Nel 1993 annunciava: “Non farò più cinema. Me ne starò in campagna, sdraiato sui divano, senza scarpe, a fumare sigarette”. La decisione somigliava a quella della sua protagonista Juliette Binoche in Film blu (“ Ho deciso di fare niente. Niente più conta”), però la faccia così intelligente di Kieslowski era ridente, gli occhi bellissimi avevano un luccichio ironico, magari scherzava, pochi gli credettero: e infatti un mese prima di morire, a Torino, a un convegno in cui si discuteva di musica nel film, disse d’aver cambiato idea, ripeté di voler realizzare una trilogia dalla Commedia di Dante, un Inferno, un Purgatorio, un Paradiso. Gli era tornato il desiderio che non ebbe avuto tempo di appagarlo. Regista straordinario, col suo cinema d’ansia e d’inquietudine Kieslowski ha riportato sullo schermo la cognizione del dolore e il dubbio morale, la dimensione metafisica e l’esperienza della colpa. Senza certezze: “Non ho il diritto di prescrivere rimedi, di offrire formule, di fornire risposte. Posso soltanto dialogare con gli spettatori su cose che considero essenziali”. Senza astrazioni: l’ambiente realistico dei suoi film nasce dall’osservazione quotidiana della vita affinata per anni nel lavoro di documentarista, da uno sguardo esatto e pessimista, da un approccio di limpida profondità, d’alta semplicità. E ogni sua immagine è perfetta, perfettamente eloquente, perfettamente originale e sorprendente. Lo conoscevano in pochi sino al 1988, quando arrivò al festival di Cannes Non uccidere, resoconto senza enfasi, insopportabile per l’intensità quasi ipnotica, d’un omicidio privato e d’un pubblico omicidio, d’un ragazzo assassino d’un tassista e dello Stato assassino del ragazzo, di due modi diversi ma parallelamente inaccettabili d’infliggere la pena di morte. Era la versione particolare d’uno dei dieci film realizzati per la televisione polacca sui Comandamenti della dottrina cattolica, quel Decalogo giustamente considerato il suo capolavoro, che aveva assorbito tanta parte della sua vita creativa guadagnandogli l’ammirazione del mondo. Anche i non specialisti impararono a conoscere questo autore censurato in Polonia e premiato ai festival, nato a Varsavia, segnato da un’infanzia sradicata (diciannove traslochi in sedici anni, per seguire sino alla morte il padre malato di tubercolosi), con l’ambizione d’essere regista teatrale, arrivato al cinema per puro caso: “I cineasti dicono sempre d’aver amato il cinema sin da bambini. Io non l’ho mai amato, non sono mai stato sedotto da un film...” Allievo della famosa scuola di cinema di Lodz, realizzò lì i suoi primi saggi: poi, una lunga e decisiva attività nel documentario, i primi film di fiction per la tv, altri film che lo fecero giudicare un autore politico, sino all’insolito affascinante Decalogo: “Un punto di vista non religioso, piuttosto laico, su un sistema di norme, una convenzione, una sorta di Costituzione universale riguardante tutti, che vige da migliaia di anni e che nessuno sinora ha messo in discussione”. Sempre rimasto in Polonia nonostante ogni pressione politico-censoria, Kieslowski lasciò il suo Paese nel 1990 per ragioni economiche, perché il cinema polacco senza soldi non gli avrebbe consentito di seguitare a lavorare come voleva, ed emigrò in Francia, dove girò una parte del thriller metafisico La doppia vita di Veronica con Irène Jacob protagonista-rivelazione, e i tre film illustranti con i colori della bandiera di Francia le parole-concetto essenziali della Rivoluzione francese e della civiltà moderna: libertà, uguaglianza, fraternità. Film blu (1993), con Juliette Binoche meravigliosa, esprime il sentimento ineffabile della libertà nel dolore raccontando l’autoreclusione dalla vita, la scelta di solitudine, ma anche la impossibilità di liberarsi di se stessi e di esistere senza amore. In Film blance (1993), girato in parte in Polonia, il candido vuoto dell’assenza simboleggia la nuova uguaglianza dell’avidità egoista, della povertà e del capitalismo selvaggio, ormai simili nell’Europa occidentale come in quella centro-orientale. Film rosso (1994) condensa tanti elementi del cine-universo di Kieslowski: il voyeunismo, lo spionaggio della vita altrui nella vacuità della propria, il vivere vicini ed estranei sempre sfiorandosi senza mai conoscersi; la casualità che governa le cose umane; il personaggio onnisciente e preveggente che come un regista modifica o determina il destino degli altri.