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laulilla
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martedì 31 maggio 2011
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un film ingenuamente consolatorio
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il film descrive una famiglia texana negli anni ’50, soffermandosi sui rapporti affettivi, e sul dolore provocato dalla morte di un figlio; sfondo di questa tragedia familiare è il processo grandioso che ha reso l’ambiente naturale adatto all’insediamento della vita vegetale, animale e infine umana, secondo una visione evoluzionistica, priva di senso e di finalità. Venti minuti di immagini molto belle ed elaborate si susseguono, suscitando sconcerto o meraviglia negli spettatori, per ripercorrere la storia del cosmo e della terra, collocando perciò il dolore dei personaggi nella più generale tragedia di ogni vivente, per il quale nascita e morte segnano i confini dell’esistenza senza tener conto di progetti, di affetti, di voglia di vivere.
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il film descrive una famiglia texana negli anni ’50, soffermandosi sui rapporti affettivi, e sul dolore provocato dalla morte di un figlio; sfondo di questa tragedia familiare è il processo grandioso che ha reso l’ambiente naturale adatto all’insediamento della vita vegetale, animale e infine umana, secondo una visione evoluzionistica, priva di senso e di finalità. Venti minuti di immagini molto belle ed elaborate si susseguono, suscitando sconcerto o meraviglia negli spettatori, per ripercorrere la storia del cosmo e della terra, collocando perciò il dolore dei personaggi nella più generale tragedia di ogni vivente, per il quale nascita e morte segnano i confini dell’esistenza senza tener conto di progetti, di affetti, di voglia di vivere. Il regista, però, fin dall’inizio del film, ci dice che se noi non accettassimo una visione esclusivamente naturalistica e scientistica dell’Universo e ricorressimo a una spiegazione fondata sulla Grazia, potremmo trovare un senso e un fine alle cose e alle vicende che ne paiono prive. Il preciso richiamo al libro di Giobbe, nell’incipit, significa che la ricerca del senso non comporta necessariamente una risposta positiva all’aspirazione dell’uomo a vivere senza soffrire. Il Dio che Malick postula potrebbe, come quello di Giobbe, chiedere agli uomini fede e obbedienza a leggi umanamente poco comprensibili, apparentemente capricciose e arbitrarie, come fa il padre del film, che pare compiaciuto dell’arbitrio delle sue imposizioni e che, non a caso, esige che i figli lo chiamino “Signore”. L’accostamento è forse plausibile: nel film abbondano, infatti, altri parallelismi più o meno espliciti, che ne permettono una migliore comprensione. La parte centrale (e forse migliore) del film è dedicata alla descrizione della vita familiare e delle dinamiche che si creano fra i diversi membri del piccolo nucleo: un padre severo e autoritario che fissa i paletti entro i quali i figli possono muoversi e agire; una madre dolce e protettiva, a sua volta vittima delle sue angherie ; tre bambini che, incuranti dei divieti paterni, si dedicano all’esplorazione sistematica del mondo che li circonda, ai giochi anche violenti e aggressivi nei quali misurano le proprie forze, sospinti dalla volontà di conoscersi e di conoscere il mondo, come è avvenuto nella storia dell’uomo, il cui incoercibile bisogno di sapere non ha mai accettato limiti. La conoscenza disgiunta dalla Grazia, tuttavia, ha ottenuto solo apparentemente risultati positivi: la razionalità fredda dei bellissimi grattacieli, che gareggiano per imponenza con gli spettacoli naturali, non emoziona, è priva di pathos, non suscita desiderio di protezione e d’amore. Le esigenze profonde postulano l’esistenza di un Dio che ci risarcirà, sia pur tardivamente (è tardivo anche il perdono che il padre chiederà al figlio a lungo vessato), colmando lo scarto fra le leggi dellala creazione, che impongono rigidi e dolorosi limiti, e la nostra aspirazione all’ amore e alla gioia. Il guaio è, però, che questo tardivo risarcimento, nel film, è poco allettante: un al di là incolore e melenso, in cui domina l’amore smanceroso che si scambia fra le creature, se dovesse durare in eterno, sarebbe di una noia insopportabile. Questo film è molto discutibile, così come la Palma d’oro che gli è stata assegnata. La frammentarietà della narrazione, quasi impressionistica, rivela una forma secondo me non all’altezza del contenuto filosofico, rimasto in una condizione di ingenua velleità.
