Titolo originale | Danmarks sønner |
Anno | 2019 |
Genere | Drammatico, Azione |
Produzione | Danimarca |
Durata | 120 minuti |
Regia di | Ulaa Salim |
Attori | Zaki Youssef, Mohammed Ismail Mohammed, Imad Abul-Foul, Rasmus Bjerg, Ari Alexander Olaf Johannessen, Asil Mohamad Habib, Ivan Alan Ali, Özlem Saglanmak, Morten Holst, Ali Hussein, Stine Prætorius, Mikkel Derby Kragh, Morten Burian, Elliott Crosset Hove, Carsten Bak Meisner, Anders Breinholt, Ida Herskind, Ole Blegvad, Lene Johansen, Rikke Østergaard, Nina Schomann Soelberg, Ditlev Ulriksen, Per Madsen, Mohammed Aldin. |
MYmonetro | 3,84 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento domenica 22 settembre 2019
Il giovane Zakaria insieme al suo mentore Ali organizzano un colpo di stato.
CONSIGLIATO SÌ
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Nella Danimarca di un futuro molto vicino e molto simile al nostro presente, un attentato in una stazione della metro di Copenaghen proietta al governo un nuovo partito ultra-nazionalista, il cui leader Martin Nordahl vuole liberare il paese da tutti i non-danesi. Alla fumosa categoria appartiene di fatto Zakaria, un diciannovenne di origine araba che subisce sulla propria pelle le conseguenze discriminatorie di una retorica vicina al gruppo neo-nazista dei "Figli della Danimarca". Radicalizzato dall'autorevole Hassan, Zakaria viene affidato alla guida taciturna di Ali, che lo addestrerà a portare a termine l'assassinio di Nordahl.
Nelle mani del regista esordiente Ulaa Salim, una Danimarca stilizzata assume i contorni di una gabbia tossica per uomini in balia della rabbia, in cui le sfumature vengono spazzate via da un'esplosione nella prima scena assieme a qualunque traccia di società civile.
Le successive due ore sono un incubo martellante popolato esclusivamente da fazioni in guerra: politici, poliziotti e fondamentalisti islamici si specchiano e si riflettono sotto l'illuminazione asettica di un'architettura translucida, partecipanti consapevoli di un thriller dalla mano pesante ma capace di stupire nella struttura. Salim, danese cresciuto in una famiglia di immigrati iracheni, ha di certo la prospettiva giusta per raccontare una storia del genere, ma la sua foga espressiva conduce a scelte pedanti, in particolare l'uso ricorrente del Requiem di Mozart nelle scene chiave, che finisce per svilire un impianto altrimenti ben funzionante pur nelle sue semplificazioni. Senza mai arrivare a fare un ritratto compiuto di una società alle prese con fratture insanabili, Sons of Denmark cattura però l'essenza dei piccoli momenti al suo interno: l'insidioso utilizzo dello humor televisivo per normalizzare gli estremismi, oppure il complesso gioco a nascondino dei leader populisti che devono condannare le frange estreme pur essendo da loro compromessi.
In più, Salim punta ripetutamente a spiazzare lo spettatore, soprattutto nell'uso di certi attori locali che sovvertono la loro immagine pubblica. Esuberanza innocua di gioventù, certo, ma nell'esempio più vistoso, che altera la struttura del film all'altezza del giro di boa, l'effetto è quello di una riconfigurazione totale, che d'improvviso fa salire di livello un esordio promettente dal punto di vista del ritmo e dello stile. Brutale e deciso nel portare la sceneggiatura alla sua inevitabile conclusione, Sons of Denmark si dimostra un nucleo ben riuscito anche se non in grado di sostenere le ambizioni di racconto psicologico e sociale che gli stanno attorno. Poco male: l'intensità viscerale e l'opulenza visiva, per ora, bastano a fare di Ulaa Salim un regista da tenere d'occhio.