Come il calcio, la cucina risveglia l'orgoglio nazionale anche nel meno campanilista che ci sia in giro. Tra Italia e Francia, poi, la partita è aperta da sempre. Sarà per le innegabili similarità che ci avvicinano ai fratelli d'Oltralpe, ma un fervore, a volte piuttosto sfrenato, accompagna qualsiasi discorso sull'argomento: gli ultrà della semplicità mediterranea si schierano contro i sofisti delle salse, i fanatici della pasta col pomodoro guardano in cagnesco le barocche pietanze dei padri della Rivoluzione.

Per capire fino in fondo di quali panni davvero vestano i francesi, su Netflix, arriva la prima stagione di Chef's Table - Francia.

Lo stesso programma che, pochi mesi fa, ci ha fatto fare il giro delle cucine di tutto il mondo portandoci dalla Modena di Massimo Bottura alla Bueons Aires di Francis Mallmann fino a Los Angeles e Melbourne, New York e Fäviken (Svezia), São Paulo (Brasile), Kobarid (Slovenia), Mexico City (Messico), Bangkok (Tailandia), San Francisco e ancora Chicago.

Sviluppato da David Gelb, che con Jiro e l'arte del sushi ha trovato una prospettiva unica di raccontare la cultura attraverso i fornelli, il format dedica la nuova serie alla Francia, andando a curiosare nelle dispense e tra le padelle di quattro campioni mondiali come Alain Passard, Adeline Grattard, Alexandre Couillon e Michel Troisgros.

Chef's Table - Francia mette in scena la cucina nazionale che per prima e più di ogni altra, potremmo dire, si lascia mangiare non solo con la bocca, ma anche con gli occhi.

Già negli anni Cinquanta, Roland Barthes, uno che di miti contemporanei ne sapeva non poco, parlava della cucina, in special modo di quella francese, come di un palcoscenico in cui si vende «il sogno stesso dell'eleganza. Di qui una cucina del rivestimento e dell'alibi, che si sforza sempre di attenuare o anche travestire la natura primaria degli alimenti, la brutalità delle carni o l'asprezza dei crostacei». Anche qui si vendono sogni, ma non solo d'eleganza, anche qui si trasformano ingredienti, ma senza inganni. Alla base dei percorsi professionali di Passard, Grattard, Couillon e Troisgros, difficile negarlo, c'è qualcosa che ha a che fare con il superamento dei limiti imposti, con l'inseguimento di un orizzonte non ancora compendiato. E il passo tra cucina e arte non è poi così lungo.

Sia detto per inciso, dai ritratti dei quattro chef francesi, così com'è stato per i 12 che li hanno preceduti nelle due stagioni di Chef's Table, non c'è proprio modo di imparare alcunché di pratico. Con un gioco di parole che lascia il tempo che trova, si potrebbe dire che i piatti messi in tavola sono assolutamente fuori portata. Nel senso che è praticamente nulla la possibilità di replicare, con un grembiulino di fortuna, ciò che passa sullo schermo del televisore: se volete sapere quanto tempo deve cuocere un boeuf bourguignon o qual è l'ingrediente che rende davvero unica una soupe gratinée à l'oignon, questo non è il programma adatto alle vostre esigenze. Perché in Chef's Table - Francia l'ossessione dell'insegnamento, l'ansia di rendere anche il più impedito dei cuochi un maestro assoluto non è neanche compendiata.

La stagione ideata da David Gelb, in sintesi, è la conferma di quanto il coraggio, alla fine, paghi e di come sia sufficiente guardare altrove per trovare qualcosa di veramente nuovo.

La forza dello show, in definitiva, sta proprio in questo, nella sfacciataggine con cui riesce a far passare una serie di ritratti di artista per un programma tv sulla cucina.