Il prodigioso "finale di partita" di Calindri (lo ricordiamo tutti, a 87 anni suonati, saltellare con l'agilità di un giovane mimo in un musical ispirato a Colette) ha finito da ultimo col sovrapporsi, quasi nascondendola, alla sua lunga storia d'artista. Era come se, una volta diventato il più vecchio dei grandi vecchi della scena italiana, Calindri fosse stato in qualche misura spossessato o, chissà, alleggerito del proprio passato.
Un passato ce l'aveva, invece: è molto più ricco, più sfaccettato - e, almeno potenzialmente, molto più complesso - di quanto non risulti dalle etichette sotto le quali lo si trova tuttora registrato (si consulti, per riprova, una qualsiasi enciclopedia dello spettacolo) nel repertorio dei luoghi comuni critici: attore brillante, attore gentleman, attore nato con lo smoking... Tutto vero; ma basta ricordarlo in una delle edizioni del pirandelliano "Pensaci, Giacomino!" delle quali, nel corso degli anni è stato protagonista per sapere con certezza che le sue risorse di interprete erano anche altre, che dietro o sotto l'arguta, impeccabile, calibratissima scioltezza mondana dei suoi gesti e della sua voce potevano vibrare, all'occorrenza, corde assai più gravi e dolenti. E si può forse rimpiangere che alla fine - da quando si era trasformato, appunto, nel Grande Vecchio per antonomasia, aveva dunque acquistato, almeno sulla carta, il privilegio di una sorta di impunità dalle soffocanti leggi del mercato - Calindri non abbia avuto il guizzo di coraggio o di follia necessario a regalarci, che ne so? un suo Strindberg, un suo Cechov, un suo Shakespeare... Ma parlare di ciò che avrebbe potuto darci e solo in parte ci ha dato (forse anche, chissà, per un eccesso di scrupolo, di modestia, per quella tendenza a non evadere dal proprio "ruolo" che in certi caratteri si accompagna al senso del dovere e del decoro) è soprattutto un modo per ringraziarlo del molto che ci ha dato e che fa di lui un esempio difficilmente uguagliabile di professionalità messa al servizio dell'arte o, se si preferisce, di talento artistico eroicamente adibito alle regole del "mestiere".
Da "Il Corriere della Sera", 10 giugno 1999