Che non fossero colpevoli d’altro che di essere repubblichini si sapeva, che non fossero torturatori, anche. Ma chissà perché la “leggenda nera” di Osvaldo Valenti e di Luisa Ferida continua ad avere mercato tanto che di recente qualcuno (non sappiamo se disinformato o in malafede) è riuscito a scatenare anche una piccola polemica sulla presenza della Ferida in un libro dedicato alle biografie delle italiane celebri.
Luisa Ferida nata chi dice a Bologna chi nella vicina Castel San Pietro il 18 marzo 1914, dopo una gavetta come attrice di teatro e numerose parti minori al cinema esplose letteralmente nei tre film di Alessandro Blasetti: Un’ avventura di Salvator Rosa, La corona di ferro e La cena delle beffe . E fu durante la produzione del primo film che l’attrice bolognese conobbe Osvaldo Valenti, bizzarro personaggio, nato a Istanbul nel 1906, cocainomane dichiarato, famosissimo soprattutto per le parti di vilain che sapeva rendere con assoluta bravura.
Tra i due fu il colpo di fulmine e nacque insieme un grande amore e un sodalizio artistico.
Sodalizio sentimentale e professionale che non si interruppe nemmeno dopo l’8 settembre del 1943, quando Osvaldo Valenti, trascurando Roma, preferì non solo trasferirsi al Nord ma indossò anche la divisa di ufficiale della X Mas di Junio Valerio Borghese. E Luisa Ferida lo seguì. Valenti non aveva buone frequentazioni, tra l’altro conosceva Pietro Koch, già resosi protagonista a Roma durante l’occupazione tedesca di nefandezze varie, nefandezze che per un certo periodo ripeté con la sua banda, una sorta di polizia sganciata da tutti, tranne che dal comando tedesco, a Milano. Fino a che lo stesso Mussolini ordinò lo scioglimento della banda e l’arresto di alcuni suoi membri.
Ebbene nasce allora la storia che alle torture che la banda Koch infliggeva ai prigionieri nella sua sede di Villa Triste, partecipasse anche Valenti e che nemmeno la Ferida si astenesse dal presenziare. Cosa che pare assolutamente non vera e che un libro di Odoardo Reggiani: Luisa Ferida, Osvaldo Valenti. Ascesa e caduta di due stelle del cinema (pubblicato nel 2001) smentisce recisamente.
Fu una storia terribile quella dei due divi. Perso un figlio nel 1944, il 29 aprile del 1945 finirono in mano alla brigata partigiana Matteotti. Il cui comandante non sapeva bene che fare con i due attori: da una parte c’erano le voci, dall’altra però esisteva un preciso accordo tra X Mas e alleati che faceva considerare prigionieri di guerra gli uomini della formazione (accordo peraltro spesso disatteso) e c’erano le affermazioni di Valenti e Ferida di essere del tutto estranei a storie di torture. Sta di fatto che il comandante partigiano “Vero” Marozin chiese consiglio a Pertini che comandava allora con Valiani e Sereni il Cln (Comitato di liberazione nazionale) che si era impadronito di Milano. Stando alla ricostruzione di Reggiani fu proprio il futuro presidente della repubblica a ordinarne l’immediata fucilazione. «Ordine di Cln»: ordine di cui mai fu trovata traccia. Così nella notte del 30 aprile del 1945 Valenti, che teneva in pugno le scarpine del bimbo che gli era morto e la Ferida, incinta di quattro mesi, furono fucilati.
I loro corpi sono al cimitero di Milano, la loro fama per decenni fu quella di due sadici torturatori, di due che non sapevano scindere la recitazione dalla vita, giustamente raggiunti dalla giustizia popolare. Come altre storie di giustizia popolare pare, e da anni, che la verità sia un’altra e che soprattutto alla povera Ferida, diva di un’età ormai lontana ma non dimenticata del cinema italiano, spetti un risarcimento. Postumo ma importante.
Da Il Messaggero, 18 marzo 2004