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Ben Hur, remake da piccolo schermo

Un confronto difficile: ma si poteva fare di meglio. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Una scena del film Ben Hur di Steve Shill

martedì 25 gennaio 2011 - Focus

Ho visto Ben Hur con curiosità. Non quello di Wyler, il solito, ma quello trasmesso da La7, di tale Steve Shill. Ero curioso come lo sono sempre quando qualcuno rifà un grande classico. Quello del remake è un argomento che mi sta a cuore, ne ho scritto spesso, cercando di non partire da un pregiudizio comunque perdonabile: un capolavoro non riuscirai mai a rifarlo, certo puoi rifare il titolo, ma il primo modello rimarrà là, intoccabile. Come quando hanno cercato di imitare la Coca Cola, o il Grana padano. Puoi soltanto andarci vicino.

Categorie
Ci sono categorie diverse di remake. Qualcuna è legittima e percorribile, come quando rifai un grande romanzo. Ma allora è il libro a comandare, così puoi rileggere, magari una volta al decennio, quei significati. Titoli come I miserabili, o I tre moschettieri, o Madame Bovary. Oppure un eroe della tradizione popolare, come Robin Hood, partito dagli anni dieci con Fairbanks e arrivato ... l'anno scorso con Crowe. Da noi può valere un Promessi sposi, film per il grande schermo del '42, di Camerini, poi fiction televisiva del '67 di Bolchi, poi di Nocita nell''89, infine della Archibugi nel 2004. E di volta in volta si evolvevano sentimenti e cultura. La Archibugi addirittura capovolge un caposaldo del romanzo: è Lucia che seduce don Rodrigo. Con tanto di rivolta da parte dei puristi manzoniani. Il remake in quella chiave ci sta. Poi ci sono i grandi classici, appunto. Pollack, Van Sant, Davis, Kapur che rifanno Sabrina, Psycho, Delitto perfetto, Le quattro piume.
Ma sono autori intelligenti, non si pongono in competizione con Wilder, Hitchcock, Korda, li affrontano da sudditi. Poi c'è la fantasy. Il remake de La guerra dei mondi, è legittimo. Il corso e ricorso ha un senso, è addirittura doveroso. Perché c'è davvero troppa differenza fra gli anni cinquanta e i duemila. Il progresso, la tecnologia, gli effetti speciali hanno un ruolo decisivo. Non sono i contenuti a rifare il film, è "quel" linguaggio.

Perfetto
Con Ben Hur l'impresa è davvero ardua. Da dove lo afferri? Il film di Wyler, del '59, è perfetto così. Costumi, musica, tecnica, spettacolo, attori. Tutto è rimasto intatto, la vedibilità è quella di allora. Senza contare gli undici Oscar (record fino al Titanic) e il mito. Ben Hur non puoi "prenderlo per le corna", non puoi metterti sul piano del budget e dalla grandeur. Qualsiasi major ne uscirebbe distrutta. E non puoi neppure "emanciparlo", i sentimenti e le vicende sono fermi, accreditati, sono quelli. Un concetto che vale anche per Via col vento. Infatti i due colossi sono stati rifatti sì, ma per lo schermo piccolo. In questi casi una possibilità, una scappatoia te la offre il libro. Il generale Lewis Wallace lo scrisse nel 1880. Era un cristiano fervente e intese il suo romanzo come un richiamo soprattutto in quel senso. Il cinema ne fece invece, nelle due edizioni –la prima "muta" di Niblo, del '25- il più grande spettacolo del mondo. Grandeur, come ho detto, che si sublima nella famosa corsa delle bighe.

Realistica
La produzione televisiva non può non percorrere parte di quella strada naturalmente, certo la grande corsa è più realistica, diciamo così, gli aurighi si cimentano su una pista verosimile, con intorno le palme, non fra gli anelli di uno stadio con 120mila posti. E siccome per compensare lo strapotere del gigante occorreva fare qualcosa, ecco che gli autori si inventano un pregresso, mostrando Ben Hur e Messala, ragazzi, che vivono nella casa dei ricchissimi Hur, in attesa che il giovane romano, rimasto orfano di madre, venga richiamato a Roma. I due ragazzi, separandosi, si giurano amicizia eterna. Un antefatto che ci può stare. Una diversità gradevole. Un confronto al quale l'edizione televisiva si sottrae è la colonna sonora. Impossibile mettersi sul piano di Miklos Rozsa, un gigante, di composizione e orchestrazione, sepolto dagli Oscar, capace di inventare le musica antica, nei temi d'amore, di guerra e di trionfo. Rob Lane, per il Ben Hur attuale, ha preferito un fraseggio etnico, semplice, a uno strumento o a una voce. Anche questo ci sta.

Mistica
La fase mistica prevale nel primo (che poi è il secondo) modello. Charlton Heston-Ben Hur incontra più volte Gesù, suo coetaneo. Il rapporto fra i due è tenuto da Baldassarre, l'ultimo dei re magi vivente. Nell'edizione attuale Baldassarre è sparito.
Anche Gesù è una comparsa, incontra due volte Ben Hur, in situazioni disperate opposte –Hur assetato in catene e Gesù flagellato con la croce in spalla- e gli dice la stessa frase "perdona loro perché non sanno quello che si fanno". Insomma, un compitino da sbrigare in fretta. Il regista Shill privilegia la dialettica politica, indugia sulla corte dell'imperatore Tiberio e sul ruolo ambiguo di Ario, il nobile che adotterà Ben Hur. È invece sostanziale il sentimento finale di Messala, devastato, morente. Nell'ultimo incontro il romano e l'ebreo ritrovano qualcosa dell'antica amicizia. Ben Hur perdona. Nel precedente non accadeva. Messala moriva da nemico. E poi i modelli. Joseph Morgan che fa Ben Hur è un biondo aitante, sempre a torso nudo. Ma certo non è Charlton Heston. Stephen Campbell Moore, che fa Messala è ambiguo e febbrile, ma lontano dall'appeal del "cattivo" Stephen Boyd.
Il finale dei film, seppure con estetiche diverse, è lo stesso. Totale happy end. Mamma e sorella guarite dalla lebbra, Ben Hur e l'amata abbracciati e felici.

Occasione
Tuttavia credo che gli autori "attuali" abbiano perso un'occasione. Il romanzo di Wallace prosegue con un'appendice importante. Ben Hur, sposata la sua Esther si converte al cristianesimo e mette il suo patrimonio al servizio della causa. Cercherà di far trionfare il verbo di quel Gesù che ha conosciuto e che è stato ucciso dalla sua gente. Una riparazione nobile, coraggiosa e dovuta. Certo occorreva una nuova ripartenza drammaturgica, molto meglio il lieto fine e l'amore trionfante di tutti. Un'idea per il prossimo Ben Hur.
Tirando le fila: tutto sommato edizione tollerabile. I puristi saranno soltanto infastiditi, non arrabbiati.

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