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[+] l'amore melenso ti annoia...cattivona!
(di partenopeo7)
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ashtray_bliss
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domenica 23 ottobre 2011
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l'albero della vita e' un dono di dio.
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Questa pellicola puo' essere descritta in svariati modi. Puo' risultare noioso, senza senso, pesante. Ma questa pellicolla si contrappone a tutte quelle contemporanee che possono offrire solo mero intattenimento come magari un film d'azione o una commedia rosa. Questo film va oltre il senso di un cinema leggero, superficiale e a volte vacuo. Mallick con questo film vuole fare un tributo, un tributo alla vita in tutte le sue forme, dalla piu' piccolla cellula agli organismi piu' complessi, come l'uomo. Mallick ci invita a riscoprire la magnificenza della vita in ogni sua forma, ecco perche' tenta a stupirci con le meravigliose e intense immagini della creazione della terra. Ma The Tree Of Life e' anche un opera spirituale e religiosa.
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Questa pellicola puo' essere descritta in svariati modi. Puo' risultare noioso, senza senso, pesante. Ma questa pellicolla si contrappone a tutte quelle contemporanee che possono offrire solo mero intattenimento come magari un film d'azione o una commedia rosa. Questo film va oltre il senso di un cinema leggero, superficiale e a volte vacuo. Mallick con questo film vuole fare un tributo, un tributo alla vita in tutte le sue forme, dalla piu' piccolla cellula agli organismi piu' complessi, come l'uomo. Mallick ci invita a riscoprire la magnificenza della vita in ogni sua forma, ecco perche' tenta a stupirci con le meravigliose e intense immagini della creazione della terra. Ma The Tree Of Life e' anche un opera spirituale e religiosa. Piu' volte Dio viene citato come l'artefice di tanta bellezza, di tanta meraviglia che circonda l'uomo senza che lui se ne renda conto, colui che ci guidera' fino alla fine dei tempi. Dio ci ha dato la possibilita' di cercarlo e trovarlo attraverso il suo creato, e ci rende partecipi attraverso il mistero e la grandezza della vita. Ma Mallick non si ferma qui, non gli basta rendere un solo- splendido- omaggio alla vita e a Dio ma mette in risalto anche le due nature opposte dell'uomo. L'uomo che cerca la violenza, e che si convince che nella vita per ottenere successo bisogna essere aggressivi e non abbassare la guardia, bisogna saper imporsi noi e le nostre volonta. Questa natura viene impersonata dal padre (Pitt) del ragazzino, un padre autoritario e severo che ama i suoi figli ma cerca sempre di nascondere, di opprimere questo suo lato piu' sensibile e vulnerabile. L'altra natura invece, quella della madre (Chastain) gli insegna la via della grazia, della dolcezza, dell'amore incondizionato, assoluto e infinito per ogni cosa che Dio ci ha regalato. Lei stessa e' una madre amorevole e dolce che non nasconde e non si vergogna di essere sensibile e insegna ai figli lo stesso amore per la vita che prova lei stessa. Due nature opposte, contrarie l'una all'altra, due nature che si contrastano ma pero' riescono a fondersi pienamente nel carattere di Jack ormai adulto confuso e diviso da queste due nature opposte, e si trovera a dover affrontare il suo passato e gli insegnamenti dei due genitori. Alla fine si riconcigliera' con i due genitori e riuscira' a perdonarli (specialmente il padre) e ricongiungersi in un luogo fuori dal tempo, riconducibile a una sorta di paradiso- un luogo calmo, pacifico e sereno come la natura di Dio- con i genitori e i fratelli, cogliendo in pieno il significato dellla vita: dare e ricevere amore, il bene piu' grande che l'uomo possa mai conoscere.
