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Naufragi, tigri, 3D e molte (ambivalenti) verità

Il Maestro di trasformismo Ang Lee racconta il suo Vita di Pi.
di Emanuele Sacchi

In foto Ang Lee, regista di Vita di Pi.
Ang Lee (69 anni) 23 ottobre 1954, Pingtung (Taiwan) - Scorpione. Regista del film Vita di Pi.

venerdì 30 novembre 2012 - Incontri

Quasi la negazione del concetto di Autore o la sua ricontestualizzazione alla luce dell'evoluzione che sta vivendo oggi quel che un tempo chiamavamo cinema. In sintesi Ang Lee, regista sfuggente ma sempre presente. Maestro di trasformismo, quintessenza di regista apolide ma capace come pochi altri di cogliere il punto di vista occidentale sulla narrazione e sul sentimento; infine macchina da premi instancabile, tra Oscar, Orsi e Leoni. Il neo-cinquantottenne da Pingtung è tutto questo, un curriculum spaventoso che nasconde una concezione di cinema apparentemente slegata e mercenaria, quasi spersonalizzata, e invece unita da un fil rouge tutt'altro che ovvio, quello di un punto di vista su commedia e tragedia umane distaccato e lucido ma non meno crudele. Il regista che si è cimentato con Ragione e sentimento, Tempesta di ghiaccio e Brokeback Mountain certo non temeva il confronto con il best-seller di Yann Martel. Un'altra sfida, l'ennesima di una carriera condotta sul filo del rasoio, tra passi audaci che rischiavano di costar caro - Hulk - e film inaspettatamente epocali come il wuxia de La tigre e il dragone.
I temi che permeano Vita di Pi, ultima opera di Lee, ovvero il misticismo, l'amore per la riflessione sottopelle e lontana da ciò che si percepisce con la semplice visione, nonché un finale spiazzante e aperto a diverse interpretazioni, avrebbero fatto naturalmente pensare a M. Night Shyamalan come scelta di regia. E invece ha prevalso la duttilità del taiwanese, come spiega lui stesso nel suo lussuoso hotel parigino: "Quando ho letto il libro non riuscivo a visualizzare un film che ne fosse tratto, finché qualcuno - la Fox - mi ha chiesto di farlo. Al che è sorto il seguito, ovvero come rendere appetibile un film fatto in buona parte di acqua, un ragazzo e una tigre?".

Subentra qui la scelta di utilizzare il 3D in modo così insistito?
"In un certo senso sì - dice Ang Lee - "ma anche il 3D rappresentava una sorta di sfida nella sfida. Si tratta di una curva di apprendimento importante, perché nessuno dei registi che conoscevo era preparato al 3D. Sapevo che era molto difficile: un film essenzialmente ambientato nell'oceano, ma senza una star come Tom Hanks ad attirare l'attenzione di tutti. Penso che il 3D aiuti molto a immergersi in quello che chiamo "il mondo dell'acqua" e quindi a tollerare il fatto che si passi così tanto tempo nell'oceano senza che succeda niente di epocale per la storia. Quando guardo il girato sullo schermo piatto 2D e sono felice con le performance, spesso torno indietro per vederle in 3D e mi accorgo che devo intervenire sulla recitazione e cambiare qualcosa: in 3D tutto sembra overacting, tutto sembra troppo "caricato".

Per Ang Lee ogni nuovo film significa una sfida, una scommessa, spesso il confronto con un genere nuovo, mai affrontato prima. Vita di Pi che tipo di sfida ha rappresentato?
"Non avevo mai fatto un film basato sull'acqua e sui suoi pericoli; e c'era anche il 3D ad incrementare le difficoltà, con l'illusione del digitale. Poi la storia presenta i suoi ostacoli: non vuoi che la gente abbandoni il film o si distragga neanche un secondo, quindi come tirar fuori la seconda storia dopo aver sviscerato la prima? Come levare il tappeto sotto i piedi del pubblico? Vita di Pi è una storia che parla di emozioni quando il libro non è un libro di emozioni, bensì di pensiero, di massimi sistemi. Tre giorni prima di presentarlo al New York Film Festival non sapevo se avrebbe funzionato per un grande pubblico oppure no. Quando ti occupi di film pensi sempre al lato positivo e mai a i problemi talora insormontabili, un po' come un giocatore d'azzardo patologico".

