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Alessandro Haber: voleva essere Marlon Brando, un sogno quasi realizzato

Il libro di Alessandro Haber "Volevo essere Marlon Brando" è distribuito da Baldini+Castoldi.
di Pino Farinotti

lunedì 31 gennaio 2022 - Focus

La Baldini+Castoldi ha distribuito Volevo essere Marlon Brando (430 pag. 19 €) firmato da Alessandro Haber, con Mirko Capozzoli (ma soprattutto Gigi Biaggini). Conosco Haber. È stato co-protagonista del film diretto da Claudio Malaponti, tratto dal mio bestseller 7 km da Gerusalemme. Per gli esterni eravamo in Siria, proprio in Palmyra, che allora non era ancora stata devastata. Faceva la parte di Angelo Profeti, che arrivato in Terra santa in viaggio organizzato, decideva di non muoversi più, di vivere come un eremita nei luoghi di Gesù. Una pietra preziosa nel contesto. Che Haber sia un grande attore, non occorreva un libro a confermarlo. Ad avallare c’è la sua azione, infinita, di attore di cinema di teatro. E altro.  

Un libro di oltre quattrocento pagine offre lo spazio per raccontare tutto. E Haber racconta. Nasce a Bologna, nel 1947 ma la famiglia si trasferisce in Israele. Avere un padre ebreo e una madre cattolica è già una buona base di partenza per la cultura e per la vita. Uno strabismo che poi devi risolvere. E Alessandro lo risolve ella sua maniera, affrontando il nodo e ridendoci sopra. A nove anni, con la famiglia torna in Italia. Si sente subito attore. La prima occasione gliela offre, quando ha vent’anni, Marco Bellocchio. Il ruolo è importante: quello del Rospo in La Cina è vicina. Da quel momento il nome di Haber è nell’agenda dei maggiori registi italiani. Sono costretto, per via dei numeri, a una selezione parziale: Bernardo Bertolucci (Il conformista); Monicelli (Amici miei – Atto II); Pupi Avati (Regalo di natale e successivo “Rivincita”); Pieraccioni (I laureati, Il ciclone); Tornatore (La sconosciuta); Olmi (Il villaggio di cartone); Salvatores (Sogno di una notte d’estate). Punta dell’iceberg, come si dice.

In teatro Haber affronta … il mondo. Quasi tutti i giganti. Alcuni: Shakespeare (La tempesta); Sem Benelli (La cena delle beffe per la regia di Carmelo bene); Molière (L’Avaro); Cechov (Zio Vania): Miller (Morte di un commesso viaggiatore). Vale il concetto della parzialità espresso sopra. Memorie da antologia. Il vedovo Paolo vittima di uno scherzo crudele in Amici miei – Atto II, affranto davanti alla tomba della moglie, dove sopraggiungono, uno alla volta altri affranti, presumibilmente tutti amanti della defunta. Furibondo e disperato “Haber” si allontana consapevole che sua moglie non era la donna che credeva. Performance da Oscar. Nanni Moretti e Haber sono molto amici.

Alcune pagine sono dedicate al rapporto. Una volta i due andarono a vedere il film La cicala, di Lattuada, con una Clio Goldsmith generosa nel mostrarsi. Racconta Haber: “Nanni voleva scoprire perché un film come quello incassasse così tanto: pure quel pomeriggio la sala era piena (sorride). Nonostante la censura il film mostrava in diverse scene culo e tette; a metà della visione Nanni urlò: "Basta con la figa, abbiate il coraggio di mostrare anche un po' di cazzo". Piano piano la gente iniziò a ridere. Fu geniale. "Ma credo le prime righe del libro spieghino alla perfezione, lo spirito, il talento, la vita di questo grande attore che non è Brando, ma non gli è tanto lontano.

“Non sono mai stato da uno psicanalista, dicono che ne avrei bisogno, ma non me ne frega un cazzo. Un po’ mi fa paura: non vorrei scoprire cose che potrebbero disturbarmi o, peggio ancora capire che ho sbagliato tutto. Sono un attore, la mia è una malattia costruttiva, anche se poi mi piacciono i personaggi contorti e alcuni di questi sono rimasti nel mio inconscio. Non mi interessa sapere come sono come uomo perché, quando sono sul palcoscenico, sono più disponibile, dolce, generoso e questo mi basta. È sposa, amante, troia, è il mio equilibrio e la mia droga. Non c’è niente che mi faccia stare meglio. Invece, quando sono a casa, mi sento vedovo, cerco la felicità ma non la trovo. Recitare non mi piace, è un verbo che mi fa cagare, ma in Italia non si può dire altro. Invece jouer alla francese è perfetto”.


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