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tommy3793
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venerdì 10 febbraio 2012
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malick come kubrick: alla ricerca dell’universo
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“Ci sono due vie per affrontare la vita :la via della natura e la via della grazia”.
Opera onirica e controversa “the Tree of life”, l’ultima fatica di Malick, si appresta ad entrare di diritto nella storia del cinema dell'ultimo decennio per la sua audacia e per il suo forte simbolismo. La trama, ambientata in parallelo tra l’America degli anni ’50 e i nostri giorni, è molto semplice e volutamente scarna: una famiglia con tre figli; padre fin troppo severo (rappresentante la forza a volte brutale della Natura) e una madre, che cerca di impartire ai ragazzi un’educazione basata sull’amore ed i sentimenti (metafora della dolcezza della Grazia).
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“Ci sono due vie per affrontare la vita :la via della natura e la via della grazia”.
Opera onirica e controversa “the Tree of life”, l’ultima fatica di Malick, si appresta ad entrare di diritto nella storia del cinema dell'ultimo decennio per la sua audacia e per il suo forte simbolismo. La trama, ambientata in parallelo tra l’America degli anni ’50 e i nostri giorni, è molto semplice e volutamente scarna: una famiglia con tre figli; padre fin troppo severo (rappresentante la forza a volte brutale della Natura) e una madre, che cerca di impartire ai ragazzi un’educazione basata sull’amore ed i sentimenti (metafora della dolcezza della Grazia). In verità, ciò che vuol far notare Malick è tutto quello che ruota attorno alla famiglia: nella mente del figlio maggiore Jack (interpretato nei tempi moderni da Sean Penn) la dicotomia far Grazia e Natura si fa sempre più forte. Nell’investigare la mente di Jack, il regista, affronta la tematica della ricerca della natura: frequenti ,infatti, sono le inquadrature di elementi naturali contornate da un sottofondo musicale classicheggianti: un’eco a “2001: Odissea nello spazio”. Eco che si fa ancora più forte quando Malick ricostruisce la nascita dell’universo, utilizzando lunghe sequenze di stampo fantascientifico con solo sottofondo musicale. L’immensa intensità, emotività e monumentalità delle immagini rendono difatti i dialoghi privi di importanza: la protagonista diventa la natura stessa in tutta la sua evoluzione, dal Big Bang sino alla comparsa delle primitive forme di vita sulla terra. “The tree of life” si presenta in questo senso come un ammonimento: il dolore e la sofferenza possono essere colmati dall’universo e dalla natura stessa. In una sorta di moderno panteismo Malick si pone in netto contrasto con la vita ultramoderna e materialista del mondo di oggi; e, in una spirale di immagini e suoni infiniti, pare quasi necessario il finale di forte stampo onirico, proprio come nel capolavoro di Kubrick. Film decisamente simbolico ed evocativo “The tree of life” è forse troppo sottovalutato dalla critica e dal grande pubblico (un po’ come avvenne all’uscita di “2001:Odissea nello spazio”); come a dire :il cinema è di tutti, ma non per tutti.
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gianniquaresima
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venerdì 18 aprile 2014
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l'albero della noia :(
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Non mi sono mai piaciuti quei film in cui registi e protagonisti si prendono troppo sul serio, pari pari alle loro sceneggiature. Anche un film drammatico per poter passare agli altri con intelligenza deve avere una costruzione non pedante e ripetitiva, questo film almeno per me è stata una grossa delusione. Ci si addormenta nel mostrare un disincanto noioso e petulante, se Dio esistesse davvero penso abbia molta più ironia della nostra, almeno nel dirci che anche se è lui che ci ha creato poi non può comandare e pilotare le nostre vite. Come capita agli uomini che creano le macchine le quali a volte hanno dei comportamenti imprevedibili. Ma Kubrick e Bergman non hanno insegnato niente ?? Poi ognuno si fa un idea sua di un film, a seconda del proprio punto di vista etico, morale, di sensibilità varie nei confronti della vita, questo film, come potrebbe dire il nostro buon "Benigno" in Tu mi Turbi, rischierebbe di indurre Dio al suicidio.
