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Rassegna stampa di Alessandro Blasetti

Alessandro Blasetti è un attore italiano, regista, scrittore, sceneggiatore, co-sceneggiatore, montatore, è nato il 3 luglio 1900 a Roma (Italia) ed è morto il 1 febbraio 1987 all'età di 86 anni a Roma (Italia).

GIAN LUIGI RONDI
Il Tempo

Alessandro Blasetti, che aveva dato al cinema italiano alcune tra le sue opere più vive (persino in quell'epoca smorta che veniva definita con ironia dei « telefoni bianchi ») ha continuato anche in questi anni a realizzare dei film in cui, quando non prevaleva l'impegno morale ed umano da cui spesso era stato sostenuto, prevaleva almeno quell'impegno stilistico che, anche in pieno neorealismo gli aveva consentito di conservare alle sue immagini una ineccepibile perfezione formale.
Dopo essere stato così, il colorito inventore di alcuni tra i « generi » più fortunati del nostro cinema, eccolo scoprire un tipo abbastanza insolito di racconto cinematografico, quello ispirato a testi letterari piuttosto brevi, sì da formare dei film a episodi tutti costruiti su opere di gusto sicuro. Altri tempi - il primo della serie - si rifà ai racconti dei più noti scrittori italiani dell'Ottocento e del primo Novecento, e, pur non avendo ovviamente un'unità narrativa esteriore data la voluta differenza dei temi e degli argomenti, raggiunge quasi sempre una sua unità estetica per merito del fervore figurativo, del brio e della fantasia non di rado satirica con cui il regista ha saputo condurre ed equilibrare la danza dei suoi personaggi.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

A Roma, dove si laurea in giurisprudenza, come si conviene a un figlio della piccola borghesia, non esercita l'avvocatura, ma, appena possibile, la critica cinematografica. Giovanissimo, dirige tre riviste e, a 29 anni, fonda una cooperativa per girare un film sperimentale, Sole. L'anno successivo, con il sonoro, guida Ettore Petrolini in una autocelebrazione intitolata, dalla più nota macchietta dell'attore, Nerone (1930). Eclettico come gli piace essere, e come sempre sarà, passa dal drammatico Terra madre (1931) allo storico e ingenuo 1860 (1934), rievocazione dell'epopea garibaldina in Sicilia narrata attraverso le Noterelle di G.C. Abba, all'appassionato e goffo osanna al fascismo di Vecchia guardia (1935), a due scapigliate divagazioni fra storia, romanzo e pittura, Ettore Fieramosca (1938) e Un'avventura di Salvator Rosa (1940). Amando il fasto, s'inventa un personale, farraginoso Medioevo per il kolossal La corona di ferro (1941) ma presta anche orecchio, con una sensibilità sorprendente, alla sirena zavattiniana per una graziosa storiella di piccola gente, fra città e campagna, che, al modo di Frank Capra, si traduce in una elegia non priva di significati sociali (Quattro passi fra le nuvole, 1942) e sarà inclusa fra gli antesignani del neorealismo.

MARIO SOLDATI

È probabile che per capire una persona - anche se la conosciamo benissimo e da moltissimo tempo e soprattutto in questo caso perché i ricordi sovrapponendosi e moltiplicandosi finiscono per confonderne l'immagine - è probabile che per capire una persona il metodo più sicuro sia quello di riuscire a ricordare l'impressione che ci ha fatto la prima volta che l'abbiamo vista.
Blasetti? Il mio caro, il mio dolce, il mio assurdo, il mio impossibile, il mio irritante, il mio aggressivo, il mio disarmato Blasetti!
Oh, per riuscire a ricordare l'impressione che mi ha fatto la prima volta che l'ho visto, non è necessario che io ci pensi molto. Già questa è una grande fortuna. Già questo è un segno... «Un segno di che cosa?» mi domanda Blasetti a bruciapelo, magicamente entrato in comunicazione con me. È proprio la sua voce, romana ma non molle. «Un segno di che cosa?» ripete diffidente, dura. E insiste: «Un segno di che cosa?».
«Il segno dell'essenziale, caro Sandro!» ti rispondo. Perché tu sei una persona che, appena vista, non la si può dimenticare.
Ricordo con assoluta precisione la prima volta che ti ho visto. Fu una mattina dell'estate del 1931, una mattina per modo di dire, una mattina tra l'una e le due del pomeriggio quando, appunto verso quell'ora - si fosse in lavorazione, si fosse in sceneggiatura, in proiezione, in preparazione, in montaggio - si usciva dagli stabilimenti della Cines di via Veio e si andava a colazione fuori, in qualche vicina trattoria. Tu, per la verità, quando lavoravi alla Cines di via Veio, preferivi fare colazione nel ristorante interno, da Giulio Mostocotto. Diciamo che la prima volta che ti ho visto è stato così: una mattina dell'estate del 1931, tra l'una e le due del pomeriggio, io uscivo dalla Cines per andare a colazione da Bragalone: e tu, proprio in quel momento, tornavi da una ricerca di esterni e entravi nello stabilimento per fare colazione.

