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Federico e Alberto: più leggenda che storia – Seconda parte

Renzo Martinelli col suo Barbarossa porterà sullo schermo la battaglia di Legnano.
di Pino Farinotti

Il quadro storico di quella vicenda non è esattamente quello raccontato nel film…
Raz Degan (56 anni) 25 agosto 1968, Sdhnahmya (Israele) - Vergine. Interpreta Alberto da Giussano nel film di Renzo Martinelli Barbarossa.

lunedì 11 agosto 2008 - Focus

Il quadro storico di quella vicenda non è esattamente quello raccontato nel film...
Boschi a nord di Milano. Un cavaliere dal costume e dal seguito decisamente importanti, è impegnato in una battuta di caccia al cinghiale. Uno splendido, e pericoloso animale maschio viene trafitto da una lancia lunga. Il cavaliere si avvicina ma il cinghiale non è morto, ha un sussulto e spaventa il cavallo che disarciona l'uomo che, a terra, quasi tramortito, sarebbe trafitto dalle zanne dell'animale ferito a morte, che però viene finito dalla freccia di una balestra. A scoccare è stato un giovane, tale Alberto nativo di Giussano. Il cavaliere, ripresosi, lo ringrazia per avergli salvato la vita, e gli regala un pugnale in una custodia. Dopo che l'uomo si è allontanato con la sua scorta, Alberto prende il pugnale e legge l'incisione: Federicus imperator. Sì, ha salvato la vita al Barbarossa. Il film racconta dunque due storie parallele. L'ambizione e l'attitudine dell'imperatore saranno al centro di parte del racconto. In questo caso Martinelli attribuisce al Barbarossa una sorta di dilemma metafisico, un confronto mistico con Dio che in realtà, secondo le fonti storiche, aveva già risolto. Come detto nella puntata precedente, l'imperatore si considerava un prescelto, era certo che il suo destino fosse determinato da Dio. E si riteneva, legittimamente, il padrone del mondo. In chiave di fiction naturalmente occorrono margini a tali sicurezze, margini nei quali si possano muovere il devoto consigliere Rainaldo di Dassel, e la veggente Ildegarda von Bingen, che predice a Federico uno sviluppo inquietante: dovrà guardarsi dall'acqua e dalla falce.

Alberto vive la sua vita semplice, naturalmente possiede qualità particolari, legge l'incontro occasionale con l'imperatore come un richiamo del destino. Si interessa delle vicende politiche, prende coscienza della condizione difficile della sua città, Milano, verso la quale il Barbarossa non nutre alcuna simpatia. Mentre Alberto si innamora di Eleonora, Federico sposa Beatrice di Borgogna che è poco più che una bambina. Dopo essersi consultato, con un esercito di veterani che hanno combattuto decine di battaglie, l'imperatore attacca Milano, che cade nel marzo del 1162.
Federico e Alberto si incrociano di nuovo. È proprio col pugnale "imperiale" che gli era stato regalato che il milanese cerca di uccidere il Barbarossa. Arrestato, Alberto viene graziato dall'imperatore, che così pareggia il conto. Da quel momento Alberto vivrà per una sola ragione, "sparigliare" il conto. Partecipa al leggendario giuramento di Pontida, dove nasce la lega lombarda. Diventa leader della Compagnia della morte che nella battaglia decisiva avrà un ruolo determinante. Ed è ancora lui, che visitando tutti i signori dei singoli comuni lombardi, con energia e con fede, li convince a unirsi contro l'imperatore.

Alla fine, quando due eserciti si fronteggiano sulla pianura di Legnano, si confronta l'eterna lotta fra il potere assoluto avallato da Dio, e l'esigenza di libertà degli oppressi, e individualmente, il gigante contro l'eroe. Federico e Alberto si pongono fisicamente in testa agli schieramenti. La possente cavalleria imperiale si muove contro uno schieramento di carri che appaiono esposti, quasi innocui, ma al momento dello scontro ecco apparire centinaia di falci, micidiali e decisive. La profezia di Ildegarda si è compiuta.
Non può che esserci curiosità, e attenzione, in attesa di questo film. Martinelli non è un regista perfetto (... ma chi lo è?) però è uno dei pochissimi italiani (o forse è l'unico) che tralascia i soliti esausti, minimi, modelli e codici che il cinema italiano ha assunto ormai da troppo tempo. Col suo Barbarossa ci propone storia, avventura, e persino un po' di epica. Una parola, quest'ultima, tanto lontana dal nostro cinema, che a fatica la riconosceremo.

Perche Barbarossa?
Renzo Martinelli: Per due motivi: il primo è che io, milanese, ho sinora prodotto e diretto film di ambientazione friulana: Porzus, Vajont, Carnera, tutti riguardano fatti accaduti in Friuli. Lo stesso September Eleven, uno dei progetti in cantiere, racconta la storia di un grande friulano: Marco da Aviano e il ruolo che questo umile sacerdote ha avuto nella battaglia di Vienna dell'11 settembre 1683.
Questa filmografia mi ha spesso attirato le critiche di concittadini milanesi: "Ma come, tu, milanese, ti occupi solo di argomenti legati al Friuli e trascuri la Lombardia, terra nella quale sei nato?"
Ora, gli episodi più adatti ad essere trasposti in un film e che vedono la mia città come protagonista sono essenzialmente due: le 5 Giornate di Milano e la Battaglia di Legnano. Tra i due, l'episodio più complesso produttivamente e più ricco di suggestioni è il secondo. In un'epoca di successioni dinastiche quale il 12° secolo, c'è in Europa una città che elegge i propri rappresentanti scegliendoli tra il popolo. E questa città è Milano.
In un'epoca in cui i comuni del nord lottano tra loro, Milano forma una lega lombarda che riesce nell'impresa impossibile di sconfiggere l'Imperatore.
Il secondo motivo è che mi piacciono le sfide. L'idea di produrre e dirigere un film da 30 milioni di dollari, con battaglie, catapulte che lanciano massi infuocati, migliaia di cavalli, la distruzione di Milano, tutto questo rappresenta una sfida produttiva e registica che è parte integrante del mio modo di fare cinema. Ecco perchè ho pensato a un film su Barbarossa e la battaglia di Legnano: per restituire ai lombardi un film che raccontasse un po' della loro storia. Un film epico, storico, un kolossal per il grande schermo.
Ho ripercorso la storia delle fatiche fatte dal popolo lombardo per ottenere la propria libertà. Perchè, come scriveva T. E. Lawrence, "La libertà non si dona. La si prende".

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