Alessandro Gassmann è un attore italiano, regista, voce narrante, scrittore, sceneggiatore, co-sceneggiatore, è nato il 24 febbraio 1965 a Roma (Italia). Alessandro Gassmann ha oggi 59 anni ed è del segno zodiacale Pesci.
Bello e bravo. Chi l'avrebbe detto? Bello, Alessandro Gassman lo è sempre stato e ce ne eravamo fatti un'idea in quel famoso calendario che lo mostrava nudo sulle rocce messicane. Bravo lo è in modo un po' defilato, in riduzioni teatrali di cui spesso è anche regista. Per il resto, troppi sceneggiati tv e troppi filmetti spazzatura ne avevano appiattito l'immagine a quella del solito figlio d'arte che arranca dietro l'ombra di un padre grande e ingombrante. Invece in "Caos calmo", il film di Antonello Grimaldi tratto dal romanzo di Sandro Veronesi, ecco l'esplosione. Una presenza scenica vera ed energica, una bellezza maschile nel pieno dell'età, una recitazione matura. Complice la vicinanza di Nonni Moretti, bravo come non mai, che gli fa da mentore e specchio.
Gassman, ci siamo finalmente. Un sex symbol che sa anche recitare.
«Sono 25 anni che faccio cinema, 20 che faccio teatro e scopro che pochi si erano accorti che fossi bravo. Ë proprio vero: in questo mestiere ci vuole la fortuna di stare nel ruolo giusto, nel film giusto e al momento giusta».
E senza neanche fare il protagonista.
«Ho fatto il fratello, l'altro, ma di un grande come Nonni Moretti. Sono sempre stato un suo fari e sa come capita in questi casi?».
No, come capita?
«Che a forza di leggere tutto su di lui, di vedere e rivedere i suoi film, sono arrivato a fare la parte di suo fratello come se lo fossi davvero. Se mitizzi un personaggio e poi lo incontri, hai la sensazione di conoscerlo in profondità.
In genere con la vicinanza il mito crolla.
«A me è successo il contrario. Ho trovato quello che mi aspettavo: grande intelligenza, acume, cinismo. Persino i suoi difetti sono sublimi. Con due battute sa distruggere qualunque cosa e chíunque».
Anche lei?
«Io, sono subito diventato "l'uomo tartaruga" per via dei miei addominali evidenti. Nonni mi ha perseguitato tutto il tempo mentre faceva quella che ritengo la sua più grande prova d'attore».
D'accordo, Moretti è tanto bravo, però ora stiamo parlando di lei.
« Penso di aver dato il mio meglio pervia della doppia natura di quel ruolo: smargiasso e delicato, goliarda e misurato. Amo i personaggi che nascondono un altro lato di sé, come Primo Carnera».
Camera?
«Sì, il gigante buono. Ho scritto una sceneggiatura su di lui. Era un diverso, un mostro che aveva un'anima grande e semplice, da contadino dei Nord. Come mio padre, come mio nonna».
Non si riesce a non parlare di suo padre...
«Non dimentichi che non era solo il grande Vittorio Gassman: era il mio papà. Tanto più che la sua grandezza non mi sembra sufficientemente ricordata».
Con chi ce l'ha?
«Con motti. Per esempio, lei trova normale che nel 2000, l'anno della sua morte, il Festival di Venezia non gli abbia dedicato neanche un ricordo? Credo che il direttore dell'epoca, Alberto Barbera, verrà ricordato solo come colui che non ha ricordato Vittorio Gassman. Se non fosse stato per Veltroni... ».
Eccolo! Che ha fatto Veltroni?
«Gli ha dedicato un lungotevere e una piazza di Roma, dandoci molta gioia. È un grande appassionato di cinema. Anni prima mi aveva telefonato per complimentarsi per "Teste di cocco ", che avevo girato in coppia con Gianmarco Tognazzi. II film fu un flop al botteghino, ma Walter forse aveva intuito che era nel filone di quel cinema mondezza che prima o poi viene rivalutato».
Per "Caos calmo" non le ha telefonato?
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Già, ora il Gassman è lei. Pensa di essersi libe-
rato dell'ombra di suo padre?
« No, e non voglio liberarmene. Era una persona di immenso talento e cultura e mi piace che tutti ricordino che sono suo figlio. Mi addolora solo che non sia qui, avrebbe apprezzato ciò che faccio in teatro. E poi come attore sono molto diverso da lui. Ricorda 1l sorpasso"?».
