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The Prisoner, una miniserie per riflettere

Prigionieri del piccolo schermo.
di Mattia Nicoletti

Il cinema incontra la tv
Ian McKellen (Murray McKellen) (84 anni) 25 maggio 1939, Burnley (Gran Bretagna) - Gemelli. Interpreta 2 nel film di Nick Hurran The Prisoner.

giovedì 22 luglio 2010 - Televisione

Il cinema incontra la tv
Una delle domande che si pone chi realizza serie televisive oggi è: “Devo intrattenere o devo fare pensare e riflettere?”. Lost, Mad Men, Breaking Bad sono tv show che conducono lo spettatore a riflettere senza prescindere dall'entertainment. Queste serie devono essere seguite con attenzione andando contro alla logica del mezzo televisivo che sottende uno zapping continuo e numerose distrazioni. In questi casi il piccolo schermo si avvicina al cinema. The Prisoner (in onda da stasera e ogni giovedì su FX alle ore 23), miniserie di sei episodi, rientra in questa tipologia, e conduce lo spettatore fare lavorare la mente. Remake di una serie british del 1967, The Prisoner, interpretato da Ian McKellen e Jim Caviezel (il Gesù de La Passione di Cristo di Mel Gibson) ha valenze politiche e sociali per la tematica che tratta. Il Villaggio (così si chiama la cittadina surreale dove si svolge l'azione) è un luogo in cui tutti gli abitanti, privi di una memoria del passato, sono chiamati con un numero. Protagonisti assoluti sono Due e Sei (McKellen e Caviezel) il cui gioco delle parti è al servizio di qualcosa di superiore. “1984” di George Orwell, e ancora di più “Il nuovo mondo” di Aldous Huxley fanno capolino nella trama, funzionali forse più alla prima versione realizzata in un periodo in cui la paura della perdita di identità era molto presente nella mente delle persone. La nuova versione è porta a un parallelo diverso da quello originale. Qui, sono i valori a essere messi in discussione e la falsata percezione di ciò che accade, poiché l'apparenza inganna.
The Prisoner non è un furbo remake, ma un semplice utilizzo di un soggetto che, a seconda del periodo storico, acquisisce un significato differente. La qualità della messa in scena, della recitazione, e dell'analisi socio-culturale lo posizionano come un prodotto elevato, che di televisivo ha solo il formato.

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