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Happy Family: dal teatro al cinema con un po' di sperimentazione

Salvatores dirige la commedia firmata da Alessandro Genovesi.
di Marianna Cappi

Immagini che rimandano alla memoria
Fabio De Luigi (56 anni) 11 ottobre 1967, Sant'Arcangelo di Romagna (Italia) - Bilancia. Interpreta Ezio nel film di Gabriele Salvatores Happy Family.

mercoledì 17 marzo 2010 - News

Immagini che rimandano alla memoria
Otto personaggi in cerca d’autore e un autore in cerca di una storia. Nel film di Gabriele Salvatores Happy Family i personaggi fanno il film, esattamente come, fuor di finzione, gli attori fanno il (suo) cinema. È una commedia alla Woody Allen, ambientata interamente a Milano, uscita dalla penna di Alessandro Genovesi, finalista al premio Solinas 2008 per sceneggiature, inscenata con successo al Teatro dell’Elfo e rivisitata in chiave cinefila e visivamente appassionante dal più eclettico dei nostri registi, uno che non ha mai avuto paura di sperimentare.

Il film è visivamente molto curato, gioca con i colori, con il bianco e nero e con le citazioni iconografiche, come l’inquadratura che cita la copertina di Abbey Road. Come motiva questa scelta?
Salvatores: La citazione di Abbey Road è casuale ma di certo è così, ci sono immagini che rimangono nella nostra memoria, nella memoria della nostra generazione. Il film è fatto tutto in questo modo, con alcune scene che contengono dominanti di uno stesso colore, perché volevo che niente fosse realistico e che le immagini fossero molto ricercate. C’è stato un lavoro grande e importante da parte della scenografia e dei costumi. Per la sequenza in bianco e nero, mentre Caterina (Bilello) suona un "Notturno" di Chopin, mi sono lasciato ispirare dai tasti bianchi e neri del pianoforte e mi è venuto in mento che potevo riprendere i notturni di Milano: sono luoghi e volti veri della Milano di notte. In tutto il resto del film, la città è sempre inquadrata un po’ dal basso, a tagliare fuori la strada, che non è controllabile.

Petriccione (DoP): In questo film ci ha mosso una volontà di invenzione e ricerca che dovrebbe essere perseguita più spesso, perché troppe volte il cinema italiano insegue invece la televisione e si perde, finisce per assomigliarle.

De Luigi, Ezio nel film, può considerarsi l’alter ego di Salvatores?
Salvatores: Sì
De Luigi: Essendo l’alter ego non posso che essere d’accordo.
Salvatores: Milano è sempre inquadrata un po’ dal basso, a tagliare fuori la strada, che non è controllabile; mentre per tutto il resto abbiamo voluto giocare con il colore.
Petriccione: C’è una volontà che dovrebbe essere perseguita più spesso, perché troppe volte il cinema italiano insegue invece la televisione e si perde.

Un happy end per una “happy family”: una vera novità.
Salvatores: Viviamo momenti in cui l’happy end pare non arrivare mai, ma siccome il cinema a mio avviso deve suscitare desideri e rievocare fantasmi ho voluto rievocare il fantasma del lieto fine. Abbiamo il diritto alla felicità, gli americani l’hanno messo nella costituzione, noi troppo spesso ce la neghiamo e ce la negano paradossalmente le persone che ci stanno vicino. Confondere cinema e realtà è pericoloso, Besson mi ha confessato di aver smesso di far cinema per questo motivo. Scindere le due cose è difficile, specie se, come me, sei più bravo a sperimentare sul set che nella vita, ma sto imparando a farlo anche nella vita.

Pirandello docet?
Genovesi: Pirandello e Shakespeare e Calderon De La Barca. Mi trovo a vivere in un’epoca in cui tutto è già stato inventato, per cui posso solo cercare di trasformare le cose in attesa di avere un’idea geniale.

