Georges Méliès (Marie-Georges-Jean Méliès) è un attore francese, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, montatore, è nato il 8 dicembre 1861 a Parigi (Francia) ed è morto il 21 gennaio 1938 all'età di 76 anni a Parigi (Francia).
Uno dei grandi padri del cinema come arte che non riproduce la realtà, ma la esprime e la interpreta con un proprio specifico linguaggio. Alla realtà "fotografata" dal vivo, contrappose l'immaginazione, l'invenzione, la sparizione, la ricreazione, l'anticipazione. A questo scopo la sua esperienza di illusionista e mago (dal 1888 era proprietario-direttore del teatro di fantocci meccanici Robert-Houdin) gli servì moltissimo. Costruì il primo teatro di posa (a Montreuil) e in esso lavorò come un vero e proprio regista. La sua aspirazione era quella di creare "un genere interamente distinto dalle riprese ordinarie del cinematografo". Nel 1902 girò, un mese prima che avvenisse, L'incoronazione di re Edoardo VII, primo successo di massa del cinema. Oltre ai film di anticipazione girò alle farse avveniristiche sul genere di Jules Verne come Le voyage dans la Lune (1902), Le voyage à travers l'impossible (1904), Le tunnel sous la Manche (1907), À la conquête du Pôle (1912). Si cimentò anche nel genere de le féeries con Le royaume des Fées (1903). Girò pellicole di argomento contemporaneo come L'affaire Dreyfus (1899), La civilisation à travers les âges, anatema contro l'intolleranza. Nel 1908 l'evoluzione industriale del cinema mise in ombra modesto l'artigiano-mago di Montreuil che cessò di produrre nel 1913. Fu dimenticato e dovette darsi a mestieri anche umili fino a quando alla fine degli anni venti fu riscoperto e salutato come il creatore dello spettacolo cinematografico.
"Per opera di Lumière la fotografia era diventata un mezzo di riproduzione. Georges Méliès ne fece un mezzo di espressione" (Georges Sadoul). Figlio di un fabbricante di calzature di lusso, Méliès, dopo aver terminato gli studi lavorò come caricaturista e come illusionista e costruttore di automi per il teatro " Robert Houdin", fondato dal prestidigiatore omonimo, teatro di cui nel 1889 divenne proprietario e direttore. Nel 1896, dopo aver assistito a uno dei primissimi spettacoli di Lumière, gli chiese di acquistare il cinématographe, ma ne ottenne un rifiuto. Acquistò allora un apparecchio da ripresa e pellicola per 25.000 franchi incominciando a " girare in proprio: Une partie de cartes, il suo primo film, del 1896, ha gli stessi caratteri delle prime pellicole di Lumière. Alla fine dello stesso anno Méliès scopre il trucco cinematografico: sta girando una scena in Piace de l'Opéra quando l'apparecchio si inceppa; per aggiustano ci vuole un minuto buono, trascorso il quale la scena inquadrata dall'obiettivo, omnibus, passanti, carrozze, è completamente cambiata. " Quando proiettai la pellicola, giuntata nel punto in cui era avvenuta la rottura - racconta Méliès - vidi improvvisamente un omnibus della linea Madeleine-Bastille trasformarsi in un carro funebre e gli uomini in donne. Avevo trovato il trucco per sostituzione, detto trucco con metamorfosi". Méliès si rende subito conto che negli studi di Montreuil, i primi veri studi cinematografici della storia, con attori e scenari, può girare il repertorio del " Robert Houdin" senza i macchinari teatrali. Un banale guasto meccanico gli ha appreso le possibilità del nuovo mezzo tecnico e gli consente di contrapporre un cinema fatto di invenzione personale alla semplice registrazione della " realtà colta sul vivo" di Lumière. Il primo film in cui applica la nuova tecnica è La sparizione di una signora al" Robert Houdin". Ma mentre porta a termine le sue scoperte di " apprendista stregone" in una serie interminabile di opere (Le manoir du diable, Le cabinet de Méphistophélès, Faust et Marguerite, Magie diabolique, La caverne maudite), Méliès non dimentica la realtà e, nel 1899 il suo primo lungometraggio è impegnato nella ricostruzione del più famoso scandalo della società Franciase di quegli anni, l'affare Dreyfus (L'affaire Dreyfus). Dal 1902 ha inizio la produzione dei più celebri film di Méliès; sono naturalmente opere primitive, ma sono anche gli unici esempi di cinema primitivo che abbiano retto ai tempo. Di questa enorme produzione i due filoni più importanti sono: da una parte le féeries, rappresentazioni cinematografiche di fiabe famose come Cappuccetto Rosso, Cenerentola, Barbablu, La lanterna magica, e, dall'altra, i film ispinati parodisticamente alla letteratura avveniristica di Giulio Verne (La conquista del Polo, 20.000 leghe sotto i mari, Viaggio attraverso l'impossibile). Nel 1902, appunto, realizza la sua opera più importante, Le voyage dans la lune; gli costa 30.000 franchi, ma il successo delle trovate e dei trucchi è straordinario. Mentre il pubblico, che ha ormai superato la meraviglia per la nuova invenzione, corre ad applaudire la grandiosa spettacolarità di Voyage dans la lune, tutto il mondo viene invaso da esemplari apocrifi del film. L'uomo che ha messo in moto, con la sua intraprendenza, la macchina dell'industria cinematografica dovrà da ora subire la concorrenza spietata di uomini d'affari, epigoni più ricchi e, forse, più abili di lui; le dimensioni dell'azienda di Montreuil appaiono sempre più modeste di fronte ai nuovi grandi monopoli. Il catalogo di Méliès continua fino al 1913, a proporre titoli al pubblico: cioè, praticamente, tutta la letteratura, il teatro, la favolistica internazionale. Alcune opere sono molto interessanti, in particolare La civilisation à travers les dges, 1908, ma Méliès è ormai in decadenza e finirà, nel primo dopoguerra, gestore di un chiosco di giocattoli alla stazione di Montparnasse. Solo pochi anni prima di morire sarà ritrovato da alcuni appassionati di cinema in una casa di riposo.
