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Horror Frames: Survival of the Dead, i morti continuano a vivere

Gli zombie diventano così una sorta di deus ex machina.
di Rudy Salvagnini

Il prima e il dopo
Alan Van Sprang . Interpreta 'Nicotine' Crocket nel film di George A. Romero Survival of the Dead.

martedì 20 luglio 2010 - News

Il prima e il dopo
Quando nel 1968 George A. Romero dirige La notte dei morti viventi provoca una cesura netta nel cinema horror. Esiste un prima e un dopo La notte dei morti viventi. La rivoluzione è totale. Il tono pessimistico del film, il finale tutt’altro che lieto, l’uso dell’horror come metafora per parlare del malessere sociale, i personaggi positivi dipinti come antieroi pieni di buone intenzioni ma senza alcuna ricetta salvifica in tasca: tutti elementi nuovi, originali, soprattutto per il modo in cui vengono usati. Precedenti se ne possono trovare - uno è il misconosciuto e affascinante Carnival of Souls di Herk Harvey - ma l’arrivo di Romero sul palcoscenico del cinema è di quelli col botto.
La stessa rielaborazione di “mostri” come gli zombie sin lì poco usati e poco significativi -si contano sulle dita di una mano i buoni film di zombie antecedenti (L’isola degli zombies, Ho camminato con uno zombie, La lunga notte dell’orrore e poco altro) - è un capolavoro di attualizzazione e ripensamento di un prototipo leggendario. I morti viventi appartengono alla tradizione della cultura caraibica, al voodoo. In quel contesto rappresentano l’estremo sfruttamento dell’uomo sull’uomo: sono uomini che vengono fatti “rivivere” per essere usati come schiavi, come forza lavoro. Romero ne rielabora il concetto per trasformarli in una minaccia cannibale che ci assomiglia molto: i morti viventi sono come noi, chiunque può diventarlo. I mostri non sono più qualcosa di alieno, sono un’altra versione di noi stessi.
Il successo de La notte dei morti viventi spinge Romero a realizzare una serie di film sullo stesso argomento, anche se vi ci si dedica dopo un’iniziale riluttanza che lo porta a cercare dapprima altre strade, commercialmente molto impervie (There’s Always Vanilla e La stagione della strega, oltre a La città verrà distrutta all’alba). Nel realizzare la sua serie sugli zombie, però, Romero dimostra un’insolita integrità autoriale. Non si limita a ripetersi, ma costruisce nel tempo una saga di largo respiro, trovando ogni volta aspetti nuovi, utili a comporre un quadro apocalittico nel quale è sempre possibile cogliere riferimenti critici alla nostra società.
Anche il modo in cui è strutturata la saga, almeno per i primi quattro episodi, è particolare. Ciascuno dei film che la compone non è il diretto seguito del precedente, ma si situa in un arco temporale successivo, raccontando una storia completamente diversa, inserita in un contesto nel quale il degrado della civiltà come noi la conosciamo ha compiuto un ulteriore passo verso l’abisso. Se La notte dei morti viventi testimonia l’arrivo degli zombie e mostra i primi confusi passi delle autorità per un contenimento del contagio, Zombi traccia un quadro d’insieme del procedere della devastazione, tra le idee sbagliate, le chiacchiere e i litigi di chi dovrebbe contrastarla. Il giorno degli zombi mette in scena la resa dell’umanità, confinata in bunker sotterranei solo apparentemente sicuri, mentre la superficie è preda di torme di zombie ormai padroni del mondo. Dopo uno iato di molti anni, La terra dei morti viventi procede nella saga mostrando come un problema possa essere affrontato anche ignorandolo, se si hanno i privilegi per farlo. Il film mostra infatti come i ricchi facciano valere il loro denaro anche in una situazione di disfacimento sociale, creando delle enclavi di assoluto benessere e sicurezza al di fuori delle quale tutto è morte e devastazione.

