antonio montefalcone
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venerdì 26 ottobre 2012
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le pieghe intime e dolorose dell'amore...
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Haneke torna a esplorare i volti oscuri e crudeli dell’esistenza, di una realtà sempre sfuggente e nascosta. E lo fa tramite una cupa e cinica incursione nel mondo della vecchiaia e della malattia, dove il male che devasta i corpi si traduce in malessere che annienta le anime. A dispetto di ciò che può evocare il titolo, il film è tutt’altro che dedito al sentimentalismo e alla dolcezza. Lo sguardo è impietoso, la messa in scena sobria. Però fa commuovere e riflettere (non lascia mai interpretazioni univoche). La lucida e rigorosa indagine si concentra stavolta nell’amore di due ottantenni e nelle miserie di una malattia. Il fascino di questo dramma da camera è dettato dalla negazione di ogni retorica e giudizio morale, di ogni aspetto consolatorio, di ogni facile aspettativa e idea preconcetta su queste controverse tematiche.
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Haneke torna a esplorare i volti oscuri e crudeli dell’esistenza, di una realtà sempre sfuggente e nascosta. E lo fa tramite una cupa e cinica incursione nel mondo della vecchiaia e della malattia, dove il male che devasta i corpi si traduce in malessere che annienta le anime. A dispetto di ciò che può evocare il titolo, il film è tutt’altro che dedito al sentimentalismo e alla dolcezza. Lo sguardo è impietoso, la messa in scena sobria. Però fa commuovere e riflettere (non lascia mai interpretazioni univoche). La lucida e rigorosa indagine si concentra stavolta nell’amore di due ottantenni e nelle miserie di una malattia. Il fascino di questo dramma da camera è dettato dalla negazione di ogni retorica e giudizio morale, di ogni aspetto consolatorio, di ogni facile aspettativa e idea preconcetta su queste controverse tematiche. Il film, complesso e interessante, intimista e sofferto, è un ritratto dell’esistenza che si e ci spegne, e di un lirico amore minato dalle complicazioni dell’età avanzata. A dar spessore ai protagonisti sono le notevoli interpretazioni di E. Riva (intensa nello sguardo e nelle trasformazioni del corpo umiliato dalla malattia) e di J. L. Trintignant (afflitto e tormentato). Ammirevole è la cura formale e lo stile di regia che procede per sottrazione e fredda staticità: inquadrature fisse, lunghi piani sequenza, pochi movimenti di macchina, fotografia soffusa e oscura, ritmo lento, ambientazione claustrofobica. I logorii fisici di Anne e quelli psichici di Georges sono simboleggiati dalla limitatezza della casa. Altrettanto ammirevole è il tratteggio, preciso e discreto, di questa storia ricca di sublimi momenti, scioccanti nella loro chiarezza e semplicità. La sceneggiatura turba e coinvolge; è dura ma anche delicata. Essenziale e cruda, è giocata su geometrici contrasti e inquietanti ambivalenze, come quelle che evocano i temi alti di Vita, Morte, Amore. Proprio quest’ultima parola, eloquente ed efficace titolo del film, sprigiona le inevitabili dinamiche, interrelazioni e compresenze della vita e della morte al suo e al loro interno. E’ l’amore autentico dei due anziani che li scatena con una forza centripeta e centrifuga. La sofferta intimità di questa coppia svela l’intimità della sofferenza e del dolore, nelle sue forme più agghiaccianti e profonde, perché irreversibili, insostenibili. Esistenze e personalità sono sconvolte in modo brusco e tragico. Superano ogni limite tollerato e moralmente accettato dall’umana natura, perché esasperati e messi a dura prova da una Natura imperfetta e da una Realtà assurda. La coppia anziana è vittima impotente di questo crudele meccanismo che minaccia ordini e sistemi lineari, e destabilizza equilibri psico-fisici ed esistenziali; ma al tempo stesso diventa anche potente incarnazione di un’esemplare sfida di dignità nei suoi riguardi. Il gesto estremo di Georges è la