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Viaggio alle radici della violenza

Con Bronson Nicolas Winding Refn fa il suo esordio nelle sale italiane.
di Gabriele Niola

Tom Hardy in una foto di scena del film Bronson del regista danese Nicolas Winding Refn.
Tom Hardy (Edward Thomas Hardy) (46 anni) 15 settembre 1977, Londra (Gran Bretagna) - Vergine. Interpreta Charles Bronson/Michael Peterson nel film di Nicolas Winding Refn Bronson.

mercoledì 8 giugno 2011 - Approfondimenti

La violenza rappresentata è, nei suoi migliori exploit e specialmente al cinema, armonia dei corpi, esibizione alta degli istinti più bassi. Non solo le evoluzioni di Jackie Chan (davvero più prossime al balletto che alla rissa) ma anche i momenti meno coreografici ed estetizzanti, quelli cioè più crudi ed efferati, sono l’esibizione della materia attoriale e cinematografica al lavoro, unita ad una delle componenti fondamentali della natura umana: il desiderio di supremazia.
Bronson, come il poco successivo Valhalla rising, gira intorno a quest’idea di estrema violenza, rabbia e forza concentrata in un personaggio messo a confronto con ambienti in cui quella forza e quella violenza non funzionano se non declinate in altre maniere.
Tutto questo spiega bene chi sia Nicolas Winding Refn, l’ultimo di una lunga schiera di registi dalla vocazione alta a dedicarsi al lato violento ed animale dell’uomo. Dopo un inizio di carriera scorsesiano, in cui la dimensione animale indagata era quella tribale dell’inclusione od esclusione spietata da gruppi sociali (solitamente criminali), variabile in grado di determinare la sopravvivenza o meno dell’individuo, è arrivato Bronson, storia vera (sebbene poco realistica) di Michael Petersen, in arte Charlie Bronson, il detenuto più pericoloso del Regno Unito. In lui convergono istanze animali sia positive che negative, comunque manifestate attraverso la violenza. Un biopic poco attaccato alla realtà per raccontare una figura che, si tratti di una rissa o di un’opera d’arte, si dedica a tutto attraverso la forza, possibilmente nudo.

Poca razionalità, molto istinto
Già nel secondo capitolo della trilogia di Pusher (arrivato ad 8 anni di distanza dal primo) Refn recuperava un personaggio che si credeva essere stato pestato a morte nel precedente film e lo eleggeva a protagonista. Completamente rimbecillito dalle botte prese in testa, la sua Odissea da scemo e impotente in un mondo di piccola criminalità, in cui furbizia e potenza (sessuale e non) sono le caratteristiche fondamentali per la sopravvivenza, era un viaggio che terminava alle radici della violenza.
Charlie Bronson ugualmente è un personaggio dal carattere particolare e dai ragionamenti poco raffinati, più incline a stringere i pugni in segno di rabbia che ad argomentare, un uomo che è violenza e che sembra non conoscere altro nella sua vita fin dall’infanzia.
Cercando di alleggerire in ogni momento la materia trattata con umorismo, senso del grottesco e del ridicolo il danese in trasferta britannica porta alle estreme conseguenze la sua idea di annullamento della parte razionale dell’uomo a favore di quella animale, trovando in un irriconoscibile Tom Hardy, il corpo perfetto in bilico tra natura e grazia malickiana. Grazia che si manifesta parimenti nella paradossale carriera da artista di Bronson come in quella di pugile clandestino.
Refn è un pozzo di idee di messa in scena e in ogni momento sembra sapere come rendere in immagini il percorso del suo protagonista che terminerà in una straordinaria minigabbietta, sintesi perfetta di tutta la dialettica tra corpo, instinto e razionalità che anima il film.

Chi è Nicolas Winding Refn
Nato artisticamente in Danimarca negli anni del dogma, diventato noto presso un pubblico di nicchia con la trilogia di Pusher (niente a che vedere con il Pusher britannico del 2004) ma emerso davvero agli onori internazionali solo di recente proprio con Bronson, produzione inglese passata al Sundance Film Festival del 2009, Nicolas Winding Refn è uno degli autori più interessanti tra quelli al momento in attività.
Dotato di un’idea di cinema precisa come un rasoio, di una passione per la tensione, le storie criminali e una visione alta di qualsiasi materia trattata (specie le più basse), dopo Bronson i suoi film sono passati a Venezia (Valhalla rising) e Cannes (dove Drive ha vinto il premio per la miglior regia) e ora è in ballo per il remake di La fuga di Logan.
Amante della macchina a spalla (anche per ovvie ragioni nazional/generazionali) tanto quanto dei grandangoli e delle performance dei suoi protagonisti, Refn sembra innamorato delle vite e delle passioni di criminali di piccolo conto, personaggi da noir classico stretti tra due fuochi. Siano i problemi da spacciatore dei tre protagonisti di Pusher, sia il desiderio di affermazione e fama in un mondo dove la violenza conta più di tutto di Bronson che quello di raggiungere una meta ormai perduta del vichingo guerriero di Valhalla rising, in ogni film di Refn l’uomo è un concentrato di stimoli efferati, da cui partono anche le azioni più nobili e che rispecchia la parte animale della nostra organizzazione sociale.

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