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Teza: Cronaca di una generazione dai ricordi perduti

Premio Speciale della Giuria a Venezia 2008, il film di Haile Gerima è il grande racconto di una "meglio gioventù" di intellettuali etiopi.
di Edoardo Becattini

Il fuoco come senso del dovere

venerdì 20 marzo 2009 - Incontri

Il fuoco come senso del dovere
In aramaico, Teza è la rugiada del primo mattino che apre ad una madeleine di ricordi e sensazioni tattili e olfattive associate all'infanzia. Ma nel film del regista etiope Haile Gerima, Teza è anche il fuoco della coscienza di tutti i giovani che possono lavorare per il futuro dell'Etiopia e che avvampa tanto nella generazione di coloro che per primi si sono formati nel Vecchio o nel Nuovo Continente, quanto nella sete di conoscenza della nuova generazione scampata alla militarizzazione forzata degli anni di regime. È il fuoco che arde anche nel regista Haile Gerima e nel suo protagonista Anberber che, come lui, ha potuto studiare nelle università europee e vive tale privilegio come un imperativo morale: il dovere di proiettare il suo sapere verso il futuro del suo paese d'origine.
Come gli studi scientifici di Anberber si riflettono nel progetto di debellare tutte le malattie che affliggono il popolo d'Etiopia, la formazione artistica di Gerima si compie in questo potentissimo affresco di grande respiro e di notevole portata estetica dedicato alla sua generazione. Un affresco che mescola continuamente spazi e tempi della vita di Anberber, dal villaggio sull'altopiano etiope agli studi giovanili ad Amburgo, dalla dittatura militare socialista vissuta ad Addis Abeba agli anni della caduta del muro a Berlino Est, all'interno di un continuo sogno implicato fra ricordi d'infanzia e shock ricorsivi, fotografato con uno splendido vecchio stile da Mario Masini, già direttore della fotografia per Carmelo Bene e i fratelli Taviani.
La genesi del film
Per me era importante raccontare la dislocazione degli intellettuali della mia generazione, la prima generazione che si è in qualche modo affrancata dal retaggio culturale e dalla struttura sociale imposta dall'imperialismo italiano, e che ha vissuto il privilegio di potersi spostare verso Europa o Stati Uniti per compiere studi e ricerche. Ma ancora più importante era rappresentare il sentimento di dissociazione di questa generazione che, pur vivendo fisicamente all'estero, con la mente restava continuamente proiettata verso il proprio paese di origine e verso il progetto di utilizzare questo sapere per contribuire al suo progresso. Un conflitto interiore che le nuove generazioni non avvertono più, per lo meno non con lo stesso senso di dovere etico che ci guidava nel nostro percorso da emigranti.
Questo assunto di partenza si è poi riversato in quella che è la mia concezione di cinema, che non è un'applicazione meccanica di uno stimolo o di un'idea, ma che io vivo con lo stesso impeto di un compositore jazz che, improvvisando su un'idea o una sensazione, si lascia guidare da un flusso di pensieri che non smette mai di fermarsi. Per questo i ricordi e la memoria sono un elemento fondamentale nel mio film. Non si è mai liberi nelle relazioni coi propri ricordi. C'è sempre qualcosa che ci dirotta al di fuori di quella che è una normale rievocazione di un evento della nostra infanzia. La musica e le tecniche proprie del cinema permettono in qualche modo di superare questa interruzione forzata e di dare una direzione precisa a quello spostamento di spazi e di tempi che si realizza attraverso il ricordo. Essere intellettuali in Africa oggi significa proprio recuperare questa scissione di spazi e tempi e farlo in maniera pacifica, comprensibile e al tempo stesso complessa quale è la realtà di oggi. La sceneggiatura di Teza è così frutto di una metamorfosi continua, che si è sviluppata a partire da una serie di ricordi implicati e continuamente dirottati.
La musica e i ricordi
La scelta musicale è stata uno dei punti di partenza, ed è costruita come fosse la riattivazione di un ricordo, che trova un'evoluzione man mano che si sviluppa il recupero della memoria di Anberber. La partitura musicale è stata concepita proprio a partire dalla lettura di alcune storie della nostra tradizione ancestrale e da ciò che esse ci suggerivano. Si tratta quindi una musica lontana da quella moderna che si può ascoltare adesso in Etiopia, che vive molto di influenze soprattutto con l'oriente ed il Giappone. Siamo partiti, ad esempio, dagli spiritual cries, una serie di canti allegorici di una popolazione di zingari etiopi. Un tipo di musica che associo immediatamente all'infanzia perché li udivo spesso al mattino quando mi svegliavo. Gli spiritual cries sono canti dai testi aggressivi ma anche fortemente metaforici in cui si condanna ogni visione materialista e si compie un elogio della vita spirituale. Questo insieme di suoni mi hanno sempre accompagnato anche quando vivevo in America ed erano per me come il motore per attivare una serie di ricordi preziosi della mia infanzia. Uno di questi ricordi si associa proprio allo stesso titolo del film, Teza, che indica la rugiada del mattino, una delle sensazioni più intense che lego alla mia infanzia, ai momenti in cui mi incamminavo verso la scuola oppure giocavo nell'erba attorno al monumento di Mussolini.
