L'opera di Susanna Nicchiarelli dimostra che, magari faticosamente, si può fare un film sul rock, sull'Europa e sugli anni Ottanta anche in Italia. Al cinema.
di Roy Menarini
A torto si pensa che il genere biografico sia prevedibile e ampiamente codificato. Eppure, anche in questo periodo in cui la "storia vera" sembra aver raggiunto l'apice dell'interesse per il pubblico, le formule di riferimento sono molte e numerose. Agli abusati schemi di ascesa/caduta o ascesa/caduta/rinascita, Nico, 1988 per esempio oppone un approccio più articolato e complesso, che usa la tournée come detonatore per un road movie, e proprio su questo aspetto moltiplica i punti di osservazione e spiazza le attese dello spettatore.
In gioco, dunque, non c'è solamente il confronto con il genere di riferimento (con il sotto-filone del maledettismo rock a fare da pericoloso modello) ma anche con il cinema italiano tout court, di cui Nico, 1988 costituisce lodevole eccezione.
Ci sono alcune lezioni che altri registi potrebbero trarre dal film di Susanna Nicchiarelli. Per esempio, documentarsi attentamente sulla materia narrata: in Nico, 1988 troviamo non solo una serie di materiali di prima mano (come le opere sperimentali di Jonas Mekas dove Nico è presente da giovane, evitando imbarazzanti flashback con attrici sosia) ma anche episodi e ricostruzioni tratte da testimonianze dirette, trovando in questo modo un equilibrio palpabile tra rispetto umano dei protagonisti del tempo e autonomia di rappresentazione.
Un altro elemento di originalità invidiabile è fornito dalla valorizzazione dei set e del piccolo budget. A occhi smaliziati, infatti, appare chiaro come la regista abbia saputo ricostruire ambienti d'epoca (ormai gli anni Ottanta sono quasi un film in costume) attraverso pochi e densi tratti, elementi parziali, tocchi minimali, e - quel che più conta - una sensazione di vissuto e di autentico nei luoghi, nelle case, e nei tristissimi stage dove Nico si esibiva in quegli anni. Sì, perché se c'è qualcosa che difficilmente perdoniamo a molto cinema italiano contemporaneo è il senso di fasullo che esprimono gli spazi cinematografici, i luoghi di aggregazione, le discoteche, i ristoranti, gli ambienti domestici, e così via, che sanno sempre di catalogo più che di realtà. In Nico, 1988, complice un sorprendente controllo rappresentativo delle scenografie, degli arredamenti, degli oggetti e dei dettagli, si raggiunge una dimensione espressiva credibile e compiuta, da cinema contemporaneo europeo.
E in effetti, più che un film italiano, Nico, 1988 somiglia a un film internazionale, a cominciare dalla lingua in cui è stato interpretato e a finire (questo è un augurio) con il potenziale da esportazione di una storia itinerante, cosmopolita e ambiziosa. L'Europa negli ultimi anni prima della caduta del Muro è la seconda protagonista del film, oltre alla cantante. Proprio per questo, la cura nel ricostruire il senso di malinconia dell'est e lo scombinato vagare del furgoncino in aree periferiche e luoghi di un grigiore che penetra nelle ossa, fungono da asse portante del film.
Infine, l'ultima lezione da trarre è nella scelta e nella direzione degli attori. Si è scritto ormai più volte della bravura di Tryne Dirholm, oggettiva. Ma sarebbe bene enfatizzare la versatilità e le sfumature di John Gordon Sinclair e Karina Fernandez (formidabili), ed altri attori provenienti dal miglior cinema francese, rumeno, inglese. Saper pescare le facce più interessanti e poi dirigere un set internazionale e poliglotta ha tutta l'aria di essere impresa per pochi. Verrebbe da essere maligni e sostenere che la rinuncia a un cast italiano ha fatto fare il salto di qualità a un film del tutto improponibile se gestito con i deludenti canoni del realismo caricaturale di tanta recitazione nazionale, ma faremmo torto ai bravi Thomas Trabacchi e Fabrizio Rongione, ottimi in ruoli minori.
In ogni caso, Nico, 1988 dimostra che si può fare - magari faticosamente - un film sul rock, sull'Europa e sugli anni Ottanta anche in Italia, e gestire un progetto internazionale senza avere il peso produttivo di Garrone, Sorrentino o Tornatore. Ecco perché, indipendentemente dal gusto personale, Nico, 1988 potrebbe rappresentare una svolta culturale per il cinema italiano, anche in senso progettuale.