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Quo vadis in dvd: un film che ha fatto la storia, non solo del cinema

Quo vadis fra le ultime edizioni dvd della Warner.
di Pino Farinotti

Uno dei titoli più importanti della storia del cinema
Robert Taylor (Spangler Arlington Brugh) 5 agosto 1911, Filley (Nebraska - USA) - 8 Giugno 1969, Santa Monica (California - USA). Interpreta Marco Vinciio nel film di Mervyn LeRoy Quo vadis? [2].

lunedì 29 dicembre 2008 - Focus

Uno dei titoli più importanti della storia del cinema
Fra le ultime edizioni dvd della Warner spiccano due titoli: Il cavaliere oscuro e Quo Vadis. Target, mercato, cultura, epoca: tutto lontanissimo. Ancora una volta la major ha fatto i due percorsi, il grande titolo attuale, con relativi record di vendite, e il grande classico perenne. Ho chiesto al marketing della Warner una previsione di vendita, una proporzione fra i due titoli. Mi è stato detto, a grandissime linee, 1 per Quo Vadis, 50 o 100 per "Il cavaliere". Fatte le debite considerazioni di attualità, promozione, memoria recente, impatto del titolo nelle sale, botteghino eccetera, la forbice ci starebbe. Ma io dico che è ingiusta. Perchè Quo Vadis è uno dei titoli più importanti nella storia del cinema. Le ragioni sono molte, riferite a una somma di valori vastissima, direi completa, che riguardano letteratura, storia con la S maiuscola, vicenda, fede, mercato, location, governi. Inoltre ideologia e politica. E poi il cinema nel suo specifico, rappresentato dalla major prevalente di allora, la più ricca, quella dei colossi, quella che con Quo Vadis avrebbe inventato un precedente straimitato in futuro. Quella major era la Metro-Goldwyn-Mayer.
Il film era un progetto di almeno trent'anni. C'era già stato un Quo Vadis del 1913, del nostro Enrico Guazzoni. Budget allora cospicuo, immenso teatro, centinaia di comparse. Il film aveva avuto grande successo in America e aveva sollecitato... un'emulazione. L'opera di Guazzoni aveva dato un'indicazione estetica molto importante, decisiva: aveva dimostrato che nel quadro dello schermo ci potevano stare centinaia di figure insieme a templi, statue, cavalli, bighe, tribune. Insomma lo schermo si accreditava un precedente, un privilegio, che non poteva appartenere né alla pittura, né al teatro.
La storia è nota. Nel 64 dell'era cristiana, Nerone imperatore, il console Marco Vinicio si innamora della cristiana Licia. Nerone uccide i cristiani nell'arena, incendia Roma, visitata da Pietro e Paolo. Alla fine l'imperatore pazzo viene ucciso e Vinicio, divenuto cristiano, sposa Licia. Fu il trionfo del magniloquente, la Metro profuse ogni possibile sforzo, investimento record, divi massimi. Ne uscì un film dalla ricchezza e dall'estetica strepitose. Un'«americanata» da record. Ma era solo la punta visibile dell'iceberg.

