Un bravissimo Elio Germano dona le sue fattezze a Giacomo Leopardi nel ritorno alla regia di Martone dai tempi di 'Noi credevamo' (2010). Viene raccontata la vita del poeta dall'infanzia di Recanati alla morte napoletana, saltandone diversi passaggi ma tutto sommato restituendone i tratti salienti. Vengono presentati in particolare i rapporti con i fratelli Carlo e Paolina, il padre Monaldo, Pietro Giordani e Antonio Ranieri; e poi la malattia fisica, il senso di oppressione provato nella vita di provincia, gli amori frustrati. Emerge la storia di un giovane eccezionale come da titolo, al di là del fatto che egli risponda al nome di Giacomo Leopardi. A lungo andare emerge però anche la difficoltà di raccontare sullo schermo le ragioni per cui quel giovane, tutto sommato, risponda al nome di Giacomo Leopardi e non a quello di qualcun altro.
Di fatto un film su Leopardi presta il fianco a diversi ordini di problemi. Alcuni sono di carattere generale e riguardano il genere del biopic: concentrarsi sulla singola personalità comporta giocoforza il sacrificio del senso della complessità dato dal contesto. In questo senso il problema non si pone più di tanto perché se c’è un tratto costante nella vita del poeta, esso consiste nell’assenza di mondanità. Il Nostro non si godeva la vita, ciò è pacifico. Quattro scorci recanatesi – alcune scene sono state girate nella tenuta ancor oggi visitabile – bastano a inquadrare metà pellicola. Da qui deriva il secondo ordine di difficoltà affrontato da Martone ovvero l’esigenza di costruire comunque un film su una vita ricchissima solo interiormente. Tanto più che il regista opta per una narrazione prevalentemente realistica, con rare concessioni a istanze simboliste o a soluzioni alternative sullo stile adottato da altre pellicole per casi analoghi.
Se si adotta uno stile normale si rischia infatti di finire nella stessa trappola in cui cade Martone, perché è impossibile raccontare la vita ‘esteriore’ di Leopardi senza cadere nell’esposizione continua della disgrazia e delle sue conseguenze. Diventa pertanto impossibile sfuggire alla tentazione di raccontare la costituzione filosofica del personaggio, o anche la sua malinconia, senza ricondurla alla sfortuna personale. Cosciente di ciò, Martone prova ad affrontare questo problema già nell’economia del racconto nelle figure dei tanti detrattori del poeta, tutti rigorosamente brutti e antipatici. Ma non ci riesce, perché il suo modo di raccontare questa biografia non offre soluzioni più efficaci. Lo spettatore (spero rara avis) che vedrà ‘Il giovane favoloso’ senza sapere un’acca su Leopardi, continuerà a pensare che il pessimismo cosmico derivi al protagonista solo dalla frustrazione per non aver potuto vivere una vita decente. E quindi dovremmo chiederci se il regista napoletano abbia davvero reso un servizio al grande italiano o se non ci abbia dimostrato una volta di più che il miglior modo per conoscerlo resta lo studio del suo testamento spirituale, ovvero delle sue opere.
Pur ammettendo di essere in presenza di una pellicola meritoria sotto molti aspetti, su quello tecnico non meno che su quello culturale, non si ha pertanto la sensazione di assistere a un’opera realmente all’altezza della materia trattata.
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