David Duchovny è un attore statunitense, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, è nato il 7 agosto 1960 a New York City, New York (USA). David Duchovny ha oggi 64 anni ed è del segno zodiacale Leone.
Nato a Mahatthan, David è il secondo di 3 figli. È un ragazzino così tranquillo che il fratello più grande di 4 anni dice ai suoi amici che David è un "ritardato". Invece a scuola Duchovny è un secchione. Complice lo spot di una birra, abbandona la tesi di dottorato. Come molti altri aspiranti attori anche David si barcamena tra provini, teatro off-Broadway e particine. Come quella in Una donna in carriera, (1986) nel quale grida "Happy Birthday!" a Melanie Griffith durante la festa di compleanno. Appare come mamma l'ha fatto nel verboso Le prime immagini dell'anno nuovo (1988), è il seduttore telefonico di Giulia ha due amanti (1991), è un cameraman in Charlot (1992). In tivù ottiene la parte dell'agente travestito Dennis-Denise Brown nella seconda (e ultima) serie di Twin Peaks. Può essere un gioco da cinefili scovarlo in Sacrificio fatale (1991), Cattive compagnie (1992), Non dite a mamma che la babysitter è morta (1992), Beethoven (1992). Spesso si tratta di semplici comparsate, o poco più. La prima parte da protagonista arriva nel 1993 con Kalifornia dove David, nella parte di uno scrittore criminologo, si fa rubare le inquadrature da un certo Brad Pitt, serial killer psicopatico. Si stava guadagnando da vivere. Sembrava che prima o poi sarebbe arrivato il momento giusto. Così è stato. L'amico Chris Carter lo chiama al provino di una nuova serie ed ottiene la parte. Pensava di girare il telefilm-pilota... X-Files supera la settima stagione. Dodici ore al giorno, 5 giorni la settimana, 9 mesi su 12, per 7 anni. Ritmi da sdoppiamento della personalità. Da svegliarsi la mattina e da chiedersi se sei davvero Fox Mulder. O da domandarsi che fine ha fatto la tua sorellina. Eppure Duchovny lo ha fatto. Anche per soldi, s'intende. Ha interpretato X-File. Il film (1999) il super episodio celebrativo per 6 milioni di dollari. Per alimentare il sacro fuoco della recitazione Duchovny ha sempre cercato nuovi personaggi da interpretare, spesso in estate, quando X-Files va in vacanza. Non ha funzionato con il chirurgo tossico che lavora per la mafia in Playing God; e neppure con Ogni maledetta domenica (2000): avrebbe voluto interpretare il quarterback sul viale del tramonto, ma Oliver Stone ha detto no, non ha il fisico da giocatore di football (e ha scelto Dennis Quaid). Gli ha offerto la parte dell'assistente medico (andata poi a Matthew Modine), ma non se n'è fatto nulla. Recentemente Duchovny ha giocato tutto il suo talento nella commedia romantica Return to me (2001), dove dà via libera alle emozioni come non era mai accaduto all'impassibile "sfinge" Fox Mulder. Piange calde lacrime per la morte della moglie, che dona il cuore alla cameriera Minnie Driver, di cui poi si innamorerà. Peccato che il film non abbia suscitato entusiasmi né nella critica né nel pubblico. E X-Files è finito...
Sesso. E Alieni. Le due parole magiche, nella carriera di David Duchovny. In primo luogo, l'erotismo: dall'antica esperienza nel porno soft, con la serie tv Usa Red Shoe Diaries, alle attuali avventure amorose sopra le righe di Californication (dall'8 settembre su Italia 1, dopo il passaggio su Canal Jimmy di Sky). E poi, naturalmente, gli extraterrestri: i perfidi, potenziali invasori della Terra da cui l'attore, nei panni dell'agente Fox Mulder di X-Files, è stato ossessionato per ben nove anni. Dal 1993 al 2002, periodo in cui i telefilm sono stati girati e visti in mezzo mondo. «Il mio ruolo preferito» ammette, un po' a malincuore. «Una vera e propria icona, amata da milioni di fan». Ma sembra quasi dirlo per dovere, rii spetto al piacere delle sue interpretazioni più trasgressive.
Quarantotto anni appena compiuti, pronto a scherzare sui suoi trascorsi vietati ai minori («nei Diaries ero solo il narratore mentre intorno a me succedeva di tutto»), look informale anche nei lussuosi spazi del londinese hotel Dorchester, Duchovny comincia raccontando la sua ultima fatica sul grande schermo: X-Files - Voglio crederci, dal 5 settembre in Italia. Diretto da Chris Carter (il creatore della serie), e co-interpretato dalla sua partner di sempre, Gillian Anderson, nel ruolo di Scully. Al centro della vicenda, il rapporto d'amore che lega (finalmente!) la I coppia di protagonisti.
E a differenza dell'unico precedente cinematografico (X-Files Il film,1998), i due stavolta non indagano su complotti galattici o governativi, ma sulla scomparsa di una donna dell'Fbi, con implicazioni paranormali. «Molto meglio così» sorride lui «altrimenti, sarebbe stata solo una ripetizione del già visto...».
Era rischioso per lei riprendere il personaggio che l'ha resa una star?
«Un po'sì. Sono trascorsi % quindici anni dall'inizio della serie, e non volevo ridurmi a fare un'imitazione del me stesso di allora. In tre lustri, ovviamente, il personaggio deve aver subito una profonda evoluzione. Anche se, essendo molto noto agli spettatori, doveva mantenere le sue caratteristiche essenziali. E allora ho cercato di bilanciare le due cose, in maniera molto delicata».