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Non mi sono mai piaciuti quei film in cui registi e protagonisti si prendono troppo sul serio, pari pari alle loro sceneggiature. Anche un film drammatico per poter passare agli altri con intelligenza deve avere una costruzione non pedante e ripetitiva, questo film almeno per me è stata una grossa delusione. Ci si addormenta nel mostrare un disincanto noioso e petulante, se Dio esistesse davvero penso abbia molta più ironia della nostra, almeno nel dirci che anche se è lui che ci ha creato poi non può comandare e pilotare le nostre vite. Come capita agli uomini che creano le macchine le quali a volte hanno dei comportamenti imprevedibili. Ma Kubrick e Bergman non hanno insegnato niente ?? Poi ognuno si fa un idea sua di un film, a seconda del proprio punto di vista etico, morale, di sensibilità varie nei confronti della vita, questo film, come potrebbe dire il nostro buon "Benigno" in Tu mi Turbi, rischierebbe di indurre Dio al suicidio. Per fortuna sua, non lo sa fare :) Gianni Quaresima.
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mauro.t
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sabato 11 giugno 2011
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il caos cosmico di malick
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La grandezza di un’opera narrativa, oltre che nella perfezione della forma, sta nel saper rappresentare un’epoca, un momento storico, nell’analizzare temi importanti, cogliendo i legami tra microcosmi e macrocosmi. Proust, con la descrizione dello snobismo salottiero, rappresenta la decadenza di un’epoca e di una classe sociale. Thomas Mann, all’età di 25 anni, scrive un romanzo (I Buddenbroock) da cui, con sua sorpresa, si sente toccata la borghesia di mezza Europa. Bulgakov, nell’immaginifico “Il maestro e Margherita”, denuncia la corruzione nell’Unione Sovietica staliniana. In “Guerra e pace” Tolstoi va dalle vicende amorose a quelle storiche in un gigantesco affresco. Anche nel cinema c’è chi vi è riuscito.
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La grandezza di un’opera narrativa, oltre che nella perfezione della forma, sta nel saper rappresentare un’epoca, un momento storico, nell’analizzare temi importanti, cogliendo i legami tra microcosmi e macrocosmi. Proust, con la descrizione dello snobismo salottiero, rappresenta la decadenza di un’epoca e di una classe sociale. Thomas Mann, all’età di 25 anni, scrive un romanzo (I Buddenbroock) da cui, con sua sorpresa, si sente toccata la borghesia di mezza Europa. Bulgakov, nell’immaginifico “Il maestro e Margherita”, denuncia la corruzione nell’Unione Sovietica staliniana. In “Guerra e pace” Tolstoi va dalle vicende amorose a quelle storiche in un gigantesco affresco. Anche nel cinema c’è chi vi è riuscito. Penso al neorealismo italiano, ai film di Vittorio de Sica e altri. Penso ad ”Arancia meccanica” che indagava sui meccanismi della violenza nella società, a certi film di Scorsese che sono impietosi con l’America. Anche a quelli di Clint Eastwood. Malick invece tenta un’operazione mai tentata da nessuno: legare le vicende famigliari alla storia del cosmo e della vita. Ma la storia dell’universo segue leggi astrofisiche, e la storia della vita leggi biologiche, mentre la storia dell’uomo, per essere compresa, ha bisogno di altri modelli, così come i rapporti famigliari. Le immagini del cosmo saranno anche belle, ma cosa evocano? Che ci azzecca la caccia di un dinosauro carnivoro con la vita di una famiglia americana degli anni ’50? Uomini come dinosauri? Troppo grande è la distanza tra le varie sfere. E Malick non riesce a colmarla. Non riesce neppure a dare un senso ai problemi dei personaggi, iniziando la storia con l’affermazione che la Natura (umana?) è corrotta, e banalizzando nel finale una ricerca della Grazia che suona come: “tutti abbiamo problemi in questa valle di lacrime”. Dov’è l’indagine sui meccanismi dei rapporti famigliari? Perché il padre è così duro? Perché lo è la natura? (E poi, questa idea che la natura è cattiva, non è abbastanza trita e superata?) Se, come diceva Picasso, l’arte è una finzione che ti fa capire la verità, quella di Malick non è arte. Il regista insegue le sue ossessioni, ma non riesce a mettere ordine nel caos cosmico.