Incredibile il lavoro fatto su Richard Parker, la tigre del Bengala realizzata in CGI. Ci sono anche scene in cui si è servito di una tigre vera?
"Sì, in molte scene, per avere una CGI credibile. Per girarle ho recuperato il miglior addestratore di tigri, un francese, e ho imparato il più possibile sulla relazione con le tigri e sulle effettive possibilità di poter sopravvivere in una situazione del genere. La vera sfida è stata lavorare con una tigre vera e far sì che "combaciasse" con quella digitale. Una tigre vera sarebbe costata di meno però (risate, nda). Naturalmente so che non avrei potuto utilizzare fino in fondo una tigre vera, anche solo perché una tigre e un ragazzo nello stesso frame non possono coesistere, per ovvie ragioni. Peraltro la tigre che abbiamo usato è molto aggressiva; due erano addomesticate ma quella che abbiamo usato di più non lavorava in cambio di cibo ma per pura aggressione. La cosa migliore che puoi ottenere con il CGI è quella di mescolare le immagini, di estendere (più che di rimpiazzare) la realtà. Non solo gli animali ma anche in set come quello dell'isola, alcuni alberi sono veri e altri sono estensioni CGI, per aumentare la sensazione di inganno per lo spettatore".

Per raccontare questa storia di mare e nel contempo quest'avventura di formazione per affrontare la vita, hai raccolto ispirazioni anche da classici sulla vita salmastra, ad esempio da Gordon Pym di Poe oppure Joseph Conrad o ancora William H. Hodgson?
"Certo, ho letto il libro di Poe proprio in quest'occasione: non potevo esimermi, avendo a che fare con Richard Parker, e poi ho scoperto diversi punti di contatto tra i due romanzi... Quando cominci un nuovo film cominci una nuova ricerca... Talvolta emerge la necessità di piegare un po' le regole per raccontare una storia, talora le migliori ricerche non bastano a fare di un film un grande film".

Suraj Sharma, il giovane interprete di Pi in età adolescenziale, è una autentica rivelazione, riesce a muoversi tra sensazioni e sequenze contrastanti come un attore ben più navigato...
"Il ragazzo ha molto talento" - conferma Ang Lee - "e penso che per una persona di talento non sia difficile lavorare con l'immaginazione. Ho notato subito il potenziale nel ragazzo per gestire una situazione del genere; un ragazzo non ha ancora recitato nulla e quindi può vivere in maniera più naturale quel che avviene. Lui è Pi, recita come realmente è... In certi trucchi del mondo della recitazione puoi insegnargli qualcosa, ad esempio come respirare, ma il resto è tutto suo, non abbiamo usato stunt neanche in scene difficili, è tutto accaduto abbastanza naturalmente. Quando Pi racconta la seconda storia è stato difficile, ma penso se la sia cavata alla grande".

Non potendo né volendo anticipare nulla sulla trama del film, cosa ci può dire sul lato "rashomoniano" della storia, ossia sulla messa in discussione della verità o di una possibile verità?
"Molta gente si sofferma sul dubbio che la storia raccontata da Pi sia vera oppure no. Ci sono due possibilità: quella della disillusione, che porta a razionalizzare e ad analizzare un fenomeno che non è possibile spiegare, o accettarlo, conducendo alla depressione, e quella dell'illusione, che permette di elaborare attraverso fede e speranza quel che avviene. Sta al pubblico decidere cosa accettare; amando il cinema ho fiducia nell'illusione".

Dal suo punto di vista privilegiato di regista hollywoodiano, che ha avuto così tanti riconoscimenti, come osserva gli sviluppi del cinema taiwanese e la sua impennata di orgoglio, che ha portato a un'operazione come quella di Ten, presentato a Berlino?
"Dovevo essere uno dei Ten, ma non ho potuto, negli ultimi due anni mi sono dedicato completamente a Pi. Mi sento parte di loro, semplicemente perché anche se l'industria in cui lavoro è differente, condividiamo le stese complessità. Ma in genere vado sempre ai Golden Horse Awards, per cercare di rimanere sintonizzato su quanto stia avvenendo a Taiwan".

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