Jim Mickle fa sul serio senza rischiare di sfociare nel ridicolo.
di Rudy Salvagnini
Il cinema ha spesso dipinto scenari apocalittici o post-apocalittici. C’è un intero sottogenere che può essere sbrigativamente definito come i film del dopo-bomba, dove si descrivono le conseguenze della distruzione della civiltà come la conosciamo a seguito di una guerra atomica, oppure più genericamente di qualche evento disastroso comunque collegato all’opera dell’uomo. Si va dai post-atomici all’italiana costruiti con pochi soldi dove le periferie degradate, i capannoni abbandonati e le discariche svolgono il compito di rappresentare le conseguenze dell’apocalisse - esempi presi a caso possono essere 1990 - I guerrieri del Bronx di Enzo G. Castellari e 2019 - Dopo la caduta di New York di Sergio Martino o quel più recente e curioso (ma fallimentare) connubio tra post-atomico, avventura e horror che è La regina degli uomini pesce ancora di Martino - sino ai kolossal come Waterworld di Kevin Reynolds con cui Kevin Costner si giocò buona parte del suo appeal di star e ai film pensoso-ammonitori come The Day After di Nicholas Meyer. Ci sono poi le conseguenze disastrose generate da virus - ne abbiamo un esempio anche recentemente con Contagion, ma è solo l’ultimo di una moltitudine - e quelle derivanti da innumerevoli altre cause (The Road è un caso recente).
Il cinema catastrofico fa storia a sé e riguarda solo perifericamente questo contesto: nel cinema catastrofico, la catastrofe è l’oggetto dell’attesa, mentre in quello post-apocalittico è la premessa dell’azione. Il cinema horror ha spesso utilizzato scenari apocalittici accoppiandoli con cause interamente appartenenti al genere. Gli stessi zombie di Romero sono in fondo gli agenti dell’apocalisse. Ma anche i vampiri - anche se magari tipi particolari di vampiri - sono stati utilizzati quali cause o effetto di catastrofi planetarie. Il romanzo Io sono leggenda di Richard Matheson, nelle sue varie incarnazioni cinematografiche, è l’esempio più noto.
Recentemente, i vampiri sono tornati a essere protagonisti di uno scenario post-catastrofico con Stake Land di Jim Mickle, forse sulla scia della fortunata ultima versione filmica del romanzo di Matheson, interpretata da Will Smith e premiata al botteghino. In Stake Land la catastrofe è già avvenuta prima dell’inizio e il film parte con la descrizione di un mondo devastato dall’invasione dei vampiri, con pochi esseri umani “normali” a fronteggiare un avvenire incerto e pericoloso. Le istituzioni sono collassate, i membri del governo fuggiti: il Paese non esiste più. Piccole, fragili oasi resistono, sorrette da comunità disilluse e stanche, unite solo dalla invincibile voglia di sopravvivere. Il rude ed efficientissimo Mister, laconico e carismatico cacciatore di succhiasangue, sa molte cose della lotta conto i vampiri e le insegna un po’ alla volta al giovane Martin, un giovane che ha visto frantumarsi tutte le sue certezze quando la sua famiglia è stata sterminata e lui si è salvato casualmente proprio grazie all’intervento di Mister. I due viaggiano insieme su una vecchia auto. La loro meta è New Eden, a nord, dove sperano di trovare una risposta a tutta la disperazione che vedono attorno a loro.
Scene di desolazione si accompagnano a improvvisi scoppi di violenza, assai efficaci e dirompenti. Come i film di Romero insegnano, la catastrofe causa anche il crollo dei valori e l’erompere dell’odio e del furore che il sottile diaframma della civiltà tiene a stento sotto controllo. Così non sono solo i vampiri la minaccia, ma anche la furia dei sopravvissuti che si rivolge contro i più deboli. L’episodio nel quale i due protagonisti incontrano quella che per qualche tempo diventa parte riluttante di un terzetto - una suora - è significativo a questo proposito. Jim Mickle - autore del per molti versi analogo Mulberry Street - dipinge un quadro sulfureo e desolante, ricco del pessimismo sulla natura umana che spesso alberga in questo genere di film. Nel farlo, non riesce a evitare qualche luogo comune, come nel tratteggio della comunità spietata che unisce nazismo, pseudoreligione e malvagità per sfruttare la catastrofe ai propri fini. Ma per lo più riesce a tenere insieme il racconto in modo funzionale e spesso mirabile, generando un’accettabile tensione senza perdere in credibilità. Nella gestione dei personaggi, Mickle si basa molto sugli stereotipi, ma li usa con saggezza: la coppia del pivello e dello scafato è più che sperimentata, ma funziona quasi sempre. La ricerca di un’impossibile normalità è il filo che unisce i vari personaggi e che, in tempi di crescente crisi economica, funge da stringente metafora per descrivere lo sconcerto e il desiderio di un ritorno agli antichi fasti che caratterizza il mondo occidentale.
Alcune immagini curiose sono disseminate per il film, come il Babbo Natale vampirizzato e notizie bizzarre sono affidate ai dialoghi: il Medio Oriente non c’è più, è diventato terra di vampiri e conseguentemente è finita anche la guerra per i marines che vi si trovavano.
I vampiri sono del tipo mostruoso, non hanno nulla dell’alone romantico di Dracula o di quello molle e languido della saga di Twilight: sono difficili da uccidere, agili e selvaggi, crudeli e animaleschi, ricordano un po’ - graficamente e nel comportamento - quelli orientali della fantasmagorica serie di Mr. Vampire di Ricky Lau. In questo, sono un incrocio tra i vampiri e gli zombie veloci dell’ultima generazione.
Il cast è ben immedesimato nei ruoli. Nick Damici - anche sceneggiatore del film, assieme a Mickle - è duro e ieratico al punto giusto nel ruolo di Mister, una sorta di Charles Bronson per i tempi dell’apocalisse: la sua è l’interpretazione che sorregge il film. Paolo Connor sostiene con affidabilità la parte del ragazzo, mentre Danielle Harris - una presenza costante nel genere horror (con ben quattro Halloween al suo attivo) - dipinge con vivacità la sua parte. Si rivede anche la veterana Kelly McGillis, un tempo giovane attrice protagonista di successo (Witness - Il testimone) e ora valida caratterista, capace di dare spessore al ruolo della suora alle prese con l’Apocalisse sulla Terra.
Stake Land è un horror che si prende sul serio e non diventa ridicolo per questo. Con le sue pecche e le sue scorciatoie drammatiche, è comunque una pellicola che si lascia vedere con interesse e non perde coerenza con il trascorrere dei minuti, concludendosi in modo adeguato, anche se in qualche modo tipico.