Come sanno anche i bambini (o come dovrebbero sapere anche i bambini se il cinema, espressione fondamentale della nostra epoca, fosse studiato nelle scuole), in principio c'erano due linee di pensiero: quella del documentario, della realtà, codificato dai fratelli Auguste e Louis Lumière con i loro film dedicati, appunto, al mondo reale (L'uscita dalle fabbriche, L'arrivo di un treno alla stazione di la Ciotat ); e quella fantastica, onirica, inventata, nata con Georges Méliès, che con Viaggio nella Luna, sulla scia degli spettacoli di magia del diciannovesimo secolo, ha fondato il cinema di fantascienza e, poi, molto di più.
E a Méliès la Cinémathèque di Parigi (www.cinematheque fr) dedica fino al 31 luglio una mostra che vale la pena di vedere, perché fa piombare il visitatore in un mondo di cinema magico, e inventato nei mezzi, nei soggetti, nelle tecniche. Anche se entra in azione un anno dopo i Lumière, nel 1896, Méliès può essere considerato oggi il vincitore della tenzone: gran parte del cinema narrativo discende da lui e ancora oggi abbiamo un suo nipotino molto attivo in Tini Burton. Creativo, inventivo, bravissimo artigiano, prodigiosamente attivo, attore, inventore degli studi a vetri, capace di costruire da solo le sue macchine e di trovare gli strumenti per le sue tecniche e i suoi trucchi, dalla moltiplicazione alla sparizione, dalla poesia fintamente ingenua e molto ironica di Viaggio nella Luna agli sdoppiamenti a ripetizione di L'Homme-Orchestre, Méliès viene tuttavia sconfitto nel giro di pochi anni da un cinema che diventa sempre più realistico. Ma nel 1912 fallisce, brucia gran parte dei suoi film (di 520 che aveva realizzato ne restano 210). Finirà a vendere giochini e dolcetti alla Gare Montparnasse. Quello che non molti sanno è che anche Georges Méliès, per passione civile e politica, è stato tentato dal reale. Nel 1899, da paladino del capitano Alfred Dreyfus, ha girato infatti quello che può essere considerata la primo docu-fiction della storia del cinema, L'Affaire Dreyfus, un appassionato misto di ricreazione e di cronaca. Undici episodi di un minuto ciascuno. Quando si dice la capacità di sintesi.
Da Il Venerdì di Repubblica, 16 maggio 2008
Il primo artista che il cinema abbia avuto. Grezzo, più elementare che primitivo, di una audacia da rasentare l'incoscienza, e di una fiducia talmente candida da diven tare confidenza con lo spettatore. La sua molla è l'entusïasmo per la macchina del cinema, più di una volta deve fu di trentacinque franchi; pochi giorni dopo salì a duemila. Il cinema era nato.
Queste e altre cose sono state ricordate nelle ultime ventiquattro ore seguenti la morte di Luigi Lumière (nato a Besançon nel 1864), il più tenace dei due fratelli. La sua vita quasi tutta si svolse entro le pareti di un modesto laboratorio, in ricerche incessanti, per lo più fotografiche e cinematografiche. Ma quella vita sarebbe potuta essere soltanto il laborioso e proficuo curriculum di chi doveva dare il proprio nome a una delle tre maggiori conquiste tecniche del nostro tempo: aviazione, cinema, radio. Invece, per il preminente e poi costante contributo da lui dato alla nuova invenzione, doveva toccargli la più meravigliosa avventura: quella di vedere superati i tradizionali confini tra scienza e arte, di vedere il suo mezzo tecnico diventare un mezzo espressivo. Non sarebbe stato difficile presagire che il Cinématographe, la sua «scoperta», avrebbe avuto sviluppi enormi, dalla cronaca più o meno documentaria alle risorse didattiche che avrebbero fatto dello schermo la bianca lavagna del domani. Sarebbe invece stato quasi impossibile, e comunque assai difficile, prevedere che ne Varroseur arrosé («L'innaffiatore annaffiato»), uno dei dieci filmetti del 28 dicembre 1895, una brevissima «comica» avanti lettera, fosse racchiusa in germe la possibilità di una nuova arte.