E i tanti fan duri e puri della serie, resteranno soddisfatti?
«Soddisfare è una parola grossa. Io posso cercare di soddisfare la mia
famiglia, mia moglie Tea Leoni, i nostri due figli, non centinaia di migliaia di persone che non conosco; ma posso garantire agli appassionati che questo film ha quelle qualità essenzialmente X-Files che loro amano».
Pregi e difetti del Mulder 2008?
«Resta sempre un vero orso, e adesso è anche più vecchio. Ma, per la prima volta, è un uomo che ha scelto di avere una relazione amorosa. II film ha una storia complessa, scava nel rapporto complicato che lega quest'uomo e questa donna. E poi c'è il lato thriller, misterioso, inquietante. Quel divertimento che la paura provoca al cinema, Magari il mondo non aveva bisogno di un nuovo prodotto a marchic X-Files, ma spero che comunque sarà apprezzato il risultato che abbia
mo ottenuto sul grande schermo».
Quando girava la serie tv, riusciva a spogliarsi del personaggio dopo le riprese?
«Sii, ho sempre avuto la capacità di abbandonare un ruolo, appena uscito dal set. Nel privato mi piace scrivere, rilassarmi, stare con la famiglia: cose semplici. Forse è una delusione, la gente ama di più i divi che fanno cose folli ... io al massimo vado in moto».
Lei ha anche diretto alcuni episodi delle serie in cui ha lavorato, nonché il film House of D. Altri progetti dietro la macchina da presa?<br>
«Ho tutta l'intenzione di tornarci, dietro la macchina, anche se al momento non sto lavorando a qualcosa di specifico. Quello che mi piace della regia è l'immenso grado di coinvolgimento che comparta. E poi è un lavoro che esalta il senso pratico, il che per me è importante. Mi piace anche la sceneggiatura, in passato ho scritto alcuni episodi di X-Files».
Vede che lei finisce per parlare sempre di quella esperienza?
«Beh, credo che questo sia inevitabile. Succede alla maggior parte degli attori: quando hanno un ruolo di successo, resta sempre un po' appiccicato addosso. Anche un grandissimo come Robert De Niro viene ancora associato al suo personaggio in Taxi Driver...».
Mulder a parte, quale partecipazione a un film l'ha appagata di più?
«Come attore, ho amato molto Trust a man (un film del 2005 con Julianne Moore co protagonista, ndr). Ma in ogni cosa che ho fatto, fin dagli esordi, ho trovato qualcosa di buono».
E cosa dice di Californication, serie tv centrata sulle ossessioni di uno scrittore che le ha fatto vincere un Golden Globe?
«Adoro il suo humor nero. E poi, per me, Califomication rappresenta la libertà Non solo perché essendo girata per una tv via cavo, non rischia la censura, e non ha, a differenza di X-Files, ritmi di lavorazione faticosissimi. Ma soprattutto perché racconta la storia di un uomo che non ha nulla da perdere. È catartico, come attore trovo fantastico interpretarlo, anche se essere come lui nella realtà non sarebbe affatto divertente. Ora giriamo la seconda stagione, ancora più forte: ci sono personaggi talmente fuori di testa che il mio sembrerà quasi la voce della saggezza».
Lei ha incarnato il detective travestito di Twin Peaks, ha girato i Red Shoe Diarie,, si è mostrato in nudo integrale in Full Frontal di Steven Soderbergh: il sesso al cinema la diverte particolarmente?
«Girare le sequenze di sesso, come quelle d'azione, è noioso, perché si finge tutto il tempo. Trovo, ad esempio, interessante Californication più per il dialogo, anche nella sua crudezza: diciamo che utilizziamo tutte le opportunità che la lingua inglese offre».
Altri impegni?
«Spero di riuscire a realizzare il progetto televisivo cui mi sto attualmente dedicando, una satira sociale. Per il cinema dovrei girare un film per ragazzi. Vedremo».
E il povero Mulder? Che ne sarà di lui?
«Ancora non lo so. Di certo non interpreterò mai più un personaggio ogni giorno, e per tanto tempo, come ho fatto con lui».
Da Il Venerdì di Repubblica, 29 agosto 2008
Nato e cresciuto a New York, ha frequentato l’Università di Princeton, successivamente ha conseguito il Master Degree in Letteratura inglese a Yale. Tra le sue più famose interpretazioni rimane quella nella sere tv X Files, per la quale è stato nominato con alcuni premi. Assieme a Brad Pitt e Juliette Lewis ha interpretato Kalifornia; tra gli altri suoi film ricordiamoSacrificio fatale, assieme a Mimi Rogers, Giulia ha due amanti, Chaplin, assieme a Robert Downey Jr, la commedia di grande successo Beethoven, il detective nella serie televisiva Twin Peaks, Full Frontal assieme a Julia Roberts, George Clooney e David Hyde Pierce . Ultimamente ha girato con Julienne Moore Evolution, per la regia di Ivan Reitman. A breve lo vedremo in The Secret, diretto da Vincent Perez, prodotto da Luc Besson. Attualmente è il protagonista della serie Californication, nella quale è anche uno dei produttori esecutivi. Questo autunno comincerà a girare il seguito di X-Files. Duchovny è sposato con l’attrice Téa Leoni.