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mystic
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giovedì 18 ottobre 2012
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la vita secondo malick
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Si sa che Terrence Malick non è famoso per la quantità di film girati. In particolare The Tree of life è il suo quinto lavoro. Il film segue la vita di Jack, figlio di un padre severo e gelido (Brad Pitt) e di una madre fin troppo comprensiva (Jessica Chastain), dalla nascita fino all'età adulta dove si interroga su un'infanzia turbata. L'albero della vita è un complesso sistema di rapporti umani tra i membri dellla società familiare, ma non solo: le nostre relazioni sembrano estendersi fino agli elementi naturali nei quali Malick cerca un'armonia di suoni e visioni, il tutto attraverso una sontuosa fotografia. Le emozioni infantili sembrano essere simili a prati verdeggianti e freschi ruscelli; nell'età adulta invece il tutto si trasforma in un paesaggio urbano che, estendendosi verso l'alto, quasi sembra estraneo agli occhi di Jack, interpretato da Sean Penn.
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Si sa che Terrence Malick non è famoso per la quantità di film girati. In particolare The Tree of life è il suo quinto lavoro. Il film segue la vita di Jack, figlio di un padre severo e gelido (Brad Pitt) e di una madre fin troppo comprensiva (Jessica Chastain), dalla nascita fino all'età adulta dove si interroga su un'infanzia turbata. L'albero della vita è un complesso sistema di rapporti umani tra i membri dellla società familiare, ma non solo: le nostre relazioni sembrano estendersi fino agli elementi naturali nei quali Malick cerca un'armonia di suoni e visioni, il tutto attraverso una sontuosa fotografia. Le emozioni infantili sembrano essere simili a prati verdeggianti e freschi ruscelli; nell'età adulta invece il tutto si trasforma in un paesaggio urbano che, estendendosi verso l'alto, quasi sembra estraneo agli occhi di Jack, interpretato da Sean Penn. Il regista parte dalla nascita di un fanciullo (lo stesso Jack) per raccontarci la storia naturale della terra, vista sempre come luogo anarchico che l'uomo non può controllare. Aperto alle discussioni, in particolare sull'ateismo e sulla fede, il film non prende una posizione chiara; la sequenza finale è però un inequivocabile tentativo di ricercare la stessa armonia in una realtà mistica o comunque alternativa, per non dire paradisiaca. All'ultimo Malick sembra cambiare idea e ci rispedisce nell'ambiguità della metropoli, il tutto per farci rimuginare sulle illusioni di una vita in cui la conciliazione con il prossimo è possibile ma non probabile.
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giulio dispenza
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lunedì 14 gennaio 2013
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il trionfo della vita e dell'amore sopra ogni cosa
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Tra l'autorità del padre e l'amore della madre, Jack si trova a non capire quale sia più la via giusta da seguire. Malick racconta la vita della famiglia O'Brien, rappresentazione del ceto sociale degli anni cinquanta in america. Seguendo un educazione rigidamente cattolica, il ragazzo una volta cresciuto sarà un'uomo perso tra la modernità del mondo contemporaneo, che anche lui non comprende fino a fondo. Il regista riesce a rappresentare il continuo stato d'animo del protagonista, sia da giovane che da grande, accompagnando il racconto da un continuo suono musicale, e anche lunghi piani di sequenza che raccontano la nascita della terra e quindi della vita. Terrence Malick vuole mettere a confronto, l'amore, la nascita e la bellezza della vita, con la crudeltà, la difficoltà che invece si trovano in essa.