Premio Nobel
Per cominciare il testo. Era tratto da un romanzo di Henryk Sienkiewicz, polacco, che era valso al suo autore il premio Nobel nel 1905. La Metro ne aveva acquisito i diritti sin dagli anni trenta. Per il momento storico, per il budget impegnativo, con una guerra di mezzo, il progetto era sempre slittato. La Casa aspettava un'occasione favorevole per l'investimento. L'occasione la diede... Andreotti. Proprio così: se non fosse stato per lui, attivo e potente in quegli anni, non ci sarebbe stato Quo vadis. Nel 1947 il politico democristiano favorì una legge sullo spettacolo che permetteva, a chi avesse investito in Italia, di non pagare le tasse. La Metro aderì subito e il film divenne un business importante anche per il nostro paese. E tutto fu abnorme.
Trentamila comparse, per esempio, significavano trentamila costumi e altrettanti posti letto. Lavoravano tutte le sartorie di Roma, e tutti gli alberghi. Cinecittà, adibita a comando tedesco durante la guerra, poi semidistrutta, venne riorganizzata per ospitare il grande film in costume. Il set: paradossalmente Roma, bombardata in molte zone, con rovine disseminate qua e là, si avvicinava all'estetica della Roma antica. La via Appia, che ospita alcune scene di marcia delle legioni, era praticamente la stessa della Roma del primo secolo. Ma c'era di più, davvero molto di più: le indicazioni. Hollywood, e Washington, ritennero che quel film offrisse enormi possibilità di comunicazione e di propaganda, che fosse un'occasione da non perdere. L'America era uscita dalla guerra vincitrice, ma non voleva dare la sensazione della superpotenza che vuole dominare il mondo, magari con le armi: era fresca la memoria di Hiroshima e c'era la guerra in Corea. Intendeva invece porsi come garante e guida. Non come "impero" ma come repubblica. E Roma, impero e repubblica, era un riferimento perfetto, intesa soprattutto come "pax romana". Infatti una delle parole più pronunciate nella sceneggiatura di Quo Vadis è "pace". Tutore del mondo significava, in quel momento, proteggere l'occidente dal comunismo. L'America di fatto si stava impegnando, attraverso il piano Marshall, in un aiuto di portata mai vista alle nazioni che erano state in guerra, comprese quelle che l'avevano persa, come ... l'Italia. Il film era un promemoria anche di questa azione. Porsi come garante morale significava in automatico, dare anche un'indicazione religiosa. Quo vadis è un promo della fede. In questa chiave la produzione studiò e attuò una promozione capillare, persino coraggiosa.
Il regista Mervyn LeRoy ottenne un'udienza da Pio XII. Si presentò con un regalo prezioso (era la... Metro) e con il copione del film. Pacelli sapeva che Hollywood era in prevalenza giurisdizione degli ebrei. Così domandò al regista "Lei è cristiano?" "No" rispose LeRoy "Sono ebreo". "Non ha importanza" disse il papa "siamo connessi". E benedì il copione. Per dare indicazioni più mirate gli sceneggiatori ritoccarono il testo di Sienkiewicz anche nella sostanza. Verso la fine il console Marco Vinicio parla con un suo centurione che domanda "cosa ci riserverà il futuro?" Vinicio risponde "Babilonia, Egitto, Grecia, Roma, cosa segue? Un mondo più stabile spero, e una fede più stabile." Il romano-americano alludeva a una stabilità politica ed economica, che unisse l'Europa e l'America, contro fascismo e comunismo. L'intervento in chiave politica sul testo originale è ben poca cosa rispetto all'aggiustamento di alcune battute delle sacre scritture. L'apostolo Pietro, nelle vesti di Finlay Currie veterano della Metro doppiato dalla voce "biblica" di Aldo Silvani, in una catacomba ripropone il discorso della montagna di Gesù. Gli autori dispensarono qua e là la parola pace, come connessione, comune denominatore. Era ancora un richiamo alla pax americana.
Fede, morale, pace, stabilità: indicazioni spirituali che non di addicevano a un vettore come un film colossale, così concreto e ipertrofico, anche per decibel di strumentazione e colori. L'atmosfera silenziosa e rarefatta di bianchi e di neri di Il posto delle fragole era perfetta per la spiritualità. Eppure Quo vadis, riuscì "contro natura" a portare quelle indicazioni.

Primo motore
Quo vadis fu la prima grande produzione hollywoodiana sull'antica Roma, un primo motore che diede vita a figli degni, come La tunica, I Gladiatori, Ben Hur, Spartacus e Cleopatra, e a una schiera degenere di B movies, di produzione soprattutto italiana. L'ultimo discendente di Quo vadis è Il gladiatore, di Ridley Scott. I due film hanno punti in comune, ma pochi. La ricchezza del Gladiatore deriva dal computer, capace di moltiplicare cento comparse per trenta con un trucco elettronico. Ma a Roma, nel '51, le comparse, come detto, erano davvero trentamila. Per arricchire l'architettura, per aggiungere per esempio due anelli alle tribune dell'arena, a sostituire il computer c'era allora Peter Ellenshaw, un artista che faceva coi colori e i pennelli, sul vetro, il lavoro dell'elettronica. Un precedente artistico che fa storia fu la musica. Miklos Rozsa, uno dei massimi autori di colonne sonore, era compositore, direttore e aveva una laurea in musicologia. Letteralmente inventò il sound dell'antica Roma. Non era davvero semplice, non c'erano riferimenti sonori né spartiti, ma solo qualche effige sui vasi o sui muri di suonatori di lira. Quando più tardi rifece la musica medievale (in Ivanhoe per esempio) qualche segnale era arrivato, ma Roma era troppo lontana, e muta. Dunque pura fantasia, pura invenzione da parte di Rozsa, ma il risultato crea un precedente. La musica di Roma è quella. Il protagonista è Robert Taylor, divo assoluto, così come lo era Deborah Kerr. Bellissimi, modelli irraggiungibili dal comune mortale. Taylor era "completamente americano", nella sicurezza, nella fisicità, ma anche nella capacità di capire e di far proprie idee nuove. Deborah era delicata, spirituale ma anche appassionata ed erotica, e non era semplice. Ma la figura memorabile, non di maniera, che arriva fino a noi fuori dal quadro di quel tempo, è Peter Ustinov che fa Nerone. Matto, indecifrabile, simpatico e dunque pericolosissimo. Suona la lira, canta, fa ridere tutti, e poi brucia Roma e uccide la moglie. Non sei mai al sicuro da lui. Spaventò davvero i bambini degli anni cinquanta. E, ancora, ti mette a disagio.
Quo Vadis ha un'estetica mai superata. Puoi inserire il dvd, e trasmettere il film senza audio, e ti rifai gli occhi. Può essere interessante, e curioso, rivederlo e rileggerlo, con queste informazioni, in prospettiva. A garantire – questa volta solo in chiave cinematografica - c'è la qualità generale.
Ma Quo Vadis ha raccontato e fatto la storia, per molti aspetti.

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