realizzazione massima dell'amore e della dignità. Ma è anche la propagazione di quell’orrore che annienta i due protagonisti. L’ambivalenza (dei sentimenti, ma non solo) che contraddistingue tutta la pellicola, continua. Ciò che si è costretti a guardare allora è solo l’impossibilità di fare i conti con una difficile e incontrollabile realtà e con gli estremi angoscianti rimedi che essa comporta. E’ ciò che il regista ha voluto evidenziare con questa pellicola. Un raffinato e potente capolavoro che non ha paura di guardare in faccia le violenze che l’uomo compie e subisce ogni giorno. Anche nell’amore…
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miraj
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domenica 11 novembre 2012
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come pochi ormai
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Ormai poche volte si esce da una sala cinematografica con l'assoluta convinzione che hai visto qualcosa di veramente bello. Godard disse che il cinema è morto, che non ha più la sua funzione ed il tempo come in tutte le cose lo relegava a cosa di altri tempi ormai. Io ieri uscendo dalla sala dopo aver visto Amour ero pieno pieno e felice che ancora Haneke abbia potuto fare un film così. E dentro di me dicevo ancora grazie che esiste il cinema. Forse per pochi film lo posso dire, ma questo si. Film ancora più bello e grande perchè ti tocca e ti fa stare male per una cosa che la società in fin dei conti (lo fa capire Haneke) fa ancora paura LA VECCHIAIA con i suoi normali dolori insicurezze e improvvise cadute.
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Ormai poche volte si esce da una sala cinematografica con l'assoluta convinzione che hai visto qualcosa di veramente bello. Godard disse che il cinema è morto, che non ha più la sua funzione ed il tempo come in tutte le cose lo relegava a cosa di altri tempi ormai. Io ieri uscendo dalla sala dopo aver visto Amour ero pieno pieno e felice che ancora Haneke abbia potuto fare un film così. E dentro di me dicevo ancora grazie che esiste il cinema. Forse per pochi film lo posso dire, ma questo si. Film ancora più bello e grande perchè ti tocca e ti fa stare male per una cosa che la società in fin dei conti (lo fa capire Haneke) fa ancora paura LA VECCHIAIA con i suoi normali dolori insicurezze e improvvise cadute. Frasi tipo "lei affronta questa cosa in un modo .... complimenti", tutti che anche per un piccolo aiuto prendono soldi senza battere ciglio, la figlia che non sa parlare di quello che dovrebbe parlare sono tutti segnali che Haneke ci dà su quanto ancora la nostra società è impreparata sulle cose normali. Come se quando si nasce ancora non si sappia che si diventerà brutti vecchi e magari malati. La cura di una malattia terminale descritta con parole, con ricordi è di una bellezza travolgente ed un continuo pugno allo stomaco perchè tutti siamo impreparati a vederla come in realtà è. Io ho lavorato in una casa di riposo 3 anni e mezzo e quindi non ho paura di vederla così e quando quella infermiera che pettinava come fosse una cavalla è stata mandata via ho goduto. Piccole cose che ha fatto capire che Haneke sa cosa è la vecchiaia e di cosa ha bisogno una persona sapendo che sta per morire ... tutto meno le falsità. Film bellissimo davvero, forse un pizzico lungo, ma forse volutamente pesante a volte per far provare cosa vuol dire dover per forza sopportare. Grazie Haneke davvero, soprattutto di aver dato il ruolo alla Riva. Credo di aver visto quasi mai recitare così, rendere l'incedere del male con le espressioni in questo modo. Dopo Hiroshima Mon Amour mi aspettavo tanto da lei ma così forse no, davvero una cosa quasi mai vista. Per finire dico una parola a Laura Sommovivo che rispetto ma che la pensa al contrario di me. Dice perchè scavare in cose che non vogliamo vedere ed intime? La vecchiaia ancora è troppo intima e se tutti sapessimo che succede e non mettessimo gli anziani in stanze chiuse invisibili agli altri sarebbe meglio.
