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Agnès Varda, una visione profonda, completa e 'femminile' del cinema

Ci lascia a 90 anni una Maestra, testimone di una stagione in cui il cinema era più bello.
di Pino Farinotti

Agnès Varda 30 maggio 1928, Bruxelles (Belgio) - 29 Marzo 2019, Parigi (Francia).
venerdì 29 marzo 2019 - Focus

Quando nel 2003, a 101 anni morì Leni Riefenstahl scrissi un editoriale nel quale citavo Agnès Varda. La mia idea era che Plutarco nella nostra epoca, nelle sue "vite parallele" avrebbe collocato le due artiste nello stesso capitolo. Ci sono certo connessioni importanti fra le due, a cominciare dalla loro prima attitudine, la fotografia, e poi la loro capacità di rappresentare alcune sintesi della cultura tedesca e di quella francese. Alla Riefenstahl apparteneva quella sicurezza intoccabile ed epica, trascinante di quella civiltà (e con lei mi fermo qui) alla Varda il contrappunto fra dramma strettamente personale e il sociale. Mantenendo sempre il dato figurativo della fotografia con un'attenzione alla letteratura, una cifra che sarebbe appartenuta alla scuola della Nouvelle vague, ma che la Varda ha saputo gestire, a mio parere, con maggiore equilibrio. Ed è questa una delle ragioni che portavano la donna di Bruxelles a prendere le distanze quando qualcuno la omologava a quella corrente.

Certo i contatti ci sono stati, nel 1954 Varda firmava un piccolo grande film, La pointe courte, con un giovane Philippe Noiret, dove Alain Resnais nientemeno, si adattò a farle il montaggio. Il film era qualcosa di sottilmente anarchico e indefinibile, fuori dagli schemi del cinema francese. Alla belga si addiceva la ricerca e l'evoluzione dei registri. Non era mai immobile nel panno caldo di un successo ottenuto. Soprattutto sapeva porsi su un piano più basso, guardando i suoi personaggi senza giudicarli, lasciando che il giudizio derivasse dalla rappresentazione suggerita, dove l'etica era, a sua volta, in un piano defilato. Succedeva nella fiction e nei documentari. Sapeva anche tener d'occhio il mercato - cosa c'è di male, diceva - come quando descriveva una Loira, a colori sgargianti, quasi turistica, senza tradire la sua vena colta e sofisticata.

Le piaceva conoscere mondi e persone diverse. Nel 1968 fu colpita dalla famosa immagine della premiazione dei 200 metri all'Olimpiade di Città del Messico, dove Tommie Smith e John Carlos, primo e secondo, sul podio alzarono il pugno col guanto nero, simbolo del black power. Fu lo spunto per il documentario Black Panthers, racconto del processo agli esponenti delle Pantere Nere. Quando nel 1971 conobbe Jim Morrison a Parigi, fu il momento di un'altra passione. Il cantante aspirava a un'evoluzione, staccarsi dai Doors e dedicarsi alla poesia e vide in Agnès una partner perfetta. I due non ebbero il tempo per collaborare, lui morì quasi subito. Nel mistero di quella morte e del funerale, la Varda c'era, quella mattina nel cimitero parigino di Père-Lachaise, la mattina del 7 luglio del 1971. Sandrine Bonnaire deve il salto di qualità alla Varda per il film Senza tetto né legge (1985) che ottenne il Leone d'oro alla Mostra di Venezia. Un sodalizio fu quello con Jane Birkin, intenso per entrambe, Agnès soccorse Jane in un momento molto difficile. I film furono due Jane B. par Agnès Varda e Kung-Fu Master.

Alla Varda i riconoscimenti, i più alti, non sono mancati, oltre al già citato Leone d'oro si registrano la Palma d'Oro onoraria del Festival di Cannes (2015), e l'Oscar alla carriera nel 2018. Una "maestra" che ci lascia, testimone di una stagione in cui il cinema era bello.


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