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Laura Luchetti racconta il grande viaggio del suo piccolo film, vincitore del Moviemov

Nella sua prima edizione online, il festival promotore del cinema italiano all’estero premia Fiore Gemello.
di Marianna Cappi

Laura Luchetti 1974, Roma (Italia). Regista del film Fiore gemello.
lunedì 27 aprile 2020 - Incontri

Nato come un piccolo film, girato in Sardegna con due giovani attori non professionisti, Fiore Gemello (guarda la video recensione) di Laura Luchetti ha avuto e continua ad avere una fortunatissima vita nei festival di tutto il mondo. Il premio più recente arriva dal pubblico del Moviemov Italian Film Festival 2020, prodotto e organizzato da Playtownromache, che anche quest'anno ha portato il cinema italiano in Asia, nelle Filippine, dal 21 al 26 aprile.

Come hai accolto la notizia di questo premio?
Solo poco tempo fa eravamo tutti pronti per andare a Manila, ma gli eventi hanno reso impossibile la nostra trasferta. Poi però il festival ha subito questa trasformazione dell’online, come sta succedendo a tantissimi festival, e il pubblico, magicamente, ha aderito con lo stesso entusiasmo. Gli spettatori hanno seguito il festival come facevano prima, hanno votato, fatto sentire le loro alte aspettative. Il fatto che abbiano trovato il tempo di partecipare, di guardare i film, di votarli, mi fa dire che questo premio per me è ancora più importante, perché ha richiesto al pubblico uno sforzo maggiore. Quando mi hanno chiamato per comunicarmelo, mi ha fatto veramente piacere, mi ha cambiato la giornata.

Si dice che l’opera seconda sia sempre la più difficile da mettere insieme. È stato così?
In realtà questa doveva essere la mia opera prima, precedente a Febbre da fieno. Un produttore molto simpatico, infatti, mi ha detto: “Questa è la tua seconda opera prima”. È un film che ho scritto tanto tempo fa, ma il tema non si poteva certo dire che fosse commerciale, dunque sì, è stato difficile, richiedeva coraggio, anche se era un film piccolo, che non aveva bisogno di un grande budget. Poi è accaduta una cosa: è stato selezionato all’atelier di Cannes, Cinéfondation, e a quel punto, grazie a loro, ha cominciato a esistere. Poi il copione è stato selezionato al Sundance Writers Lab, dove ho avuto tutor meravigliosi, come la sceneggiatrice dei film di Altman e altri, e poi sono arrivati i fondi del ministero, della grande Sardegna, una piccola partecipazione della RAI e siamo riusciti nell’impresa. Ma è stato uno sforzo collettivo: il budget era minuscolo, per cui ringrazierò per sempre la mia troupe e i miei collaboratori, perché i film i registi non li fanno da soli. E ringrazierò per sempre anche il direttore del Toronto Film Festival, che ha preso il film sotto la sua ala protettrice.

La grande Sardegna, la terza protagonista del film. Cosa sei andata a cercare là?
Un luogo dell’anima. Ho trovato delle cose così specifiche della Sardegna che miracolosamente sono risultate riconoscibili a tutti, dalla Corea alla Norvegia. Volevo costruire una “fuga claustrofobica”, mettendo questi due piccoli esseri dentro spazi infiniti, come le saline, i boschi, i prati secchi, e facendo di questa Sardegna una terra di frontiera, dove si fugge perché si è braccati, ma che è anche una madre che ti protegge. Da qui viene anche la mia ossessione per gli insetti. Passavamo le ore a cercare di catturarli con l’obiettivo, tanto che il mio operatore ad un certo punto mi ha detto: “Mica stiamo a fare il National Geographic!”; perché le libellule bisognava aspettarle per ore, non uscivano a comando ovviamente. Ma tutta quella minuscola fauna sarda era fatta di esseri piccoli, muti, invisibili, ma fondamentali per il ciclo naturale, esattamente come i miei due personaggi: piccoli, muti, invisibili, ma fondamentali per il futuro, perché loro sono il nostro sguardo verso il futuro. 

Basim e Anna: come li hai scelti? 
Per questa favola nera, come l’ha definita qualcuno, volevo partire dal reale, quindi avevo bisogno di trovare delle persone vere e a quell’età di attori professionisti in Italia non ce ne sono, e anche se ci fossero stati, io avevo l’ambizione di trovare dei ragazzi veri, pur sapendo che non sarebbe stato facile. Scrivendo questa sceneggiatura, con questa struttura, e con una base di ricerca di centinaia di profughi minorenni, sapevo perfettamente che nel momento in cui avessi trovato il ragazzo, il mio Basim, tutto si sarebbe adattato a lui di conseguenza. Io ero un sarto, che doveva cucire l’abito attorno a chi lo avrebbe indossato. E così è stato. Nel momento in cui ho trovato Kalill - che aveva 16 anni, era arrivato in Italia da tre mesi, era ancora in uno stato di semi shock, parlava pochissimo, non si poteva pronunciare davanti a lui la parola “barca”, mi faceva piangere durante le interviste (come succedeva con tutti gli altri 150 ragazzi che ho intervistato) - Basim è diventato della Costa d’Avorio, ha giocato a calcio e ha parlato come parlava Kalill: venti parole d’italiano, francese e bambara. Il difficile è stato capirsi, perché io avevo studiato il francese ma non abbastanza per girarci un film, dunque è stato un rapporto d’amore, di grande fiducia reciproca: io ho messo il film in mano a lui e ad Anastasyia e loro hanno messo le loro vite giovani nelle mie mani. 
Quando Kalill ha letto la sceneggiatura ha detto: “Questa è la mia storia, perché tu la sai, Laura?” Perché purtroppo era una storia di tanti ragazzi come lui, che arrivano e spariscono, come fantasmi, e non ne sappiamo più nulla. 

Con Anastasyia è stato lo stesso: all’inizio avevo in mente un tipo fisicamente molto diverso: rossa, altissima, efebica, non doveva nemmeno sembrare italiana, ma dopo aver visto tutte le rosse della Sardegna senza successo, con la mia casting director abbiamo cominciato a vedere anche tutte le altre ragazze. Quando è arrivata lei, aveva la stessa ferinità di Kalill, di quei ragazzi che come i gatti di strada capiscono subito di chi si possono fidare e di chi no. E scopro che anche lei è un’immigrata, arrivata a 4 anni su un camioncino dall’Ucraina. Allora ho capito che quel viaggio questi due ragazzi ce l’avevano dentro, erano speciali, e ho pensato che potessero essere quelli giusti. Spero di aver lasciato loro qualcosa, perché loro, a me, hanno lasciato veramente tanto. 


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