E chi non lo ricorda.
«Ecco, rifarei volentieri il film, ma mi prenderei il ruolo che fu di Trintignant».
Anche lui bello e tenebroso.
«Sulla bellezza, se la vuole tutta, non ho mai avuto problemi. Mio padre era magnifico, ma ho scoperto a 14 anni di cavarmela benino anch'io. Melo fece capire una donna spaziale».
Chi era?
«Rachel Welch, l'immagine femminile più eccitante che io abbia mai incontrato. Avevo accompagnato mio padre a Lecce per un premio. Lei mi apparve improvvisamente in un ascensore. Mi mancava il fiato, ma dopo avermi guardato bene, mi sussurrò: "Sei ancora più bello di tuo padre". E se ne usci svanendo per sempre nel corridoio».
Lei è davvero al centro della vita e della carriera. Anche nella sfera privata va tutto così bene?
«Si, ho una moglie e un figlio splendidi. E, da quando sono finiti gli attacchi di
panico, mi sento molto sereno».
Vuole parlarne?
«Non è una cosa che nascondo. Il panico è cominciato un anno e mezzo dopo la morte di mio padre. Ho avuto solo un paio di attacchi all'anno, però terribili. Duravano 20 minuti ed erano invalidanti. Ma il peggio è che vivevo il resto del tempo nella costante paura che tornassero».
Come ha fatto a eliminarlo?
«Sono andato dall'analista, anzi da un sacco di analisti: freudiano, junghiano, poi mi sono fermato su un transazionale. E una terapia meno profonda che mira a uno scopo. Ora sono rimasto solo un po' bipolare, passo da momenti di sconforto a momenti di euforia. Ma ogni mattina mi sveglio e ringrazio non so chi».
Non ha un dio da ringraziare?
«No, faccio parte di quelli che si chiamano gli "speranzosi", come Alberto Sardi che diceva- "Hai visto mai? Lascio tutto alla Chiesa, hai visto mai?". lo, per ora, mela sono cavata con la psicoanalisi».
Che, dei resto, nella sua famiglia era di casa.
«Sì, ci andava mio padre, ci andava Diletta D'Andrea, la sua ultima moglie e mia seconda mamma. Ma non è servita a evitare la depressione che ha reso orribili gli ultimi anni di papà. Faceva male vedere quella montagna umana che diventava fragile come un vaso Ming, con la pelle screpolata, le vene che gli uscivano fuori. Sembra un destino di quella grande generazione d'attori».
A chi si riferisce?
«A Ugo Tognazzi che anni prima soffriva della stessa depressione. Si racconta che una sera, nel corso di uno degli ultimi tornei Tognazzi, lui e Vittorio si siano chiusi per ore in una stanza a raccontarsi chi di loro due stesse peggio. E pare che sia finita con delle risate pazzesche».
Lei ha messo su una famigliola come si deve, rara dì questi tempi. è una reazione a quella motto allargata di suo padre?
«Nell'infanzia quella famiglia mi sembrava la normalità: un padre, due madri, una che vedevo raramente e una d'elezione che mi metteva le maglie di lana, tre fratelli di madri diverse, un fratello acquisito, Jacopo Salce, con cui ho condiviso per anni un lettone. Poi ho avuto semplicemente la fortuna di incontrare una donna rara che mi tengo stretta, più intelligente e più colta di me».
Si ritiene incolto?
«Leggo molto e cerco di recuperare, ma mi manca la formazione di base. Oggi mi rammarico di essere stato un adolescente pluribocciato, in preda agli ormoni e agli eccessi aggressivi».
Che cosa combinava?
«Picchiavo, ero violento, mi ficcavo in tutte le risse. A 16 anni per menar le mani facevo il buttafuori al Piper. Quando mio padre lo venne a sapere, al grido di "fascista, fascista" mi levò il motorino e mi mandò a fare pugilato. Ho preso molti cazzotti e mi sono definitivamente calmato. Vuole sapere che futuro prevedeva per me all'epoca? ». Sentiamo.
«O pappone o attore».
Al dunque le è andata bene.
«Sì, però ho sfiorato anche l'altro mestiere. A 17 anni in Grecia con un gruppo di coetanei, tutti in sacco a pelo, mi feci mantenere per una settimana da una trentenne che alloggiava all'Excelsior. Di notte buttavo il cibo dalla finestra ai miei amici. Quando mio padre lo seppe si fece un sacco di risate».
Da L’Espresso, 28 Febbraio 2008