Quattro grandi attori in un dramma claustrofobico tutto borghese, ironico e a tratti irresistibilmente esilarante, come un’altra piece teatrale francese, trasposta in un film di successo, La cena dei cretini di Veber e tragico nelle conclusioni come La venere in pelliccia dello stesso Polanski.
Una doppia coppia speculare a confronto, un doppio duello all’ultimo sangue, un western da salotto dove al posto delle pallottole volano parole, con dinamiche interne, menage basati su equilibri instabili e conflitti repressi, pronti ad esplodere alla prima occasione, ed alleanze trasversali tra mariti e tra mogli che durano lo spazio di una battuta, per scomporsi nuovamente in un gioco al massacro di tutti contro tutti.
Quattro differenti caratteri del ceto medio incarnati da quattro tipi di persona comune, il Cinico, l’Intellettuale umanista, il Qualunquista, la Benpensante, ovvero aspetti diversi di un medesimo profilo psicologico, il raziocinio calcolante, l’idealismo, l’emotività, l’ipocrisia, elementi che si trovano generalmente mescolati in dosi diverse in ogni piccolo borghese, che può reagire, a seconda dell’umore del momento o dell’indole o del grado di acculturamento, sia di fronte alle quotidiane difficoltà della vita, sia su temi universali, come la pace nel mondo o il genocidio nel Darfur, in modo diverso, ma in ogni caso con esito egualmente ininfluente e sterile.
E’ chiaro che, per quanto possano agitarsi o assumere posizione, sia come genitori che come cittadini del mondo globalizzato, non hanno alcuna possibilità di incidere sulla realtà familiare o sulla Storia modificandone il corso degli eventi. L’indifferenza del cinico sembra essere l’atteggiamento più proficuo, ma è soltanto una difesa, una capitolazione preventiva per non soffrire combattendo una battaglia che si reputa già persa in partenza.
Ma la vita è altrove, sembra dirci Polanski con l’ultima scena girata al parco. Finalmente un po’ d’aria fresca e pulita irrompe squarciando le quattro mura del piccolo opprimente salottino buono, coi libri d’arte in bella mostra e l’immancabile scotch d’annata da offrire all’ospite di riguardo. Lo spettatore viene sollevato da terra e trasportato via aerea. Mediante l’inquadratura finale dall’alto si ha la sensazione di essere finalmente liberi dall’atmosfera asfittica e nauseabonda, a causa del profumo spruzzato per coprire il puzzo del vomito, metafora della patina superficiale di civiltà che a mala pena ricopre la bestia che è in ognuno di noi e che è pronta a saltar fuori, dopo mezzo bicchiere di whisky, per azzannare alla gola il prossimo. Dentro le mura, tumulati, restano esausti e svuotati i quattro personaggi, come marionette disarticolate, moribondi in attesa della fine.
Il criceto in primo piano e sullo sfondo i due ragazzi ignari che parlottano tra di loro, a rappresentare rispettivamente la natura, che fortunatamente sopravvive nonostante l’uomo, e la vitalità ancora incorrotta delle nuove generazioni, offrono una speranza di possibile futuro riscatto.
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