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Il Sacro GRA conquista la Corea

Gianfranco Rosi a Busan con il documentario vincitore del Leone d'Oro.
di Paolo Bertolin

In foto Gianfranco Rosi, regista di Sacro GRA.
Gianfranco Rosi 1964, Asmara (Eritrea). Regista del film Sacro GRA.

mercoledì 9 ottobre 2013 - Incontri

Gianfranco Rosi è uno dei più importanti registi italiani contemporanei - e da molto prima della consacrazione del Leone d'Oro per Sacro GRA. Cineasta essenziale già dal suo primo film, Boatman, realizzato in India vent'anni fa, e già premiato a Venezia nel 2008 per Below Sea Level, Rosi vanta un'impeccabile filmografia di grande cinema, che comprende pure lo sconvolgente El Sicario, Room 164. Opere sfortunatamente ignorate dalla nostra distribuzione, ma che hanno conosciuto circolazione globale nei festival e che ora, proprio mentre Sacro GRA dimostra il potenziale di botteghino del documentario creativo, saranno disponibili per gli utenti di MYmovies.it. I tre film saranno infatti in streaming on demand a 3,99 euro in esclusiva su MYMOVIESWIDE! a partire da venerdì 11 ottobre e da novembre sulla piattaforma MYMOVIESLIVE!. Arriveranno prossimamente anche in dvd accompagnati da un libro nella collana Feltrinelli Real Cinema.
Rosi in questi giorni è al BIFF, per la prima asiatica del suo film. Sulla via per Seoul, la memoria l'ha riportato al suo primo viaggio in Corea: "è buffo che mi sia venuto in mente mentre ero in viaggio. Quando sono arrivato, ho chiesto conferma in merito all'evento del ponte sventrato. Non vorrei che fosse un incubo che non ho mai vissuto".

La storia di Rosi ha infatti del surreale, quasi un film, vissuto in prima persona. "Arrivavo qui in aereo da New York per presentare Boatman al Festival del Documentario a Seoul nel 1993", inizia il suo racconto Rosi, "ho fatto scalo a Londra, e poi Londra-Seoul. All'epoca non c'erano email, solo fax, e mi era stato raccomandato di comprare il biglietto perché costava meno negli Stati Uniti - e poi sarei stato rimborsato. Sono arrivato a Seoul e non c'era nessuno all'aeroporto. Ho atteso una, due ore, poi ho preso un taxi e ho prenotato un albergo in città. Il giorno dopo, ancora sotto l'effetto del jet lag mi sono alzato alle sei, e ho poi preso un taxi alle otto per andare all'ufficio del festival. Sono arrivato presso questo edificio isolato in periferia, sono salito fino a questa sorta di loft, ho bussato alla porta, ma nessuno ha risposto. Ho quindi aperto la porta e trovato una grande stanza con una decina di cubicoli con scrivanie, tutti vuoti. Si poteva però vedere che c'era stata una presenza umana. Ad un certo punto appare un uomo, che parla solo coreano. Cerchiamo di spiegarci: io gli dico che sono il regista di Boatman, lui mi mostra degli articoli di giornale dove si vedono foto di un ponte sventrato. Mi dice di attendere e dopo un'ora arriva un signore che parla inglese e mi spiega che il Direttore e lo staff del festival sono tutti morti nel crollo del ponte e che il festival è stato cancellato. Io ero l'unico regista che non era al corrente. È stato davvero surreale".
Ovviamente, nel rivivere questo ricordo Rosi ha sentito nuovamente "l'ansia dei bambini abbandonati all'asilo". Fortunatamente, il suo pick up all'Aeroporto Gimhae lo ha portato sano e salvo al festival e nell'area di Haeundae dove il cineasta osservatore ha notato che "Busan è molto diversa da Seoul, mi sembrava d'essere in Blade Runner". Come altri stranieri in visita, ha notato la presenza di una folla molto vivace: "al rientro da una delle reception sono uscito per fare una passeggiata di un'ora e mezza, due, verso le due di notte e c'erano molti giovani, molta musica e attività, le strade erano piene". Rosi elabora metaforicamente, "qui vedi solo giovani, vedi solo futuro, ragazzi contemporanei del futuro, con nessun legame col passato".

In merito alla presentazione del suo film al festival, Rosi si compiace dell'ottima accoglienza sin qui riscontrata: "Il film è già comprato per le sale coreane, e alla conferenza stampa ho riscontrato molta adesione. Nell'intervista con la giornalista del settimanale Cine21 ho sentito che aveva colto tutti i segni del film".