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laura sommovigo
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domenica 4 novembre 2012
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non sono d'accordo con la critica trionfalistica
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Il mio voto , una sola stella, non è dato per la mediocrità del film,valutazione ovviamente erronea, ma per la rabbia che ha suscitato in me il voler frugare con un affilatissimo ed impietoso bisturi quelle parti dell'anima, che contengono la paura della malattia, vecchiaia e morte, che tutti noi accuratamente rimuoviamo. In questa dolorosissima operazione niente è dato in cambio per sollievo. E' come aprire una bara per vedere lo scempio della morte.
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mericol
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martedì 16 luglio 2013
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amore sino alla morte
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In un elegante appartamento parigino vivono Georges (J.L.Trintignant) e Anne (E. Riva), ultraottantenni, musicisti pianisti,una figlia pianista,forse anche una nipote sta per seguire le tradizioni di famiglia.
Affiatamento, comprensione,affetto, amore. Un ictus porta Anne alla invalidità. L’evento drammatico non turba il ritmo degli affetti tra i due. Georges collabora sino al sacrificio. Poi il sacrificio si accompagna alla insofferenza, ad esempio verso la giovane badante, che invece sembra svolgere lodevolmente il suo compito, ma viene licenziata. Quale colpa? Forse perché Anne si è notevolmente aggravata ed aveva già espresso il desiderio di farla finita.
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In un elegante appartamento parigino vivono Georges (J.L.Trintignant) e Anne (E. Riva), ultraottantenni, musicisti pianisti,una figlia pianista,forse anche una nipote sta per seguire le tradizioni di famiglia.
Affiatamento, comprensione,affetto, amore. Un ictus porta Anne alla invalidità. L’evento drammatico non turba il ritmo degli affetti tra i due. Georges collabora sino al sacrificio. Poi il sacrificio si accompagna alla insofferenza, ad esempio verso la giovane badante, che invece sembra svolgere lodevolmente il suo compito, ma viene licenziata. Quale colpa? Forse perché Anne si è notevolmente aggravata ed aveva già espresso il desiderio di farla finita. Anne è ormai ridotta ad una vita vegetativa, di tanto in tanto sa dire soltanto “male,male…”. Ma quale colpa alla badante ? Georges dimostra insofferenza verso un innocuo piccione,introdottosi in casa vivace,alla ricerca di cibo. Georges lo caccia via brutalmente.
La figlia (I.Huppert) si vede di rado, è presa dalla sua professione,dalle continue trasferte che la portano lontano da Parigi. E’ buona soltanto a lamentare lo stato nel quale è ridotta Anne. La vorrebbe forse ricoverare in un Istituto per anziani moribondi, per soddisfare il suo egoismo e nel contempo annullare le sue responsabilità.
In un atto di supremo amore Georges sopprime,soffocandola, la sua Anne. La chiude rigorosamente nella casa e nella stanza ove Anne aveva deciso di restare e ,in un momento di esaltante fantasia, segue fuori dell’uscio l’immagine di Anne ancora viva e attiva che lo invita.
La figlia,pianista, acquisisce finalmente la proprietà della casa. Così dolentemente, ma anche cinicamente, si conclude il film.
Una riflessione sull’amore,sugli affetti,sul senso della vita, e sul non-senso quando la vita è solo vegetativa. Una riflessione sull’affetto formale, sullo scaricare la responsabilità sugli altri, basandosi invece su un sostanziale egoismo(la figlia). Infine sulla consolazione dei sogni e dei ricordi del passato(sia per Anne che per Georges), quando la vita sta per finire.
Tutta la vicenda porta verso l’amore. Georges,dopo avere soppresso Anne per un atto d’amore, accoglie il piccione di nuovo apparso in casa sua. Questa volta lo stringe con tenerezza e poi lo libera.