Data la sua apertura alla sperimentazione, non ha mai pensato a realizzare un film di animazione? “Happy Family” avrebbe potuto esserlo?
Salvatores: Sarebbe stato bello avere a disposizione il 3D e vedere i personaggi uscire dal computer, è vero. Però per me gli attori rimangono fondamentali e anche in un eventuale film d’animazione partirei sempre e comunque da loro.

Com’è nato il passaggio dal teatro al cinema?
Salvatores: Corinna Augustoni del teatro dell’Elfo è una mia amica da 30 anni. Sono andata a vedere lo spettacolo perché li vedo tutti e a maggior ragione perché ci recitava lei. Poi l’ho detto a Maurizio Totti che è andato subito a sua volta e mi ha detto "questo la facciamo". Corinna mi aveva anche detto che Alessandro (Genovesi) assomigliava a me a 38 anni ed è vero, per questo spero di poter lavorare ancora con lui per molto tempo.

La parola agli attori:
Abatantuono: Io e Gabriele abbiamo un rapporto ormai da vecchi marito e moglie. Ero in vacanza con lui, al mare, e ho cercato di convincerlo in tutti i modi a fare questo film, anche se in quello che aveva in cantiere in alternativa c’era un personaggio principale e qualunque altro attore avrebbe cercato di convincere il regista a fare quello e a dargli la parte. Ma io sapevo che questa era una bellissima commedia corale e che valeva davvero la pena che la portasse al cinema.

Croci (Marta): è il mio primo film, per me era tutto nuovo. Ho cercato di capire il mio personaggio, una ragazzina di 15 anni che sembra uno stereotipo ma in realtà ha le sue ombre.

Signoris: Il mio personaggio è quello di una madre poco ordinaria, che beve e fuma erba, e poi però per la figlia vuole un futuro tradizionale.

Bilello: Quando mi sono accostata al personaggio? Quando Gabriele ha capito che in me c’erano delle cose che non andavano e ha detto allora sei perfetta per Caterina, che è complessata. Per me il cinema era cosa abbastanza nuova ma forse ero più abituata di altri a parlare in macchina.

De Luigi: di solito sono piuttosto insicuro ma questa volta ho detto a Gabriele: "un altro giusto come me per questo ruolo non lo trovi." Mi sono buttato. C’erano tutti gli elementi per non far ridere –uno scrittore, frustrato, lasciato dalla donna, recluso in casa- ma il bello è stato proprio gestire questi elementi restando su una chiave di commedia.

Salvatores: Per prepararsi avevo dato ad ognuno una scatola con dentro foto, vestiti, scritti, accessori della biografia del loro personaggio. Devo dire che Fabio ha fatto un gran lavoro, perché la sua scatola, invece, era quasi vuota.

Buy: Non so cosa dire. Non avevo mai lavorato con Gabriele ed è stato bellissimo

Bentivoglio: Gabriele mi ha invitato a cena e mi ha detto "voglio rimettere insieme la banda", come nei Blues Brothers. Diego sostiene che ci abbiamo messo troppo, che avremmo dovuto farlo anche prima. La famigliarità del titolo aleggiava sul set tra noi. È come quando si è suonato insieme fra musicisti e poi ci si ritrova dopo anni: non c’è bisogno di provare i pezzi, si suona. Penso che questo film sia un incitamento a mischiarsi, a trovare nel diverso da sé il proprio amico, complice, compagno.

Augustoni: Con Gabriele abbiamo lavorato insieme per 15 anni in teatro, fare cinema insieme non è stata una novità ma devo dire che il suo grande amore per gli attori fa sì che anche al cinema, dove c’è meno spazio per le prove, riesca sempre a starti vicino. Per me non è stata questione di accostarsi al personaggio ma di scostarsi da quello che avevo fatto a teatro, di togliere.