Un nuovo ciclo
Dopo La terra dei morti viventi, però, con Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi, Romero azzera la progressione e torna all’inizio per raccontare di nuovo - in modo aggiornato ai tempi e con un’ottica dove è preminente lo studio dell’atteggiamento dei media, soprattutto di quelli nuovi - il momento in cui i morti tornano improvvisamente in vita. Un altro ciclo sembra quindi aprirsi e Survival of the Dead, finalmente in uscita anche da noi almeno in dvd, ne rappresenta il nuovo, atteso capitolo.
Pochi giorni dopo l’inizio del contagio, la nazione è nel caos. Il sergente Crocket guida un drappello di soldati sbandati alla ricerca di un rifugio, stanchi di uccidere senza vedere la fine della mattanza. In un’isola al largo del Delaware, Patrick O’Flynn guida invece la propria famiglia con piglio dittatoriale, con grande scorno della figlia ribelle Kathleen, con una gemella zombie e cavallerizza. O’Flynn crede che i piccoli figli del suo vicino Matthew Muldoon, appartenente a una famiglia con cui gli O’Flynn hanno una radicata rivalità, siano stati contagiati e irrompe con i suoi per accertarsene e, nel caso, farne piazza pulita. La moglie di Matthew, si oppone e viene uccisa dagli O’Flynn. Mentre Patrick sta per uccidere i figli di Matthew, effettivamente contagiati, è fermato dall’intervento deciso del patriarca dei Muldoon, Seamus. Patrick e alcuni dei suoi vengono cacciati dall’isola, ma Kathleen rimane. Crocket e i suoi, ai quali si è unito un giovane sbandato, decidono di andare nell’isola per trovare l’agognata sicurezza. Per farlo usano un ferry sul quale trova posto anche Patrick O’Flynn, desideroso di prendersi la rivincita su chi l’ha cacciato.

Il ritorno al classico
Dopo lo sperimentalismo visivo dell’episodio precedente, Romero torna a una direzione di stampo più classico, mantenendo comunque lo stile nervoso e dinamico che gli è proprio. La storia serve ancora una volta a Romero per soffermarsi sulle debolezze e sui difetti della natura umana, che si evidenziano nelle situazioni di stress estremo e, soprattutto, per mostrarci quanto sia sottile il diaframma che la società civile ha frapposto al risorgere spontaneo di un atteggiamento gretto e violento che pare connaturato all’umanità, o almeno a buona parte di essa, quella che prende le decisioni. Gli zombie diventano così una sorta di deus ex machina per far emergere i diversi comportamenti degli esseri umani di fronte a una situazione apocalittica nella quale i loro simili defunti sono una minaccia, ma i loro simili viventi possono esserlo ancora di più. è sempre stato un elemento comune dei film della saga quello di mostrare come, anche di fronte a un pericolo totale che richiederebbe coesione, gli uomini tendano a dividersi e a combattersi. Il pessimismo di Romero si conferma anche stavolta, sempre temperato da un forte senso di moralità e da un sottofondo a tratti quasi religioso.
Molto si è detto dell’aspetto quasi da western di questo episodio - le famiglie rivali, i due patriarchi scolpiti nella pietra, un’estetica da vecchia frontiera in alcuni dei momenti ambientati nell’isola - ma questo resta un elemento esteriore, buono per dare una nuova linfa visuale. Contenutisticamente, incide poco. I temi restano quelli di sempre con l’aggiunta, come di consueto, di qualche angolatura nuova. In questo caso, il tentativo di superare il problema che sconvolge lo status quo patriarcale attraverso una sorta di addomesticamento degli zombi, in attesa di un’improbabile cura. Il vecchio Muldoon, dominatore della zona, vuole che i suoi, anche se diventati zombi, continuino a far parte del panorama. Pensa di poterli convincere a mangiare animali. Non si arriva alla conversione degli zombi a collaboratori familiari - come avviene nel simpatico Fido - ma ci siamo vicini. Come già in Zombi e ancor più ne Il giorno degli zombi, i morti viventi tendono a ripetere meccanicamente i gesti che compivano in vita e potrebbero forse essere controllati, se non fosse che tra i vivi non c’è alcuna armonia.
Non c’è molto di nuovo, in questo film di Romero, ma la tensione e la coesione narrativa, il tratteggio spesso interessante dei personaggi e l’accettabile crescendo finale, doverosamente apocalittico, rendono Survival of the Dead un’aggiunta forse non essenziale, ma sicuramente valida, al ciclo. Ironia e sapidi commenti sociali non mancano e il tripudio conclusivo, che evidenzia tanti nuovi modi - inventivamente pittoreschi - di eliminare gli zombie, dovrebbe accontentare gli appassionati.

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