioni di tempo cui gli uomini sono sottoposti.
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“Amour” è l’ultimo film di Michael Haneke,un'opera atipica rispetto ai consueti standard tematici di Haneke.
Anne e Georges sono due insegnanti di musica in pensione: i due coniugi trascorrono giornate tranquille in un appartamento parigino,dove il tempo è scandito da una successione metodica di eventi,fatta di piccole abitudini quotidiane,di letture e concerti,delle rare visite di vecchi studenti e dell’unica figlia.
D’improvviso Anne si ammala,colpita da un ictus che si manifesta sotto forma d’infido blackout,e le cose cambiano tanto velocemente da non dare il tempo di pensare: George decide d'impulso che sarà lui a prendersi cura della moglie.
Il prologo lascia subito intravedere la soluzione della storia,che è una soluzione scontata,a causa delle connaturate limitazioni di tempo cui gli uomini sono sottoposti. Il lento e crudele incedere della morte incombe sui protagonisti in modo paritario: è Anne ad affrontare la malattia,ma è il suo compagno ad assisterla quotidianamente,e la pena e il dolore divengono elementi intimamente condivisi; nel film va in scena un amore pregno di rispetto e devozione,che sviluppa in George un senso di protezione che l’uomo applica all’emergenza con dignità ed abnegazione,tentando di sottrarre la moglie allo sguardo altrui e di evitarle ogni sorta di umiliazione.
Mentre ogni certezza si disfa,riaffiorano le immagini del passato,che si rimescolano al presente in una confusione percettiva che aggira e inganna la mente indebolita di Georges. Ora c’è il silenzio in luogo della musica,ora regna la rassegnazione,ma si prende corpo un amore folle e implacabile,aggrappato alle maglie dell’ineludibile tanto quanto ogni creatura è legata alla propria esistenza.
La vita diviene l’amore,l’amore la vita.
I due straordinari interpreti,Jean-Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva,mostrano con maestria la fragilità della vecchiaia: ogni minima movenza dei due attori francesi possiede una forza visiva dirompente e un’eleganza a tratti simbiotica,in grado di trasmettere con estremo realismo le sfumature del dolore e le subdole conseguenze della malattia.
L’opera è toccante,ma Haneke non cade nel tranello della commiserazione,mostrandoci un protagonista fiero nella difesa di un baluardo fragilissimo; il regista non rinuncia alle sue peculiarità d’autore,regalando l’ennesima regia minimale e una narrazione che fornisce numerosi indizi e la possibilità d’interpretare. Haneke rimane conforme al suo stile,indugiando in quei lunghissimi piani sequenza che caratterizzano il suo cinema,senza i fronzoli o l’enfasi che spesso “adornano” le opere cinematografiche,senza le sovrastrutture che si rendono sovente necessarie per colmare le lacune di una sceneggiatura.
La prospettiva dell’opera si sviluppa interamente per interni,nella casa che diviene l’elemento architettonico su cui poggia il film. E’ una casa che racconta la storia di Anne e Georges,una casa che è sintesi e limite della vita stessa. L’appartamento assume le sembianze di un laboratorio in cui lo scienziato Haneke effettua un esperimento antropologico; le cavie sono due splendidi e attempati esseri umani,che si consumano e perdono ogni speranza,affrontando de visu l’incalzante approssimarsi della fine,senza illudersi mai,tramutando infine la disperazione in liberazione e poi in sogno: capita così che Anne e Georges si sveglino in un giorno qualunque,prendano il soprabito ed escano,andandosene via insieme,come una volta. Una volta per sempre.
osteriacinematografo.com
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plania
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venerdì 26 ottobre 2012
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dolce e drammatico tragitto verso la fine
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Film straordinario che paradossalmente credo non dovrebbe arrivare al grande pubblico. I motivi sono la durezza della narrazione, l'argomento trattato giustamente senza concessioni al pietismo e la parabola finale che qualcuno potrebbe trarne. L'asciuttezza della narrazione e della recitazione(Trintignant è sempre stato un interprete poco incline alle moine) accompagnano una storia che è la storia di tutti e la preparazione alla morte è descritta con le parole, i gesti, le cose di tutti i giorni. E' anche questa la grandezza del film: la naturale semplicità con cui si accompagnano i protagonisti della storia verso la loro fine.
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tiamaster
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sabato 27 ottobre 2012
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alla fine della vita, tra malattie e amore.