Biancuzzi: è stato bello interpretare il mio personaggio perché …"è un ragazzo particolare" (è un tormentone del film, ndr), partire dai costumi, dalla sua ironia, il mondo che si costruisce. Non mi ha mai stancato, è stato divertentissimo. E poi è il mio primo film.

In che cosa è consistito principalmente il lavoro di adattamento del testo dal teatro al cinema?
Genovesi: All’inizio soprattutto in tagli: la commedia passa di qualche minuto le due ore, il film no. Ho scritto una prima stesura da solo mentre Gabriele aveva cominciato a girare Come Dio Comanda, poi lui e Totti mi hanno messo davanti ai loro dubbi, quindi alcune scene sono state stravolte o tolte e alcune, come la scena della barca che io trovo bellissima, è stata proprio creata ex novo.

Il finale omaggia apertamente “I Soliti Sospetti”. Perché?
Salvatores: Perché Kaiser Sose è uno dei personaggi cinematografici più belli degli ultimi anni ma va anche detto che il mio omaggio è l’epilogo di un discorso sulla creazione per cui il film è diviso in tre capitoli -personaggi e interpreti (quando veniamo al mondo e forse c’è un copione per noi), le confidenze (quando ci relazioniamo con gli altri), una famiglia- che corrispondono anche alle fasi della creazione artistica. Ad un certo punto, infatti, gli attori chiedono all’autore di andare un po’ a fondo, di costruire dei legami, dei sentimenti.

Perché affidare la colonna sonora interamente ad un disco di Simon and Garfunkel?
Salvatores: Perché è stata la colonna sonora di tante storie e storielle d’amore della mia gioventù ma anche a sottolineare il fatto che il personaggio di De Luigi crea a partire da quello che ha e in casa ha solo quel disco. Al telefono, Paul Simon ci teneva molto a capire come avremmo utilizzato la musica e si è scusato ma, ha detto, "in fondo è la nostra seconda colonna sonora dopo Il Laureato". Mi sono sentito molto fortunato.

Dopo tanti anni da Marrakesh Express, come si sono trovati Abatantuono e Bentivoglio di nuovo insieme?
Bentivoglio: non più maturi, nessuno di noi lo è, ma più consapevoli. Gabriele chiedeva che questi personaggi così dichiaratamente finti fossero però umani, per cui ognuno di noi era chiamato a trovare le sfumature del proprio personaggio, che poi è il compito di un attore: far capire anche quello che non dice.

Una battuta del film dice che la gente non la si può prendere in giro, bisogna dirle le cose e come vanno a finire. Si riferisce alla politica italiana?
Salvatores: Va bene anche per la politica, è vero, ci sono troppe bugie, ma in questa frase c’è soprattutto il mio credo rispetto al cinema. Cosa è vero e cosa è falso è un discorso che mi ossessiona da anni, almeno da Nirvana. I telegiornali, per esempio, spesso sono realtà virtuali.

Come nasce il coinvolgimento di Sandra Milo?
Salvatores: devo ringraziare il casting, ovvero Francesco Vedovati. Gli ho chiesto di pensare a Fellini, a 8 e 1/2 , e allora lui mi ha detto: "la madre di Ezio è Sandra Milo". È simpatica e se la cava ovunque la metti, ma era sorpresa per l’attenzione che le abbiamo riservato, diceva che non le capitava dai tempi di Fellini. In Italia non si fa abbastanza attenzione al fatto che gli attori sono il centro del film.

Il film si apre con un monologo sul tema della paura…
Genovesi: La paura è un sentimento che viene denigrato, usato solo nella sua accezione negativa, mentre spesso è una molla, un grosso motore dell’umanità, che spinge a fare le cose.

Salvatores: ne approfitto per ringraziare molto sinceramente Maurizio Totti e la Colorado, Rai cinema e la 01 distribution, perché davanti ad un copione come questo non era certo scontato trovare qualcuno disposto a farci un film. Ci è voluto del coraggio, appunto, e loro l’hanno avuto. Grazie.

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