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Rassegna stampa di Bob Rafelson

Bob Rafelson è un attore statunitense, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, è nato il 21 febbraio 1933 a New York City, New York (USA). Bob Rafelson ha oggi 91 anni ed è del segno zodiacale Pesci.

EMANUELA MARTINI
Film TV

Uno dei suoi zii era Samson Raphaelson, sceneggiatore della hollywood classica prediletto da Ernst Lubitsch. Suo padre, invece, era un fabbricante di cappelli di New York: buona borghesia ebreo-americana, colta, solida, letterata. Bob Rafelson era cresciuto alla scuola privata, destinato a occuparsi degli affari di famiglia. Ma fin da ragazzo ha un carattere inquieto: a 15 anni partecipa ai rodei in Arizona, a 17 trova lavoro su una nave che fa rotta per l’Europa, a i8 suona la batteria e ‘il contrabbasso in un’orchestrina jazz di Acapulco, a 20, dopo aver lasciato il college di Dartmouth dove studia filosofia, fa il servizio militare in Giappone, dove è disc jockey per una stazione radiofonica dell’esercito americano. «Alla radio, raccontavo delle lunghe storie, in libertà, storie come quella della lisca di pesce con cui inizia Il re dei giardini di Marvin». Storie di famiglia, come saranno poi quelle dei suoi film. Torna in America a metà degli anni ’50, dopo avere lavorato come consulente per le esportazioni in America della compagnia giapponese Shpshito e aver scoperto il cinema Ozu. A New York, respira aria beatnik, dolcevita nera, Sartre, Kerouac, Beckett, e approda subito in televisione, a scrivere dialoghi aggiunti ai classici per The Play of the Week. Nel 1962 si trasferisce a Hollywood, dove lavora al dipartimento televisivo della Universal. Nel 1965 viene raggiunto dall’amico Bert Schneider, che si è licenziato dalla compagnia del padre, la Screen Gems, branca televisiva della Columbia. Sono intellettuali, irrequieti, eccentrici, figli di quel decennio. Inventano un gruppo sullo stile dei Beatles, i Monkees, li lanciano con una serie televisiva, poi decidono di costruire intorno a loro un film: Head (1968), surreale come un film di Lester, esordio nella regia di R~afelson, che scrive la sceneggiatura insieme a Jack Nicholson. Nel frattempo, è nata una nuova compagnia di produzione, la BBS (da Bert, Bob e Steve, come Steve Blauner, da sempre amico e complice di Schneider), che accetta il rischio che nemmeno Roger Corman si vuole accollare: finanziare il film di due amici “capelloni“, Dennis Hopper e Peter Fonda, Con il successo di Easy Rider, la BBS diventa la compagnia “in’degli indipendenti americani, quella che fa esordire i giovani e piace agli europei. Nel 1971 produce L‘ultimo spettacolo di Peter Bogdanovich, nel 1972 Yellow di Jack Nicholson. Ma il suo maggior successo dopo Easy Rider è Cinque pezzi facili, la seconda regia di Rafelson, del 1970, cui segue nel 1972 Il re dei Giardini di Marvin. Dicono che Bob Rafelson sia antipatico, che si atteggi da intellettuale e tenda ad appropriarsi della paternità di copioni ai quali ha contribuito solo con un paio di battute; ma per questi due film ha dirítto a un posto nell’elenco dei grandi regísti americani degli anni ’70 e nel cuore e negli occhi di tutta una generazione. Perché nella malattia dell’anima di Robert Eroica Dupea, nella sua incapacità di tenersi strette ‘e cose e di riconoscersi nella realtà del paese che lo circonda, c‘è, già nel 1970, tutta la malinconia di un‘illusione perduta nel momento in cui nasceva, la disperazione sorda di un viaggio senza riposo e senza certezze. E nella scommessa perennemente persa dai fratelli David e Jason Staebler, nei monologhi neri e rassegnati di David alla radio e nelle frenetiche e inutili rincorse di Jason, c‘è il senso dello spreco, del sogno caduto, dell’impossibilità di cambiare il mondo. In quei due film, lo stile & Rafelson ha il tempo dei silenzi e dei ricordi (il piano sequenza circolare sulla stanza di Robert mentre lui è ai piano), sa fare i conti con il passato e con i rapporti irrisolti, le fughe inevitabili, i legami dolorosamente sfuggiti, sa entrare nella testa dei personaggi, nclla nostra testa, e anche oggi, a trent’anni di distanza, sa far scattare la molla dell’identificazione e della consapevolezza. Anche se poi la carriera di Rafelson si è sfrangiata tra un‘onorevole versione di Il postino suona sempre due volte, l‘eleganza coloniale di Le montagne della luna e una propensione non sempre risolta per il noir (con le notevoli eccezioni di La vedova nera e del televisivo Marlowe), gli dovremo sempre lo struggente

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