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Il cinema di Micheal Haneke è sempre stato un cinema crudele, spietato, talvolta sadico (come non pensare al bellissimo "Funny Games"?), nessuno si sarebbe mai immaginato che il grande maestro europeo avrebbe potuto costruire un' opera così commovente, dolce e straziante. Camera immobile, a catturare senza interruzione le emozioni che si diapanano sui volti dei suoi straordinari interpreti (Jean-Louis Trintignant e Emanuelle Riva in stato di grazia),mossa raramente, solo per lunghissimi piani sequenza,spesso solo per poter cambiare scena. Tutto il film è ambientato in un' appartamento ma nonostante questo e la regia (qualcuno potrebbe pensare, dato la descrizione che ho dato a quest' ultima qualche riga più sopra, che sia un film lento) il film è coinvolgente,potente, passa in un' attimo, tiene sempre l' attenzione a mille.
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Il cinema di Micheal Haneke è sempre stato un cinema crudele, spietato, talvolta sadico (come non pensare al bellissimo "Funny Games"?), nessuno si sarebbe mai immaginato che il grande maestro europeo avrebbe potuto costruire un' opera così commovente, dolce e straziante. Camera immobile, a catturare senza interruzione le emozioni che si diapanano sui volti dei suoi straordinari interpreti (Jean-Louis Trintignant e Emanuelle Riva in stato di grazia),mossa raramente, solo per lunghissimi piani sequenza,spesso solo per poter cambiare scena. Tutto il film è ambientato in un' appartamento ma nonostante questo e la regia (qualcuno potrebbe pensare, dato la descrizione che ho dato a quest' ultima qualche riga più sopra, che sia un film lento) il film è coinvolgente,potente, passa in un' attimo, tiene sempre l' attenzione a mille.Haneke si serve anche di qualche stereotipo (la dottoressa che si prende cura dei pazienti in modo discutibile), ma sempre e solo per far affiorare ancora di più il dramma dei due protagonisti.Il finale, un vero pugno allo stomaco, non si dimentica e il film ti resta dentro anche fuori dal cinema.Il tutto coronato da un' altra incredibile interpretazione, quella di Isabelle Huppert, da vedere ne "la pianista", sempre di Haneke. Un capolavoro, l' Oscar 2013 come miglior film straniero è già suo.
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renato volpone
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giovedì 25 ottobre 2012
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l'amore e il dolore
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Una sera, il concerto: Anne, un'insegnante di pianoforte si gode l'esecuzione a teatro di un suo allievo, ormai lanciato in una splendida carriera, sarà l'ultima sera. Al mattino un'assenza cerebrale preannuncia un rapido declino: la porterà in ospedale per un intervento alle coronarie e poi ad una paralisi progressiva. Emmanuelle Riva è grandiosa sia nel ruolo di "magnifica signora" che in quello di malata. Fantastico il regista nel guidarla: per chi ha vissuto l'esperienza è proprio così, tutto così. Il marito Georges, un grande Jean - Louis Trintignan, non l'abbandona e, in un immenso sacrificio d'amore, l'accompagna fino all'estremo, quell'estremo che si lo arrende e con le ultime forze rimaste le tenderà una mano.
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Una sera, il concerto: Anne, un'insegnante di pianoforte si gode l'esecuzione a teatro di un suo allievo, ormai lanciato in una splendida carriera, sarà l'ultima sera. Al mattino un'assenza cerebrale preannuncia un rapido declino: la porterà in ospedale per un intervento alle coronarie e poi ad una paralisi progressiva. Emmanuelle Riva è grandiosa sia nel ruolo di "magnifica signora" che in quello di malata. Fantastico il regista nel guidarla: per chi ha vissuto l'esperienza è proprio così, tutto così. Il marito Georges, un grande Jean - Louis Trintignan, non l'abbandona e, in un immenso sacrificio d'amore, l'accompagna fino all'estremo, quell'estremo che si lo arrende e con le ultime forze rimaste le tenderà una mano. È un film per chi si sente di conoscere e vuole parlare di testamento biologico, di morte assistita, e per chi non ne ha cognizione e usa forti leve morali per gestire il triste destino di altri. Questa storia insegna molto ed è tutto vero, come é vero l'isolamento, l'abbandono, la gente che se ne approfitta, il dolore. Ma sopra il dolore, su tutto, c'è quell'amore di cui oggi, per rincorrere falsi miti, ci si scorda, non lo si vede, presagio di quello che sarà un futuro di solitudine e rigetto, troppo impegnati, come la figlia dei protagonisti (isabelle Huppert) a seguire il destino economico del mercato immobiliare. Bellissimo film, qualche pecca nel montaggio, ma assolutamente da non perdere.
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