Il giovane favoloso |
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Un film di Mario Martone.
Con Elio Germano, Michele Riondino, Massimo Popolizio, Anna Mouglalis, Valerio Binasco.
continua»
Biografico,
durata 137 min.
- Italia 2014.
- 01 Distribution
uscita giovedì 16 ottobre 2014.
MYMONETRO
Il giovane favoloso
valutazione media:
3,60
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il giovane favolosodi catcarloFeedback: 13499 | altri commenti e recensioni di catcarlo |
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giovedì 23 ottobre 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Per realizzare un’idea a lungo accarezzata, Martone decide di seguire un percorso non certo semplice ed evita di blandire il pubblico con una biografia leopardiana che si accontenti di ripetere quanto del poeta è di pubblico dominio. Utilizzandone spesso le parole, il regista e la co-sceneggiatrice Ippolita di Majo restituiscono i tanti tormenti e le poche gioie dell’autore dei ‘Canti’: ne scavano a fondo l’animo, ma non si dimenticano di metterne in risalto una lucidità intellettuale che lo rendeva, per molti versi, in anticipo sui tempi grazie a una rielaborazione cinematografica concentrata sul messaggio universale anche a costo di lasciare in secondo piano, ad esempio, la passione patriottica. Sono tutti aspetti che danno la misura di un’ambizione notevole, percependo la quale lo spettatore si ritrova a guardare con maggiore indulgenza le pecche che pure ci sono, impedendo al film di raggiungere quel livello complessivo che ci si sarebbe aspettati dando un’occhiata agli ingredienti. Soprattutto nella prima parte, il coinvolgimento emotivo di chi guarda non riesce a scattare e questo malgrado la narrazione della difficile giovinezza nel ‘natio borgo selvaggio’ di Recanati ispezioni con cura la crescente fragilità del poeta nei confronti del mondo e, in special modo, dell’oppressivo padre Monaldo (Popolizio), la cui figura dimostra che a volte la cultura può inaridire l’animo. La ribellione di Giacomo vorrebbe essere urlata e invece è solo sussurrata, come nella splendida scena del faccia a faccia con il genitore e lo zio al confronto della quale altre parti finiscono per risultare assai meno incisive: al disotto delle attese la descrizione del (non-)rapporto con Teresa/Silvia (a parte il bel viso di Gloria Ghergo) e anche la messa in immagini de ‘L’infinito’ non ha la forza delle parole che accompagna. La scelta di inserire l’intero testo è comunque vincente, dimostrando che si può portare la poesia al cinema così da dimostrare quanto sia viva e attuale: non è l’unico componimento che si può udire, per intero o parzialmente, nelle due ore e un quarto abbondanti di durata, letto più che recitato dalla voce fuori campo di Germano, la cui meravigliosa prova nei panni di Leopardi è di sicuro una delle carte vincenti.dell’intero lavoro. L’attore romano, ovviamente sempre in scena, ricrea infatti una figura credibilissima e struggente in una di quelle interpretazioni che nobilitano una carriera: non sempre chi gli sta intorno appare all’altezza e forse la scelta di far parlare tutti quanti in una sorta di italiano ‘anticato’ ha contribuito a rafforzare una tale impressione. Se funzionano l’irruenza di Michele Riondino nei panni dell’amico Antonio Ranieri o la remissiva sorella Paolina di Isabella Ragonese (per non parlare della popolana di Iaia Forte) gli altri danno a volte l’impressione di recitare come un libro stampato con la conseguenza di raffreddare le emozioni: fuori fuoco appare poi Anna Mouglalis che, oltretutto, ha qualche anno di troppo per interpretare Fanny Targioni-Tozzetti, l’ispiratrice del Ciclo di Aspasia. Quando se ne innamora, Leopardi è infine riuscito a lasciare Recanati in una seconda parte di film separata dalla prima da un salto temporale di dieci anni: mentre il poeta si muove tra Firenze, Roma e Napoli, lo spessore emotivo cresce e, con esso, la qualità del racconto anche grazie ad alcuni scarti ricchi di immaginazione e fuori dai liniti del reale, come la bella resa dell’invettiva alla Natura. E’ come se, avvicinandosi alla città natale, Martone decidesse di lasciarsi andare insieme al suo personaggio che ha un’ultimo sussulto di vitalità andando all’osteria in un basso e poi azzardando la visita a un bordello in una sequenza con più di un accento felliniano. Si tratta di un rilassamento che costa forse qualche minuto di troppo, ma conduce a una chiusa molto toccante sui versi de ‘La ginestra’, valorizzati dalle immagini della fotografia, assai efficace come in tutto il film, di Renato Berta e dalla musica elettronica di Sacha Ring che, alternandosi senza forzature con Rossini, sottolinea molti fra i passaggi più significativi aggiungendovi un notevole pathos – uno per tutti: lo struggersi di Giacomo ripreso dall’alto accanto all’Arno dopo il crollo delle illusioni su Fanny.
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