Fu questa la grande avventura che Luigi Lumière poté viversi, quasi centellinarsi di giorno in giorno, durante cinquantatre anni. (Il fratello Augusto si era poi dato a cer ti suoi studi di medicina). Non soltanto seguire lo sviluppo tecnico di quel suo primo rudimentale apparato, non soltanto stupirsi di tutta una formidabile congerie industriale che ne era nata; ma scorgerne, con una evidenza pari alla vitalità, il graduale e costante affermarsi di un nuovo aver pensato, che i Lumière avessero lavorato esclusivamente per lui. Era un modesto pittore, un mediocre caricaturista, e aveva talvolta sbarcato il lunario facendo anche l'illusionista. Pochi mesi dopo la prima serata del Cinématographe, verso la metà del 189,6, vi si dedica furiosamente. Aveva già trentacinque anni, era nato a Parigi nel 1861; scriverà un giorno, nelle sue memorie, che a sfogare la sua sete d'avventure, e gli slanci di una sua peripatetica fantasia, fin da ragazzo si accaniva a disegnare alcuni momenti dei molti che Verne faceva vivere ai suoi personaggi. L'arte, per lui, non era intuizione, interpretazione; ma spicciola magia. Infatti le forme «magiche» più elementari lo seducevano, addirittura lo entusiasmavano: giochi di funanboli e di saltimbanchi, scherzi di luce, prodezze di prestigiatori, silhouettes e fantocci meccanici, con tutte le truccherie che potesse offrire un palcoscenico. E nel cinema vide il suo teatro inesauribile; e nel suo piccolo teatro di posa a Montreuil, una grossa capanna vetrata, inscenò le trame più complesse e più audaci. Le Ventimila leghe sotto i mari diventano per lui duecentomila, vi si sfoga a ricostruire complicatissimi ambienti subacquei, con piovre allucinanti, sirene in gonnellina, estatiche meduse. Per La cura dell'idropisia inventa un complicato laboratorio, al centro del quale pone una bagnarola dove immerge il suo paziente, cui una raggiera di grosse scope massaggia l'addome. In Cenerentola la mezzanotte fatale deve contemporaneamente scoccare da nove monumentali orologi, cinque dei quali sono sorretti da cinque prosperose e un po' discinte ragazze. I Seleniti, per Il viaggio nella luna, hanno mani a pinza, ginocchia e gomiti speronati, testa da gallinaccio; e gli argonauti s'imbarcano, con l'ombrello, in un proiettile interplanetario che sembra un sigaro. Di sua moglie, che con il rotondo nome. Di Jehanne d'Alcy gli era stata accanto quando era illusionista, fa la prima pin-up dello schermo. Va a La conquista del Polo, ed è egli stesso il comandante della spedizione, con una barba di candida lana. Uno dei sogni dell'ottocento, Il tunnel sotto la Manica, è da lui concentrato in pochi minuti, con «spaccati» che in alto lasciano scorgere il fondo del mare, in basso solide falde rocciose, e il primo trasporto lungo la nuova via è di una botticella di whisky, imbandierata. De L'affare Dreyfus dà una cronaca che vorrebbe esserne un documentario, e tutto è fatto a Montreuil; e su ordinazione di una ditta londinese si rifà, sempre a Montreuil, la cronaca «diretta», e a colori, dell'incoronazione di Edoardo VII.
Soggettista, regista, operatore, attore, scenografo, la sua inesauribile attività ha la baldanza di un gioco; e a rivedere oggi alcuni dei suoi film, e parecchi frammenti di altri, ancora sorprende la sicurezza della sua fantasia, e ancora convince l'unità delle sue visioni. Gli ha enormemente giovato il voler essere tutto, non c'è un istante o un elemento del quadro che non riveli la sua impronta. Piuttosto ingenua, ricorda i toni di certi ex-voto tra i più strapazzati, di certi disegni a gessetto, da marciapiede; tutt'al più di certi figurinai che un tempo allineavano la loro mercanzia sulla spalletta di un ponte. E sopratutto ricorda i tiri-a-segno, le povere giostre, un sentore di soffritto e di acetilene. Non potevano certo avere cornice migliore, i suoi film, dei cinema ambulanti di fiera in fiera; poiché Georges Méliès è stato il primo cantastorie del cinema. Creò centinaia di drammi commedie avventure farse fantasie; se n'è salvata una trentina; inventò molti trucchi dei quali il cinema, sviluppandoli, ancora oggi si alimenta; ed è morto ieri, ventiquattro ore dopo la morte di Emile Cohl, l'inventore dei disegni animati. (Da Méliès si doveva poi scendere a Pathé e a Zecca, ai varii Fantomas ed ebrei erranti; mentre in America un ex-marinaio, con L'assalto al treno (1903), doveva aprire la strada al «western», da Broncho Bill a Rio Jim, da William Hart a Tom Mix).
(1951)
Da Film visti. Dai Lumière al Cinerama, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1957