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Tra l'autorità del padre e l'amore della madre, Jack si trova a non capire quale sia più la via giusta da seguire. Malick racconta la vita della famiglia O'Brien, rappresentazione del ceto sociale degli anni cinquanta in america. Seguendo un educazione rigidamente cattolica, il ragazzo una volta cresciuto sarà un'uomo perso tra la modernità del mondo contemporaneo, che anche lui non comprende fino a fondo. Il regista riesce a rappresentare il continuo stato d'animo del protagonista, sia da giovane che da grande, accompagnando il racconto da un continuo suono musicale, e anche lunghi piani di sequenza che raccontano la nascita della terra e quindi della vita. Terrence Malick vuole mettere a confronto, l'amore, la nascita e la bellezza della vita, con la crudeltà, la difficoltà che invece si trovano in essa. Infine Jack ritroverà la pace interiore riconciliandosi con la sua famiglia.
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ern79
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mercoledì 25 maggio 2011
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perchè il noioso fa chic...
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Ritengo che questo film sia il risultato di un'operazione presuntuosa. affascina gli occhi ma non tocca il cuore, vola così in alto da diventare inevitabilmente banale.se ha vinto la palma d'oro gli altri film in gara che robaccia erano? Possiamo dividere in due parti distinte e quasi antitetiche l'opera. la prima è la storia per niente originale di una famiglia borghese in cui il padre si riscatta dei ripetuti fallimenti in ambito lavorativo rendendo la vita impossibile ai tre figli piccoli ed innocenti ed ad una moglie impalpabile. la seconda parte è composta di colori, suoni, parole sussurrate immagini di feroce bellezza che dovrebbero didascalicamente dimostrare l'immensità della natura al cui cospetto noi, omuncoli senza costrutto, non valiamo niente.
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Ritengo che questo film sia il risultato di un'operazione presuntuosa. affascina gli occhi ma non tocca il cuore, vola così in alto da diventare inevitabilmente banale.se ha vinto la palma d'oro gli altri film in gara che robaccia erano? Possiamo dividere in due parti distinte e quasi antitetiche l'opera. la prima è la storia per niente originale di una famiglia borghese in cui il padre si riscatta dei ripetuti fallimenti in ambito lavorativo rendendo la vita impossibile ai tre figli piccoli ed innocenti ed ad una moglie impalpabile. la seconda parte è composta di colori, suoni, parole sussurrate immagini di feroce bellezza che dovrebbero didascalicamente dimostrare l'immensità della natura al cui cospetto noi, omuncoli senza costrutto, non valiamo niente. banale, banalissimo. una considerazione a parte per gli attori:
brad pitt: lo hanno conciato come don vito corleone, fateci caso imbolsito per esigenze di copione ma poco credibile con quei rigonfiamenti innaturali sulle guancie. come al solito la sua è una prova pulita senza sbavature ma davvero sembra un alunno ansioso di accontentare il maestro (mavick) senza volere o poter mettere niente di suo.
sean penn: spaesato, un pò per il ruolo e un pò perchè non sente suo il film. si vede. appare in tre scene, non parla se non con gli occhi e sempre per esprimere lo stesso concetto: stupito sconvolgimento. invecchiando diventa sempre più bello e più saggio, merita di più.
Jessica Chastain: è bellissima. dolcissima. madre amorevole e moglie paziente (sin troppo) sembra spesso che in lei il regista voglia racchiudere tutta la grazia del cosmo e l'unica speranza di salvezza, una sorta di beatrice dantesca "Tanto gentil e tanto onesta pare la donna mia quand'ella altrui saluta, ch'ogne lingua deven tremando muta", esagerato!!!