Triste, amaro, ma grandioso nel significato e nella conduzione. Interpretazione strepitosa di J.L.Trintignant e E.Riva, oltre che di I. Huppert. Chi riconoscerebbe nella attuale ottantacinquenne E. Riva, la splendida,affascinante interprete (Lei) di “Hiroshima mon amour”?
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(di flag64)
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paride86
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sabato 1 dicembre 2012
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privo di qualsiasi fascino
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Spinto dal fatto che il film è di Michael Hanake - non mi aveva mai deluso, finora - mi sono recato al cinema pieno di belle speranze, anche tenendo conto della Palma D'Oro. Invece mi ritrovo con un film geriatrico, piatto, noioso, interminabile.
La prima parte può anche salvarsi: vi si descrivono i personaggi e le loro caratteristiche; la seconda, invece, è una vera agonia che si trascina avanti tra sguardi vuoti, malattia, dialoghi inconcludenti, il tutto nella claustrofobia di un solo appartamento.
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Spinto dal fatto che il film è di Michael Hanake - non mi aveva mai deluso, finora - mi sono recato al cinema pieno di belle speranze, anche tenendo conto della Palma D'Oro. Invece mi ritrovo con un film geriatrico, piatto, noioso, interminabile.
La prima parte può anche salvarsi: vi si descrivono i personaggi e le loro caratteristiche; la seconda, invece, è una vera agonia che si trascina avanti tra sguardi vuoti, malattia, dialoghi inconcludenti, il tutto nella claustrofobia di un solo appartamento.
Lo stile asciutto e sobrio di Hanake, di solito funzionale alla storia - penso a grandi film come "La pianista" o "Il nastro bianco" - qui non fa che peggiorare le cose, dando ad "Amour" l'espressività di un documentario sulla terza età.
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kimkiduk
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domenica 11 novembre 2012
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film sulla realta'
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Quanto è difficile rappresentare una cosa "semplice" come la vecchiaia, il dolore, il male, la morte. Haneke ci riesce facendo forse "niente", ma descrivendo solo quello che succede. E allora l' unica critica che leggo è proprio questa, dire quello che realmente succede e farlo vedere. Per me è cinema ASSOLUTO, amore allo stato puro. Accanto a questo l'ipocrisia della gente con esempi perfetti che non cito per rendere misterioso quello che succede. Film bellissimo, imperdibile, dolorosissimo nella sua verità. Da abbracciare per la loro immensa bravura sia Trintignat ma soprattutto la Riva, che ha reso il normale in un modo indescrivibile.
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Quanto è difficile rappresentare una cosa "semplice" come la vecchiaia, il dolore, il male, la morte. Haneke ci riesce facendo forse "niente", ma descrivendo solo quello che succede. E allora l' unica critica che leggo è proprio questa, dire quello che realmente succede e farlo vedere. Per me è cinema ASSOLUTO, amore allo stato puro. Accanto a questo l'ipocrisia della gente con esempi perfetti che non cito per rendere misterioso quello che succede. Film bellissimo, imperdibile, dolorosissimo nella sua verità. Da abbracciare per la loro immensa bravura sia Trintignat ma soprattutto la Riva, che ha reso il normale in un modo indescrivibile. Non ho parole per dire come con poche espressioni, con piccoli movimenti facciali abbia reso tutto così naturale. Sembrava essere lei vedendo il film, sembrava sentire il suo dolore. IMMENSA. Haneke ci fa capire la vecchiaia e quello che comporta invecchiare. Ci fa capire che è nascosta, paurosamente negata alla società, come se quando si nasce non si sappia che ci succederà. Esempio di cinema e di quello che il cinema dovrebbe dire. Bellissimo proprio perchè riesce a far capire quanto sia difficile parlare di una cosa semplice ed uscire choccati.
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adelio
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giovedì 18 luglio 2013
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acqua che corre..gli ultimi piatti lavati ..e via!