Un'ammirazione e rispetto per il suo cinema documentario che Rosi trova più prossimo a quelli italiani e europei. Il suo linguaggio documentario trova invece difficoltà in Nord America: "Toronto non ha preso Sacro GRA. Ma non aveva preso né Boatman, né Below Sea Level, né Sicario. Il mio linguaggio anti-hegeliano, senza tesi, antitesi e sintesi non funziona con americani e canadesi. Sembrano avere sempre bisogno che un documentario dimostri qualcosa, che racconti una storia. Io invece trasformo questo luogo, il Grande Raccordo Anulare in un luogo ipotetico, in un pretesto narrativo". Per Rosi la grande svolta nel documentario in Nord America l'ha segnata Michael Moore: "Quando studiavo alla New York University, c'erano molti documentaristi interessati a perseguire una via linguisticamente creativa. Poi, quando Moore riuscì a firmare un contratto di vendita da un milione di dollari al Sundance, la crescita del documentario USA è stata distrutta. Sono proliferati gli imitatori, e si è imposto un modello con uno sviluppo del racconto molto preciso, in cui dev'essere presente una forte componente spettacolare, di intrattenimento".

Modi di cinema diametralmente opposti all'approccio di Rosi per il quale "lo spettatore deve vivere un'esperienza, che poi è la mia. I miei sono incontri, viaggi ipotetici, come in Boatman e Sicario, dove lo spettatore è invitato a salire su una barca o a chiudersi in una stanza con un personaggio che non conosce. Io chiedo sempre un atto di fiducia al mio pubblico".

In merito a Sacro GRA, il regista ama soprattutto parlare della "forte dimensione poetica dei personaggi" e del suo "lavoro di sottrazione, un lavoro presente anche quando ho girato e che non ho trovato al montaggio. Il montaggio ha il compito di dare una drammaturgia al film, d'identificare tra mille volti possibili quello più adatto per un film che non ha un vero arco narrativo". Rosi usa la metafora del "cubo di Rubik, dove ci sono mille combinazioni possibili, ma una solo che porta ad avere lati dello stesso colore. Poi all'interno c'è il caos, e se si sposta solo un elemento tutto crolla e si deve ricominciare da capo".

Per Rosi il film è stato un'occasione pure di scoprire Roma e d'iniziare ad amare la città: "Questo film non viene da una mia idea. Per me il GRA era una strada che percorrevo per andare da casa all'aeroporto e viceversa. Non sapevo nemmeno che fosse un cerchio, e non l'avevo mai percorso a 360°. È come una muraglia medievale, e come diceva Nicolini, le mura non funzionavano nel Medio Evo, figuriamoci oggi. Per Calvino poi, l'unico viaggio possibile è quello intorno alla città, e quale viaggio intorno ad una città è più facile di quello intorno al raccordo anulare? Tra l'altro, Nicolini raccontava di un raccordo che si può percorrere all'infinito, di persone perse, come una squadra di calcio di bambini che sta ancora cercando l'uscita dal raccordo. Se si prende l'uscita sbagliata, ci si può trovare in un altro mondo. Ho imparato ad amare Roma proprio attraverso il raccordo anulare.

Per Rosi, il film è "un organismo a sé stante, che ti parla e tu lo devi ascoltare". La metafora perfetta per il film la dà dunque proprio il personaggio del palmologo che Rosi ha seguito per due anni, "senza mai filmarlo. Non sapevo come filmarlo; è un matematico, ingegnere, alchimista, chimico, che ha creato un'oasi al margine del raccordo anulare, a Prima Porta, ma questo non lo vedi nel film, vedi lui che parla alla palma e basta. Infatti, per due anni d'incontro con lui, ci sono solo quaranta minuti di girato. E l'ho filmato solo al momento dell'invasione del punteruolo. Una sera ho messo il mio microfono nella palma, l'ho chiamato, gli ho messo le mie cuffie, e lui era sconvolto. Ho iniziato a filmare, lui mi ha guardato con odio, come se entrassi nel suo dolore, ma si è lasciato andare, e ha iniziato il dialogo con la palma. Un dialogo che nessuno sceneggiatore poteva scrivere. Due anni d'attesa; quaranta minuti di girato!"

E il valore metaforico complessivo che questo personaggio ha per il film è qualcosa che Rosi ha scoperto nel confronto col pubblico: "Io non me n'ero reso conto, ma girando le sale in Italia, c'è stato chi mi ha detto che la palma è l'Italia e i punteruoli sono i politici, che divorano il paese". Aggiunge poi, in un'osservazione che vale per tutto il suo cinema e il suo rapporto con le platee, cinematografiche e non, "capisco il mio film dalle reazioni del pubblico. Mentre lo faccio intuito e istinto sono all'opera. Poi, una volta dato il film al pubblico, sei costretto ad analizzarlo, quando ti fanno domande. Non ho mai scritto appunti o sinossi dei miei film. Mi piace che un film abbia una vita sua che subentra in seguito e mi affascina moltissimo sentire le interpretazioni altrui".

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