Mario Sesti analizza il cinema del regista fino al grado zero. Presentato a Cannes 2019.
di Marzia Gandolfi
Nell'immaginario collettivo le origini del cinema sono un treno, una stazione, i binari. Questa è la scena primaria. Grazie al treno lo sguardo della macchina da presa divenne mobile. Lanciato dallo schermo su spettatori incantati nel 1896, il treno attraversa l'intera storia del cinema e percorre trasversalmente tutti i generi cinematografici. È il luogo ideale allora per cominciare una riflessione sul cinema. Lo sa bene Mario Sesti, critico e regista che fa tesoro di un frammento per costruire un discorso amoroso (e barthesiano) sul cinema di Bernardo Bertolucci. Ma facciamo un passo indietro. Nel 2016, nel quadro della Festa del Cinema di Roma, l'autore emiliano partecipa a un incontro col pubblico e regala per l'occasione a Mario Sesti una sequenza inedita di Novecento, una locomotiva in corsa che impone il treno come protagonista assoluto della nuova mitologia comunista in marcia sulle rotaie "con muscoli d'acciaio e forza cieca di baleno".
Il Novecento è il secolo del cinema e Novecento, sinfonia pastorale e affresco epico sulla nascita del comunismo sulle rive del Po, è la stazione di partenza di un documentario che interroga Bernardo Bertolucci in capitoli indipendenti.