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Pochi film sanno raccontare con serena delicatezza, attraverso le immagini e le cadenze temporali, l’Amour di cui sono capaci un uomo e una donna al crepuscolo della loro storia di vita.
Quello che il regista Haneke ci mostra è infatti il racconto molto intenso e toccante degli ultimi momenti di vita di Anne e Georges, due vecchi musicisti uniti da un amore smisurato, irrinunciabile e a dire il vero, di questi tempi (vedi badante licenziata), quasi incomprensibile.
Anne e Georges sono una coppia di questo mondo e da questo mondo è presa …esce idealmente dalla moltitudine di pubblico nella scena del concerto iniziale per entrare all’interno della sacralità della loro casa, idealmente nel tempio del loro Amore.
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Pochi film sanno raccontare con serena delicatezza, attraverso le immagini e le cadenze temporali, l’Amour di cui sono capaci un uomo e una donna al crepuscolo della loro storia di vita.
Quello che il regista Haneke ci mostra è infatti il racconto molto intenso e toccante degli ultimi momenti di vita di Anne e Georges, due vecchi musicisti uniti da un amore smisurato, irrinunciabile e a dire il vero, di questi tempi (vedi badante licenziata), quasi incomprensibile.
Anne e Georges sono una coppia di questo mondo e da questo mondo è presa …esce idealmente dalla moltitudine di pubblico nella scena del concerto iniziale per entrare all’interno della sacralità della loro casa, idealmente nel tempio del loro Amore.
Dalla costatazione del tentativo di forzatura della serratura di casa, si comprende che i protagonisti temono le intrusioni, quanto meno quelle indiscrete, timorosi di alterare il loro perfetto e armonioso equilibrio affettivo.
Accettano invece con una forza interiore immensa, finchè ritenuta dignitosamente accettabile, la semi-infermità fisica della condizione di Anne, rinunciando di fatto a vivere quando la degenerazione dell’ictus colpisce la ragione stessa dell’amore che è fatta di gesti, pensieri, parole e comunicazione sensoriale.
Tutto avviene nel loro “spazio”, l’appartamento, in cui è girato l’intero film.
La casa racconta la loro vita, infonde armonia, musica, trasmette cultura e pace di cui sono portatori i due vecchi protagonisti, ma sono i loro sguardi, i gesti a raccontare del loro Amore maturo del loro amarsi vero che non deve dimostrare nulla, che ha solo da insegnare e attende solo, quale ultimo passaggio, di trasformarsi in puro Spirito.
Inutile indugiare sul significato simbolico della casa, dilungarsi a spiegare il fermo immagine su una sequenza di tele raffiguranti paesaggi naturali o provare a spiegare il continuo ricorso a riprese o a sonori di rubinetti con acqua fluente che scorre persistentemente, ritengo siano tutti artifici di ovvio significato per chi di cinema si alimenta.
Bello è invece rimarcare la doppia comparsa del piccione che è un po’ il simbolo dell’annuncio della vita che se ne sta andando e delle prossime “chiamate” ….
Stupenda la dipartita dei 2 vecchi signori, con Anne già morta, che nell’immaginario di Georges finisce di lavare i piatti, si fa accompagnare all’uscita dopo essersi infilata il cappotto, apre la porta …si ferma …si rivolge al marito, con uno sguardo di bellezza sconvolgente, e interrogativa lo invita a mettersi a sua volta il cappotto per seguirla.
In questa sequenza c’è tutta la forza dell’amore di Anne e Georges, quello stesso lasciare tutto a posto (anche i piatti lavati), perché è disdicevole la testimonianza del loro passaggio terreno nel segno della materialità, perché quel che si vuol lasciare sono il loro esempio di vita, i loro pensieri, i loro insegnamenti …la lettera manoscritta che Georges lascia idealmente alla moglie perché la figlia Eva possa leggerla.