UGO CASIRAGHI

Il decano il padre, il maestro: tre appellativi che si addicevano tutti ad Alessandro Blasetti, il più vecchio e popolare dei registi cinematografici italiani, mancato la notte del 2 febbraio 1987 a Roma, dov'era nato nel remoto 1900. Difese a spada tratta il cinema nazionale, sempre e comunque. Ne salvò la disfatta, insieme con Mario Camerini, durante il periodo fascista. Insegnò il mestiere a tre generazioni di cineasti. Anche nel dopoguerra e fin quasi agli ultimi anni, mantenne una posizione di rilievo sul grande e sul piccolo schermo. Era titolare di un numero infinito di primati, tecnici e artistici.
Accostarsi globalmente alla sua figura è un compito insieme semplice e complicato. Semplice perché, nel bene e nel male, la sua personalità esuberante e aggressiva, ma straordinariamente generosa e onesta, si offre senza segreti, non nasconde misteri. Ma anche complicato, date le diverse esperienze e le non poche contraddizioni attraversate nella lunga attività. Blasetti, è vero, le abbracciava tutte con la medesima carica di sincerità, e tutte le padroneggiava con un mestiere sempre più robusto. Per lui il cinema era sì arte, ma soprattutto artigianato: difficile rintracciare sempre nei suoi trentacinque film, in mezzo secolo di carriera, il timbro costante e inconfondibile dell'autore. Più che un autore nel senso attuale del termine, egli è rimasto fino in fondo quel direttore - direttore di uomini e di strumenti - ch'era stato dal tempo della giovinezza.
Visceralmente preso dalla «settima arte», ne aveva perorato su giornali e riviste la rinascita in casa nostra, prima di tentarla di persona sul finire del 1928, col suo primo film Sole dedicato alla bonifica delle paludi Pontine. Il cinema italiano era allora a pezzi, e faticosamente cercava di uscire dal decennio più nero della sua storia.
Il baldanzoso esordiente aveva negli occhi i classici dell'espressionismo tedesco e forse anche quelli del grande «muto» rivoluzionario sovietico. Blasetti smentiva di aver visto i sovietici prima di Sole, assicurava di averli visti dopo e di essersi innamorato soprattutto del Cammino verso la vita di Nikolaj Ekk, giunto alla prima Mostra di Venezia nel 1932. Fatto sta, però, che nel frammento iniziale di Sole, l'unico sopravvissuto, la lezione russa sembra presente: nell'illuminazione, nell'uso di ambienti reali e di attori non professionisti, nel montaggio cui il regista cominciava ad accudire personalmente.
Ad ogni modo tali pratiche sono poi continuate nelle opere successive e particolarmente in Terra madre che nel 1930 riproponeva il tema rurale di Sole, in 1860 girato nel 1933 e che può considerarsi il risultato più alto di Blasetti e della «Cives» di Emilio Cecchi, in Vecchia guardia uscito nel 1935 come l'unico schietto film fascista del ventennio e che ai gerarchi fascisti non piacque. Anzi Luigi Freddi, il direttore generale del cinema di regime, pensò addirittura di proibirlo.
Blasetti credeva nel fascismo ed era un mussoliniano convinto, tanto da adombrare il «duce» nel Garibaldi di 1860, che tuttavia sullo schermo appariva soltanto di scorcio, e da concludere il suo film più bello con una incongrua sfilata di camicie nere (ovviamente soppressa nell'edizione che circola oggi) quali eredi delle camicie rosse garibaldine. Ci credette almeno fino a quando le polemiche suscitate da Vecchia guardia, che voleva essere un elogio dello squadrismo della prima ora, si aggiunsero alla guerra d'Africa che feriva i suoi sentimenti di pacifista. Del resto alcuni dei suoi amici e collaboratori erano antifascisti, come Umberto Barbaro che gli fece conoscere i film sovietici e come Aldo Vergano soggettista e cosceneggiatore di Sole, e che nell'immediato dopoguerra avrebbe diretto il primo modello di film di sinistra: il resistenziale e antiborghese Il sole sorge ancora.

GIAN PIERO BRUNETTA

Blasetti, in piena forma, inventa addirittura un genere che è una specie di inclusive tour degli spettacoli notturni delle maggiori capitali europee, con tanto di spogliarelli audaci, maghi, prestigiatori, ballerini e cantanti. Europa di notte del 1959 è anche - tra le altre cose - il primo segnale di influenza diretta dello spettacolo di tipo televisivo sul cinema. A un buon livello spettacolare e professionale si collocano anche i successivi Io amo, tu ami del 1963, Eiolà del 1966, lo, io, io... e gli altri del 1966. In particolare quest'ultimo vuole essere da parte dell'autore un discorso autocritico sull'egoismo, sulla disgregazione dei rapporti umani. Blasetti costruisce, da par suo, una struttura narrativa tutta frammentata, riuscendo a condensare, grazie a una girandola di osservazioni rapidissime, una quantità enorme di situazioni e comportamenti tipici dei processi di trasformazione in atto nel costume italiano. Negli anni Settanta il regista continua regolarmente la sua attività, realizzando una serie di trasmissioni televisive gustose e originali, nelle quali ancora una volta non rinuncia a offrire sintesi significative del suo lungo e felice matrimonio con la macchina da presa.

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