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gianluca bazzon
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martedì 14 giugno 2011
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il darwinismo teologico di malick
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Un film complesso, lungo, estetico, pretenzioso, affascinante, essenziale, religioso, metaforico, poetico, perfetto. E' un fiume in piena. 138 minuti di arte pura al servizio di un fine non esattamente modesto: raccontare la storia del mondo unendo il particolare all’universale, l’attimo con l’eternità.
La vita di una famiglia texana degli anni ’50 si mescola alle immagini della creazione in una narrazione in cui compare un’insolita struttura temporale. La morte di uno dei figli giustifica le domande sul senso della vita, sull’esistenza e la bontà divina, sulla grazia.
Brad Pitt è il pater familias severo ma non privo di amorevolezza.
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Un film complesso, lungo, estetico, pretenzioso, affascinante, essenziale, religioso, metaforico, poetico, perfetto. E' un fiume in piena. 138 minuti di arte pura al servizio di un fine non esattamente modesto: raccontare la storia del mondo unendo il particolare all’universale, l’attimo con l’eternità.
La vita di una famiglia texana degli anni ’50 si mescola alle immagini della creazione in una narrazione in cui compare un’insolita struttura temporale. La morte di uno dei figli giustifica le domande sul senso della vita, sull’esistenza e la bontà divina, sulla grazia.
Brad Pitt è il pater familias severo ma non privo di amorevolezza. Un mix di Stanley Kowalski e di maestro zen che alterna momenti di violenza e severità assoluta a gesti di affetto e massime di vita. L’odio del primogenito verso questo padre convive con una stima nascosta e una consapevolezza della sua similarità con lui. Rivolgendosi a Dio, la cui metafora sembra essere il padre, il bambino dice: “se tu non sei buono, perché dovrei esserlo io?”. La madre, silenziosa e angelica, è sempre pronta ad accogliere e difendere i figli dalle ire del padre e accetta umilmente il maschilismo vigente e il rapporto edipico con i figli raffigurando il più alto livello di saggezza.
Nonostante la prolissità, il film rimane sobrio ed essenziale soprattutto nei dialoghi, pressoché inesistenti e spesso muti, assomigliando in questo senso ad un film delle origini: I monologhi interiori dei personaggi, potrebbero essere ridotti a delle didascalie. Il principio di economia adottato per le parole non vale per le immagini che scorrono copiose accompagnate da una musica onnipresente, evocativa, religiosa che richiama un punto di vista metafisico. L’assoluto infatti sembra essere il vero soggetto, che si esplica nelle sue infinite forme perfette stilizzate (come lo sono i personaggi), assoluto che egoisticamente crea la vita sulla terra, unisce e divide quasi come fosse un gioco le anime per poi ricongiungerle finalmente, come suggerisce una scena del finale, in un luogo paradisiaco.
La natura forte e magnifica è esemplificata dall’albero, elemento costante, che con le sue infinite ramificazioni è simbolo delle svariate forme di vita e, quasi in un’ottica darwinista, della loro lotta per la sopravvivenza. L’albero, che tanto più sprofonda le proprie radici tanto più si erge verso il cielo e la luce, richiama lo spirito dell'uomo, bramoso di conoscere le proprie origini e insieme proteso verso l'infinito.
Il senso rimane velato così come il volto del regista che in generale preferisce evitare le apparizioni in pubblico.
Benché “The tree of life” abbia appena strappato il maggior premio al 64esimo festival di Cannes, in sala molti annoiati o basiti disertano prima dell'intervallo: così anche il cinema compie la sua selezione naturale.
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[+] più che pretenzioso...
(di gigibalaganda)
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disincantato83
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venerdì 17 giugno 2011
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sopravvalutato (di proposito?)