Ciò che resta di questo “Amour” sono la spiritualità, la musica, la cultura, gli spazi luminosi, la radiosità del sole che entra dalle finestre, finalmente aperte, della casa in cui due meravigliose persone sono vissute.
Questo è quel che respira la figlia Eva e noi spettatori con lei, nella scena finale, entrando nella casa di Anne e Georges finalmente liberata da ogni bisogno, dolore e sofferenza materiali.
Film da non perdere assolutamente.
P.S.: pregevole il realismo, ben interpretato, della malattia di Anne e del vissuto di chi sta vicino a queste persone.
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norman_joker
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venerdì 9 novembre 2012
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un capolavoro di rara delicatezza
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Sono andato al cinema a vedere “Amour”, questo film francese di cui non ho voluto alcuna anticipazione: sapevo soltanto che avesse vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Le premesse riguardanti l’apparato tecnico possono non risultare incoraggianti: film indipendente, sette od otto attori, non più di due telecamere, nessuna musica per due ore e un quarto ambientate esclusivamente all’interno di una abitazione.
Inquadrature fisse, lente quasi fino al limite del sopportabile, con dialoghi brevi ed essenziali oppure piene di un silenzio che grava sullo spettatore. Si è dinanzi al realismo puro, alla quotidianità espressa nella sua più sconcertante sincerità, senza fretta o senza arricchimenti stilistici e verbali, senza forzature o abbellimenti.
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Sono andato al cinema a vedere “Amour”, questo film francese di cui non ho voluto alcuna anticipazione: sapevo soltanto che avesse vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes. Le premesse riguardanti l’apparato tecnico possono non risultare incoraggianti: film indipendente, sette od otto attori, non più di due telecamere, nessuna musica per due ore e un quarto ambientate esclusivamente all’interno di una abitazione.
Inquadrature fisse, lente quasi fino al limite del sopportabile, con dialoghi brevi ed essenziali oppure piene di un silenzio che grava sullo spettatore. Si è dinanzi al realismo puro, alla quotidianità espressa nella sua più sconcertante sincerità, senza fretta o senza arricchimenti stilistici e verbali, senza forzature o abbellimenti. Il film prosegue lento, di una lentezza che non pesa, giacché lo spettatore entra nel meccanismo del reale e si sente egli stesso parte integrante del film. I vantaggi del realismo sono proprio quelli di avvicinare colui che guarda, che quasi non si rende conto che sta vendendo della finzione, per quanto risulta impregnata di vita vera, che ha i suoi ritmi, le sue noie, i suoi silenzi e le sue lunghe pause.
E’ una premessa fondamentale, perché la scelta registica di Michael Haneke è quella di mostrare l’amore di una coppia anziana nella maniera più naturale e spontanea, mai artefatta; è l’amore che vive da decenni, talmente potente da essere diventato parte della vita stessa. Compreso questo, non vi è necessità di spettacolarizzazione, di sdolcinerie, di riaffermazioni o di drammaticità. L’amore si è nutrito delle loro vite negli anni e continua a farlo, con semplicità, con un silenzio che erroneamente richiama all’assenza, ma che è solo riservatezza.
Ed è con questa stessa naturalezza che si accolgono i gesti del protagonista per tutta la durata del film, il suo fronteggiare la malattia della moglie, la sua imperturbabilità che semplicemente non è ostentazione ma che cela un legame talmente profondo da essere indissolubile. Poche volte concretizza in parole il suo affetto: è la sua gestualità a parlare, la sua fermezza che è fonte d’amore, il suo agire in nome del bene della moglie, senza remore, senza esitazioni, forte della loro intima conoscenza e del porre il volere dell’altro al di sopra del proprio.
