Pochi film sanno raccontare con serena delicatezza, attraverso le immagini e le cadenze temporali, l’Amour di cui sono capaci un uomo e una donna al crepuscolo della loro storia di vita.
Quello che il regista Haneke ci mostra è infatti il racconto molto intenso e toccante degli ultimi momenti di vita di Anne e Georges, due vecchi musicisti uniti da un amore smisurato, irrinunciabile e a dire il vero, di questi tempi (vedi badante licenziata), quasi incomprensibile.
Anne e Georges sono una coppia di questo mondo e da questo mondo è presa …esce idealmente dalla moltitudine di pubblico nella scena del concerto iniziale per entrare all’interno della sacralità della loro casa, idealmente nel tempio del loro Amore.
Dalla costatazione del tentativo di forzatura della serratura di casa, si comprende che i protagonisti temono le intrusioni, quanto meno quelle indiscrete, timorosi di alterare il loro perfetto e armonioso equilibrio affettivo.
Accettano invece con una forza interiore immensa, finchè ritenuta dignitosamente accettabile, la semi-infermità fisica della condizione di Anne, rinunciando di fatto a vivere quando la degenerazione dell’ictus colpisce la ragione stessa dell’amore che è fatta di gesti, pensieri, parole e comunicazione sensoriale.
Tutto avviene nel loro “spazio”, l’appartamento, in cui è girato l’intero film.
La casa racconta la loro vita, infonde armonia, musica, trasmette cultura e pace di cui sono portatori i due vecchi protagonisti, ma sono i loro sguardi, i gesti a raccontare del loro Amore maturo del loro amarsi vero che non deve dimostrare nulla, che ha solo da insegnare e attende solo, quale ultimo passaggio, di trasformarsi in puro Spirito.
Inutile indugiare sul significato simbolico della casa, dilungarsi a spiegare il fermo immagine su una sequenza di tele raffiguranti paesaggi naturali o provare a spiegare il continuo ricorso a riprese o a sonori di rubinetti con acqua fluente che scorre persistentemente, ritengo siano tutti artifici di ovvio significato per chi di cinema si alimenta.
Bello è invece rimarcare la doppia comparsa del piccione che è un po’ il simbolo dell’annuncio della vita che se ne sta andando e delle prossime “chiamate” ….
Stupenda la dipartita dei 2 vecchi signori, con Anne già morta, che nell’immaginario di Georges finisce di lavare i piatti, si fa accompagnare all’uscita dopo essersi infilata il cappotto, apre la porta …si ferma …si rivolge al marito, con uno sguardo di bellezza sconvolgente, e interrogativa lo invita a mettersi a sua volta il cappotto per seguirla.
In questa sequenza c’è tutta la forza dell’amore di Anne e Georges, quello stesso lasciare tutto a posto (anche i piatti lavati), perché è disdicevole la testimonianza del loro passaggio terreno nel segno della materialità, perché quel che si vuol lasciare sono il loro esempio di vita, i loro pensieri, i loro insegnamenti …la lettera manoscritta che Georges lascia idealmente alla moglie perché la figlia Eva possa leggerla.
Ciò che resta di questo “Amour” sono la spiritualità, la musica, la cultura, gli spazi luminosi, la radiosità del sole che entra dalle finestre, finalmente aperte, della casa in cui due meravigliose persone sono vissute.
Questo è quel che respira la figlia Eva e noi spettatori con lei, nella scena finale, entrando nella casa di Anne e Georges finalmente liberata da ogni bisogno, dolore e sofferenza materiali.
Film da non perdere assolutamente.
P.S.: pregevole il realismo, ben interpretato, della malattia di Anne e del vissuto di chi sta vicino a queste persone.
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