Anno | 2010 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Italia, USA |
Durata | 94 minuti |
Regia di | Giada Colagrande |
Attori | Michele Venitucci, Marialuisa Capasa, Anna Luisa Capasa, Mariela Franganillo, Stefania Rocca, Jess Weixler, Willem Dafoe . |
MYmonetro | 2,45 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 25 giugno 2014
L'americana Julie si innamora di uno scrittore recentemente rimasto vedovo di una famosa ballerina. Lo segue nel sud dell'Italia, dove vive, ma la figura della prima moglie la ossessiona sempre più.
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CONSIGLIATO NÌ
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Julie è una ragazza sola, che vive a New York con un'amica italiana. L'incontro con lo scrittore Max Oliver, affranto dalla recente morte della moglie, suscita in lei l'amore e il desiderio di riportare l'uomo alla felicità. Per questo, lo segue ad Otranto, dove lui vive, in una bellissima casa con torre, in riva al mare. Una volta in Italia, però, Julie si lascia ossessionare dalla figura di Lucia Giordano, la ballerina di tango a cui Max era sposato e che ha reso protagonista del suo libro "Una donna" e lentamente scivola nella malattia mentale.
Il terzo film di Giada Colagrande si apre su una New York notturna, vista dal finestrino di un taxi, quasi fosse una pellicola di Abel Ferrara, per poi trasformarsi in un'eco di "Rebecca, la prima moglie" di Alfred Hitchock. In mezzo ci sono ingenuità, stonature, scelte al limite del ridicolo, ma anche una grande personalità e la conferma di una coerenza artistica che, per quanto ancora acerba sul fronte narrativo -ed è un danno serio, pregiudicante- lascia davvero credere che un giorno vedremo ciò che aspettiamo. Purtroppo, però, A Woman marca un passo indietro rispetto al precedente Before it had a name , pur trattandosi di una variazione sul tema. Ancora una donna che una non è, ma nasconde un doppio, ancora una casa da esplorare, un luogo (mentale) pieno di insidie, di zone d'ombra, di limiti da (non) varcare. Lo sradicamento, affidato a un personaggio femminile ingenuo ma coraggioso, è il sentimento che la regista filma con maggior intensità e con i risultati migliori; ciò che è più "scritto", invece, risulta forzato nella messa in scena, gli attori paiono messi in posa, Dafoe compreso; costretti ad una sensazione di disagio che potrebbe anche trasmettersi efficacemente allo spettatore, se solo fosse meglio indirizzata e controllata.
Lo stile della Colagrande fonde una passione per le tinte noir e talvolta grottesche con una cura dell'inquadratura molto attenta, debitrice delle incursioni nella video arte, ma a questi incastri, nel film, manca l'olio: sono scattosi, macchinosi, rigidi. La bionda e la mora, la luce e l'ombra, il bianco e il nero: ammesso che bastino, non avanzano, sono fermi, risaputi. Della parte girata in Puglia non ci spiega, poi, la scelta fotografica, con quel pesante effetto flou.
Preferiamo la Colagrande alle prese con i bizzarri abitanti della provincia americana che con i "dark angels" di casa nostra, in scivolata libera sulla recitazione. Ma siamo pazienti, aspettiamo.
Film decisamente da evitare, e più si avanza nella narrazione più la cosa risulta chiara. Anche la recitazione sembra peggiorare con lo svolgersi del film. Concetti già visti, ed inoltre espressi male. Inutile.