Ho avuto gli occhi lucidi durante qualche scena: l’uomo è calato nella vita, le sue passioni, le sue emozioni, il suo dolore, provengono dalla vita. Trasponi la vita sul grande schermo e scopri di non aver bisogno della drammaticità o della teatralità, perché basta la vita a regalarti tutta la gamma di emozioni. E quando il cinema ti ricorda quelle emozioni esattamente come le vivresti altrove, ti propone le stesse situazioni che probabilmente hai vissuto o comunque in cui non fatichi a calarti, allora ti rendi conto che la settima arte pulsa di vitalità e riesce a riproporre, con sorprendente semplicità, alcuni temi che sembra vengano denigrati dall’apparato commerciale che avvelena .
Al termine del film non sapevo cosa dire. Ero senza parole, frastornato. Perché sostanzialmente questa pellicola ripropone uno spaccato di vita senza tagli, con il risultato di avere diverse scene senza scopo, non pertinenti alla trama, ma che rientravano in quello spaccato che il regista ha offerto nella sua interezza. Tu, amico lettore, potresti vivere quella stessa situazione e avverti sulla tua pelle che le dinamiche del tuo cuore saranno proprio quelle, con quei tempi, con quegli sguardi e con quelle parole fugaci. Per coloro che non sono amanti del cinema c’è il rischio che il film risulti abbastanza pesante e decisamente troppo lento. Io ne sono rimasto affascinato, stordito dalla potenza di qualcosa che non avevo mai visto prima.
La sintonia di due amanti nella sofferenza non può che generare empatia. Una lezione di cinema, la potenza estrema della settima arte, che non abbellisce ma sa insegnare, la forza dell’espressività e della concretezza. E’ la parabola della vita e della morte, con l’amore come filo conduttore, nelle sue manifestazioni più sincere e paradossali, a penetrare nel cuore con la sua problematicità attorno al rifiuto della vita e all’egoismo dell’affetto, all’elevazione della persona amata fino all’annullamento di sé e della propria volontà. Non sentirete musiche ad accompagnare il corso delle riflessioni: soltanto il battito accelerato del cuore.
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tiziana2013
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domenica 13 gennaio 2013
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il coraggio dell'amore
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Amour o….. della vita quando la malattia irrompe prepotentemente e allaga l’anima, quando la vecchiaia ti toglie speranze e futuro, quando ti ruba tutto.
Amour e’ un film molto bello, commovente, di una tristezza e malinconia assolute, sulla vecchiaia, la malattia, la solitudine, il rimpianto, l’amore, la morte.
A chi esalta la vecchiaia come un auspicabile traguardo di serenita’, come il periodo della rivincita in cui si puo’ recuperare il tempo perduto durante la vita, ormai liberi dagli obblighi, il film dice ‘’Basta filosofeggiare!’’ La vecchiaia e’ decadimento progressivo, inevitabile! C’e n’e’ di che star male durante e dopo la proiezione.
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Amour o….. della vita quando la malattia irrompe prepotentemente e allaga l’anima, quando la vecchiaia ti toglie speranze e futuro, quando ti ruba tutto.
Amour e’ un film molto bello, commovente, di una tristezza e malinconia assolute, sulla vecchiaia, la malattia, la solitudine, il rimpianto, l’amore, la morte.
A chi esalta la vecchiaia come un auspicabile traguardo di serenita’, come il periodo della rivincita in cui si puo’ recuperare il tempo perduto durante la vita, ormai liberi dagli obblighi, il film dice ‘’Basta filosofeggiare!’’ La vecchiaia e’ decadimento progressivo, inevitabile! C’e n’e’ di che star male durante e dopo la proiezione. Infatti ritengo che Amour non sia un film per tutti proprio per la verita’ che ci racconta, spietatamente e semplicemente.Nessun oblio o illusione che il vivere possa essere in qualche modo diverso, percio’ dunque assistiamo alla vicenda dei protagonisti con gli occhi della consapevolezza, della condivisione e forse della rassegnazione. Quell’appartamento silenzioso, quelle stanze vuote, immobili, non li sentiamo poi tanto estranei, Ci sembra di conoscerli!
