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La ruota delle meraviglie, il percorso di Allen verso la semplicità

Uno stile più essenziale conferma come l'idea che la tragedia della vita sia il fallimento sia ormai così solida da trasformarsi in accettazione.
di Elena Magnani, vincitrice del Premio Scrivere di Cinema

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Justin Timberlake (Justin Randall Timberlake) (43 anni) 31 gennaio 1981, Memphis (Tennessee - USA) - Acquario. Interpreta Mickey Rubin nel film di Woody Allen La ruota delle meraviglie.
lunedì 18 dicembre 2017 - Scrivere di Cinema

Un cerchio, una ruota, un ripetersi claustrofobico. Con una simbologia più esplicita che mai, La ruota delle meraviglie si presenta come l'ultimo riassunto delle ossessioni di Woody Allen: il caso, il destino, il libero arbitrio, il peso delle scelte, la colpa del fallimento, che si rimescolano in una ruota panoramica a tratti caleidoscopica. Del luna-park c'è lo scintillio formale e visivo, l'anima tragicomica e soprattutto l'inganno dello spettacolo, che si offre alle finestre dei protagonisti nello splendore delle sue attrazioni, così estranee in realtà alle loro vite piccole e fallite, così crudeli nel ricordargliene la nullità. Una metafora facile da piegare anche al cinema, che in fondo Allen, senza pudore, ha dichiarato di fare ormai solo per mantenersi in vita. E poi ovviamente nella ruota c'è il circo del grottesco e c'è il teatro, citato come non accadeva da La dea dell'amore: Ginny, Humpty, Carolina e Mikey si affannano, si rincorrono, litigano e si disperano senza pace sempre nella stessa stanza, come vorrebbe la tragedia greca, regalando nelle ultime scene persino un lungo monologo.

Il divertimento del primo Allen è andato perduto e rimpiazzato da un'ironia amara che prende in giro i suoi personaggi, che corrono sulla loro ruota delle meraviglie senza arrivare da nessuna parte. Anche la magia è scomparsa: la wonder wheel di Coney Island prova a rievocarla nel suo sfavillio per mascherare la desolazione della realtà, ma si tratta di un incantesimo superficiale, di un'illusione ottica che si rivela ben presto falsa.
Elena Magnani, vincitrice del Premio Scrivere di Cinema

C'è insomma l'intera poetica di Allen, riproposta quest'anno in una variazione melodrammatica. Era umoristica in Cafè Society; filosofica in Irrational Man; romantica in Magic in the Moonlight, rumorosa in To Rome with Love e sofisticata in Midnight in Paris. C'è chi dice che la Storia si ripeta e sicuramente si ripete anche Woody Allen, senza chiedere scusa, senza far finta di avere nuove cose da dire. Manca però questa volta il bagliore maturo che si leggeva in Blue Jasmine, tra i tanti il più simile a La ruota delle meraviglie, che ne sembra un rifacimento proletario. Come Jasmine anche Ginny è una donna frustrata nelle sue ambizioni, che non riesce ad ammettere il vuoto della sua vita, che affronta il suo fallimento: ma la sua non è stata una caduta, quanto un lento progredire verso l'insuccesso. Con meno rabbia, meno astio e più pathos.

Anche la trama si spoglia dei personaggi e dell'introspezione per proporre delle macchiette già viste: l'aspirante intellettuale, l'alcolizzato impenitente, la casalinga disperata, la figlia in crisi. Al loro posto si esprimono le luci, passando dal caldo al freddo nell'arco della stessa scena, cercando di raccontare i loro drammi senza parole. Si può allora apprezzare che Allen, anno dopo anno, stia raggiungendo la semplicità: che il suo stile si stia facendo più essenziale e cristallino; che la sua convinzione che la tragedia della vita sia il fallimento si sia ormai fatta così solida da trasformarsi in accettazione. Ma proprio per il ciclico ripetersi dei suoi temi cari, Allen si è condannato da solo al paragone con i suoi capolavori, che oggi ha superato in estetica ma dai quali si lascia superare in contenuto.


RECENSIONE

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