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Storia "poconormale" del cinema: puntata 105

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto una scena del film The Hurt Locker di Kathryn Bigelow

venerdì 25 febbraio 2011 - Focus

La Storia (S maiuscola)
Questo è un pezzo di cinema "preventivo". Film che non esistono ancora, ma verranno prodotti.
Tunisia, Egitto, Libia. Cinema. In Medio Oriente stanno accadendo fatti storici, uso anche un termine spesso abusato, ma che ci sta: epocali. Il cinema non può che essere molto attento. Da molte stagioni buona parte dei film nascono dal momento storico, dall'instant, come si dice. Per le guerre e i grandi movimenti il cinema, praticamente da quando esiste, è stato usato come rappresentazione, spettacolo, e propaganda. Basti pensare a certi film russi o americani. Rivoluzione e seconda guerra, e poi al Vietnam. E poi sono ancora "attivi" altri scenari.

Cultura
L'Iraq, l'Afghanistan continuano a coinvolgere opinione comune, politica e cultura. Con grande intensità. E coinvolgono il cinema. Per i film quelle guerre sono state un'occasione imperdibile, un'idea su cui lavorare, uno spunto per delle indicazioni, e per un contrasto. Il contrasto, è notorio, con la Presidenza Usa. Non c'è voluto il tempo di una generazione per avere una prospettiva storica per un giudizio sull'Iraq. Che fosse una guerra sbagliata lo avevano capito quasi tutti. Non lo aveva capito l'uomo che poteva...non dichiararla.
Un richiamo sui film di quelle zone ci dice che la guerra è trasversale e viva. E attuale. Basti pensare all'ultimo titolo, in ordine di tempo, The Hurt Locker, della Bigelow, premio Oscar assoluto, ed è del 2010. La vita degli artificieri americani in Iraq. Titoli che hanno un "ruolo", ce ne sono molti.
Stop-loss racconta la storia di Brandon Hughey, un sergente dell'esercito americano, inviato in Iraq, più volte richiamato, che decide di disertare. Il sergente è diventato un simbolo, un eroe di pacifismo e di resistenza. La cultura americana, che sa (sapeva) essere "patriottica", sa anche essere indipendente. Non si fa scrupoli a censurare, a stroncare e a opporsi, anche con violenza, anche con ferocia, a certe scelte della sua classe dirigente. Non ha problemi a proclamare "dirigi male". I film su quella guerra sono tutti film "contro" quella guerra. E questo è un dato interessante, è l'ultima fase dell'evoluzione del "sentimento guerra" rispetto al tempo e alla storia. I film sul Vietnam, altro conflitto controverso, forse a sua volta "superfluo", erano quasi tutti contro. Un altro titolo importante è Grace is gone, con John Cusack, per la regia di James C. Strouse. Si narra la storia di un uomo che ha visto morire sua moglie in Iraq. Ma basta citare alcuni titoli a campione per suffragare la tendenza critica-con-violenza verso quella guerra. In Jarhead i soldati americani vengono rappresentati come un'accozzaglia di psicopatici isterici. In Three Kings, i militari si rendono conto della condizione disperata in cui una guerra, a difesa degli interessi Usa, ha ridotto il popolo iracheno. In Redacted, De Palma racconta un episodio accaduto: quando un gruppo di soldati americani violentarono una ragazza irachena, la uccisero e sterminarono la sua famiglia. Il regista è inesorabile nell'analisi dei sentimenti in gioco, quelli dei militari dei media e della popolazione irachena. Feroce, spietata, autocritica Usa. Appunto.

Cinque giornate
Torniamo al nord Africa. Grande Storia. Ormai abbiamo delle date acquisite, quelle che ormai vengono chiamate le cinque giornate di Bengasi, dal 13 al 17 febbraio e che hanno dato lo spunto per la sommossa di Tripoli. Sembra chiaro che quelle date rappresenteranno un punto fermo. Difficile tornare indietro. Un altro teatro ormai storico è naturalmente piazza Tarhir al Cairo. Una delle più intense, e dolenti istantanee della Storia contemporanea è quella del ragazzo cinese che ferma il carro armato il 15 aprile del 1989 in piazza Tienanmen.
Ribadisco, magari un po' cinicamente che si trattava di una grande possibilità di cinema, che non è stata colta. Giustamente forse, perché quell'immagine vera, la più divulgata nell'era recente forse merita di rimanere "vera". Senza contaminazioni da fiction. Mi piace fare un contrappasso in questo senso: la difesa disperata da parte di Salinger, del suo "Giovane Holden", l'unico grande (anzi grandissimo) romanzo che la letteratura non ha concesso al cinema. A salvaguardia dell'identità, e della maggiore nobiltà, di quella disciplina. Sempre in chiave di fiction, posso pensare che negli uffici della major ci siano riunioni continue sull'argomento "rivoluzione mediorientale". Con sceneggiatori, registi e scrittori allertati. Lo scenario naturalmente è diverso rispetto alle "guerre americane" in Iraq e Afghanistan. L'auspicio è che guerre non ci siano, che la guerra civile rimanga un'opzione, una prova abortita. Dunque saranno film sociali, di evoluzione e cambiamento, di etnie e governi. Certo non potranno mancare intrighi sotterranei, i servizi segreti, l'economia, gli interessi delle grandi potenze. Comunque, un infinito bacino per il cinema. E che i film servano a qualcosa di buono, quando verrà il momento.

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