Amour ci racconta l’amore della dedizione, la protezione, la dignita’ della sofferenza, il coraggio, senza sentimentalismi.Ci racconta una verita’ che tutti sappiamo ma che tendiamo a rimuovere, per un istinto di autoconservazione.Potremmo pensare che sia inutile stanarla dal nostro animo o addirittura farci un film. Al contrario e paradossalmente, e’ invece un buon viatico contro la paura della morte stessa.
Splendidi gli interpreti.
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yoklux
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lunedì 11 febbraio 2013
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agghiacciante vitalità della morte
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La morte ultimo tabù rimasto rivive nell' opera di Haneke in una visione agghiacciante del reale, perchè il reale è tremendamente "anti-filmico", perchè il reale per lo più non abbisogna di una visione edulcorata e sentimentale e perchè il reale oggi non appassiona nessuno, se non stuzzica bassi istinti, poesia smielata o adrenalina spinta. Invece qui l'unico eccesso è il decesso, l'estinzione, naturale completamento della parabola vitale, privo di qualsiasi finta tribolazione metafisica-religiosa.
Il film combina magistralmente il senso di un amore, quindi della vitalità, della passione, del sentimento eterno, con la fine biologica, del prendersi cura del proprio amore, della propria moglie sino al termine del "viaggio", con la profonda ipocrisia di una società che non riesce a fare i conti con la morte, non è in grado di accettare la fine, che assolutamente non vuole, cerca infatti di combatterla, di mercificarla, d'imparruccarla.
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La morte ultimo tabù rimasto rivive nell' opera di Haneke in una visione agghiacciante del reale, perchè il reale è tremendamente "anti-filmico", perchè il reale per lo più non abbisogna di una visione edulcorata e sentimentale e perchè il reale oggi non appassiona nessuno, se non stuzzica bassi istinti, poesia smielata o adrenalina spinta. Invece qui l'unico eccesso è il decesso, l'estinzione, naturale completamento della parabola vitale, privo di qualsiasi finta tribolazione metafisica-religiosa.
Il film combina magistralmente il senso di un amore, quindi della vitalità, della passione, del sentimento eterno, con la fine biologica, del prendersi cura del proprio amore, della propria moglie sino al termine del "viaggio", con la profonda ipocrisia di una società che non riesce a fare i conti con la morte, non è in grado di accettare la fine, che assolutamente non vuole, cerca infatti di combatterla, di mercificarla, d'imparruccarla. Eppure la morte è onnipresente, onnipotente e sovrana come lo è la vita d'altro canto, esatto contraltare, l'una senza l'altra sono evidentemente impensabili.
Haneke è chirurgicamente e violentemente conscio di tutto questo, mostrandoci l'estrema dignità con cui marito e moglie affrontano il dramma, asciugando la narrazione, prosciugando i sentimenti, che giunti a questo punto della vita sembrano non servire più, aggiungendo solo pochi momenti onirici, perfetti -tra l'altro molto inquietanti, da film horror.
Ci riempie di dolore straziante, ma allo sesso tempo ci illumina di conoscenza: c'è l'implacabilità terminale della malattia e della senilità, c'è il silenzio delle parole e della musica che non può più alleviare, ci sono le lacrime mute di una figlia che non può e forse non vuole occuparsi del dolore che avvinghia e distrugge i due genitori; c'è anche l'estrema forza fisica e mentale dell'accettazione dignitosa della propria fine, in lei rassegnazione, in lui estremo atto di un vigore fisico e psichico ritrovato a forza, per forza.
Il film è terribile nel rappresentarci quasi pornograficamente nelle nostre mancanze e deviazioni patologiche ed è proprio qui che raggiunge un grado di perfezione e definizione raggiunto pochissime altre volte dal cinema e dall'arte. Rappresenta la malattia e la morte al lavoro e paradossalmente è estremamente vitale, perchè ci spiega quello che siamo intimamente, sotto la spessa patina ipocrita e buonista che ci costringe. Buona visione.
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