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La doppia ora: Doppio sguardo sul noir

L'esordio di Giuseppe Capotondi incrocia i sentieri del film di genere.
di Edoardo Becattini

Occhi da guardare
Giuseppe Capotondi (56 anni) 1 gennaio 1968, Corinaldo (Italia) - Capricorno. Regista del film La doppia ora.

martedì 6 ottobre 2009 - Incontri

Occhi da guardare
Che sia nero, giallo o profondo rosso, il cinema di genere esercita un doppio sguardo sul mondo e sulle cose. Gioca con l'ambiguità della natura umana, con le luci e le ombre di personaggi che fumano e sfumano i contorni che separano il bianco dal nero, il buono dal cattivo. A partire da un gioco con la sorte che coinvolge il numero doppio che per un minuto all'ora si presenta sugli orologi digitali (00:00, 01:01, 02:02, ecc.), l'opera prima di Giuseppe Capotondi tematizza questo sdoppiamento del senso e dei sensi implicati nel cinema di genere attraverso una vera e propria ossessione per lo sguardo. La doppia ora si concentra sugli occhi grandi ed espressivi di Ksenia Rappoport e di Filippo Timi, sugli incroci di sguardi fra Sonia, ragazza slovena che lavora come cameriera in un albergo, e Guido, guardiano solitario con la passione per i microfoni. Dopo essersi conosciuti ad una serata di speed dating, ognuno cerca di leggere negli occhi dell'altro il mistero che lo avvolge. E a questo predominio dello sguardo sull'ascolto, Capotondi delega la fiducia dei suoi personaggi e la suggestione di noi spettatori.

Perché il noir?
Stefano Sardo (sceneggiatore): La storia parte da un piccolo spunto che abbiamo deciso di assecondare. Condividiamo una passione per il noir. Un tempo si diceva che l'Italia non fosse l'ambiente adatto per poter concepire un noir, oggi la pensiamo tutti diversamente, fra ciò che vediamo in televisione fra finzione e cronaca nera.

Giuseppe Capotondi: Il nostro film racconta una storia piccola ma attraverso un genere che è divertente da vedere e anche da fare. Fare un noir in Italia è comunque una sfida, considerando che è un genere poco praticato nel nostro cinema. Probabilmente tale tendenza dipende dal fatto la nostra produzione è regolata da logiche televisive che non amano divagazioni in generi poco conosciuti e poco frequentati a livello nazional-popolare.

Alessandro Fabbri (sceneggiatore): In Italia si comincia adesso a frequentare il noir, ma soprattutto a livello letterario e solo di riflesso in quello cinematografico. Il noir è il genere che tira fuori il meglio e il peggio dai personaggi della storia. E in tempi distorti come questi, diviene sempre più difficile distinguere i due aspetti del nostro carattere.

Ludovica Rampoldi (sceneggiatrice): Sarebbe bello poter raccontare un film alla Frank Capra, ma la situazione del nostro paese decisamente non invoglia a concepire una storia di ottimismo.

Perché hai scelto questa storia e questo personaggio?
Filippo Timi: Ad essere sincero non mi ero accorto inizialmente, leggendo la sceneggiatura, che si trattasse di un noir. Sarà che vivo una vita "torbida" da quando ho quindici anni ma non ne ho davvero compreso il potenziale noir finché non l'ho visto sullo schermo e ne ho percepito l'atmosfera. Ad ogni modo, ho trovato perfetta l'idea di raccontare una storia d'amore secondo i canoni del noir. D'altronde le storie d'amore sono spessissimo storie tormentate, storie oscure.

Ti senti ingabbiato nel ruolo di personaggi maledetti? Filippo Timi: Non direi che mi sento ingabbiato in un ruolo. Ho fatto teatro per tredici anni e ho cominciato a frequentare il cinema solo da poco. Il fatto è che credo di avere una certa fisicità per un certo tipo di ruoli, e un attore deve sempre modulare il suo carattere in funzione del suo corpo. Sono comunque dell'idea che tutte le cose più serie debbano passare attraverso un filtro di ironia, determinate sfumature. E ciò che mi è piaciuto del personaggio di Guido è che si trattasse di un uomo duro ma sostanzialmente molto buono.

Lo stile del film
G. Capotondi: Volutamente non ho voluto marcare la differenza fra i diversi stati del personaggio di Sonia per preservare il nucleo più intimo del film, quello che ne racchiude il mistero, l'essenza. Sarebbe stato scorretto anche nei confronti del pubblico alterare con soluzioni stilistiche diverse le varie parti del film.

Nicola Giuliano & Francesca Cima (produttori): È un film difficilmente catalogabile in un solo canone e ciò ne ha influenzato l'accoglienza alla Mostra di Venezia da parte della stampa italiana. È piaciuto di più ai critici americani perché all'estero sono più abituati a questa contaminazione di generi, all'idea che il noir possa intrecciarsi con il mistery e col melò.

Qual è l'intento principale del film rispetto al suo pubblico?
Ludovica Rampoldi: L'intento iniziale era raccontare una storia d'amore, una storia di perdono verso se stessi e verso gli altri, ma ricorrendo a canoni differenti da quelli abitualmente concepiti per le storie d'amore. Poi ci è venuto in mente la struttura ad atti del film, l'idea di ripartire le varie parti della storia secondo un genere differente: il mystery, il thriller, il noir. D'altronde non esiste una formula alchemica per concepire una sceneggiatura.

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