La musica mi ha aiutato proprio a rivivere e a ricostruire nel film tutto quell'insieme di sensazioni indescrivibili: volevo trasmettere l'idea che i ricordi possono salvarci e che spesso sono le nostre tradizioni musicali a stimolare tali ricordi. Nessuna forza politica ha ancora capito il potenziale di questa enorme energia della tradizione. Se gli emirati arabi hanno il petrolio, la nostra unica fonte energetica è invece il recupero della forza della nostra tradizione, l'unico elemento che può costituirci in maniera organica e salvarci da ogni cattiva mistificazione apportata dal modernismo del modello americano, che ha ucciso ogni rapporto con le nostre tradizioni. L'energia dei nostri antenati è ciò che da forza al nostro presente.
Il problema dell'Africa con le tradizioni
Per me dire Africa è già fare un'affermazione politica. L'idea di una forte divisione in Africa è stata una delle più tragiche conseguenze del colonialismo ed ha portato a tutte le guerre che ci sono state. La mia idea di Africa è più simile a quella della comunità europea. Quello che ammiro dell'Europa è che, all'interno delle sue contraddizioni, riesca a mantenere una visione unitaria, una forza comune. E la cosa più importante sarebbe riconoscere lo stesso disegno di comunità in Africa.
Nell'Africa contemporanea l'élite culturale è invece condannata dal predominio di una cultura di tipo neo-individualista, tale per cui prova vergogna per ogni tipo di tradizione e non ha neanche la libertà di scegliere, perché non sa più in cosa consista la sua tradizione. Così esiste solo un'élite senza potere e senza cultura e questa totale ignoranza o sconfessione del proprio passato impedisce di poter forgiare un futuro. Si è persa ogni tradizione promossa dal movimento panafricano e dalle parole di Kwame Nkrumah, quando invece pensare in un'ottica panafricana, dando rispetto e privilegio a ciò che proviene dai paesi più vicini, ci permetterebbe di sopravvivere economicamente, oltre che culturalmente.
Il problema dell'ottica occidentale
La visione che l'Occidente ha dell'Africa contemporanea è a senso unico. C'è una contraddizione di fondo già a partire dal modo in cui vengono forniti gli aiuti umanitari, che spesso riflettono una visione in cui la necessità di aiutare una popolazione povera e affamata passa sempre in secondo piano rispetto al più grande progetto di vedere il paese come parte di un processo industriale. I missionari venuti in Africa sono animati da una spinta umanitaria ma secondo un'ottica sempre impositiva, per cui non danno mai la possibilità di far prevalere la propria sensibilità o la personale tradizione. E questo lo si rivede anche in un tipo di campagne di prevenzione contro l'HIV basate su una diffusione endemica della paura del sesso invece che di semplice educazione sessuale.
Finanziare il cinema in Africa
In Africa i miei film non riescono ad avere quel tipo di diffusione che vorrei avere, e questo perché non possiamo contare su un apparato distributivo autonomo, che non debba dipendere dal commercio europeo. Anche dal punto di vista dei finanziamenti ci sono poi numerosi problemi: film che ottengono un sicuro contributo economico sono perlopiù film che parlano dell'HIV come malessere osservato sempre da un punto di vista esterno a quello della cultura che soffre questo dramma. Non si cerca mai di fare un tipo di film che dia una descrizione compiuta dei contesti sociali e culturali, ma si persegue sempre un disegno preconosciuto. Io, ad esempio, non ho mai trovato i finanziamenti in Italia per creare un documentario che parlasse della battaglia di Adua e delle campagne italiane in Etiopia. Non si tratta di accusare o di indagare sulle colpe di un popolo. L'idea stessa di attribuire una colpa è qualcosa che paralizza alla nascita ogni progetto artistico. È un problema di analisi storica, perché penso che l'unica terapia contro l'alienazione stia nell'indagine della propria storia, scavando all'interno delle proprie radici culturali.

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