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Non so, e quindi mi/vi domando, se un’opera, a qualsiasi forma d’arte appartenga, possa avere un valore solo ed esclusivamente per la sua costruzione estetica, prescindendo del tutto da qualunque valutazione in merito ai contenuti.
E se la risposta è sì, allora mi ritiro da quello che non è il mio campo, lasciando la parola a quegli specialisti ai quali non mi vanto, ma neppure mi dolgo, di non appartenere.
Se invece la risposta è no (in assoluto ho detto che non lo so, ma in questo ambiente di pubblico, non di critica, deve essere necessariamente no), allora riprendo la parola e ribadisco che si tratta di un’opera sopravvalutata, mediaticamente gonfiata a forza di premi prestigiosi.
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Non so, e quindi mi/vi domando, se un’opera, a qualsiasi forma d’arte appartenga, possa avere un valore solo ed esclusivamente per la sua costruzione estetica, prescindendo del tutto da qualunque valutazione in merito ai contenuti.
E se la risposta è sì, allora mi ritiro da quello che non è il mio campo, lasciando la parola a quegli specialisti ai quali non mi vanto, ma neppure mi dolgo, di non appartenere.
Se invece la risposta è no (in assoluto ho detto che non lo so, ma in questo ambiente di pubblico, non di critica, deve essere necessariamente no), allora riprendo la parola e ribadisco che si tratta di un’opera sopravvalutata, mediaticamente gonfiata a forza di premi prestigiosi. Come un palloncino dai colori sgargianti e vistosi, che però basta fargli un buchetto per ridurlo a un nonnulla da buttare nel cestino.
Difatti, se parliamo di contenuto, di messaggio, tutto l’elaborato e sofisticato marchingegno del film si riduce a questo: “Sì, è vero che la vita è tante volte ingiusta, incomprensibile, piena di contraddizioni difficili da accettare a chiunque abbia un minimo di coscienza e intelletto; e che, nel suo complesso, è congegnata come un’eterna arena, in cui ciascuno, anche non volendo, deve combattere contro gli altri per la sopravvivenza; e che siamo immersi in un’esistenza ostile, sempre incerta, che può renderci felici soltanto per quel primo, breve periodo in cui non comprendiamo un tubo, salvo poi deluderci amaramente e irrimediabilmente… Tuttavia, a dispetto di tutto questo, basta inventarsi (poiché saperlo, non possiamo) che tutto ciò è dovuto a un disegno superiore (che noi non possiamo comprendere, dobbiamo soltanto accettarlo, anche quando ci dà sopra ai denti senza che ce lo siamo neppure meritato facendo qualcosa di male, magari mentre i peggiori vincono e prosperano); e che, di tutto questo, saremo ricompensati dopo la morte, in un’altra dimensione, con un’eterna felicità: e allora tutto ci apparirà di nuovo roseo e radioso, e saremo pronti per amarla, questa vita, anche se ingiusta, incomprensibile e contraddittoria”.
E ALLORA? Se invece che al cinema, me ne andavo in qualsiasi chiesetta di campagna, avrei potuto ascoltare la stessa pappardella. Con un apparato scenico non alla stessa altezza, ma comunque, in molti casi, più che dignitoso. E senza pagare il biglietto (anche se il giro d’affari multimiliardario dietro, c’è anche in quel caso, leggi IOR al posto di Hollywood). Non sarà -mica per essere maliziosi, eh, ci mancherebbe- che, considerando la frequenza mediamente ventennale delle fatiche cinematografiche del signor Malick (dovuta certamente all’eccelsa qualità, alla minuziosa cura dei dettagli estetici, non certamente a una scarsità d’idee che lo possa spingere, pur prendendosi così tanto tempo, a non riuscire a partorire altro che la versione spettacolarizzata dell’omelia domenicale), qualcuno possa aver pensato di produrre tutto quello sforzo & sfarzo festivaliero-massmediatico allo scopo di corroborare il botteghino, e conseguentemente le tasche del sopraccitato signor Malick a dispetto della saltuaria attività dello stesso?
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