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Violette il film: pura cultura francese

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto una scena di Violette

domenica 5 luglio 2015 - Focus

Il regista Martin Provost racconta in Violette la storia di Violette Leduc, scrittrice francese attiva, soprattutto, negli anni quaranta e cinquanta. Trattasi di opera benemerita e onesta, che guarda a se stessa ignorando completamente la mediazione col pubblico. Per chi si interessa di letteratura è un vero master, fatte tutte le debite, e indebite proporzioni che riguardano le possibilità, limitate, del cinema di raccontare la cultura, per lo meno in profondità. Ma anche nel quadro di questi limiti il film, ribadisco, è importante. Nel multisala dove l'ho visto era relegato in un ambiente quasi domestico, un centinaio di posti, dei quali ... pochi occupati. Dal 9 luglio alla biblioteca Sormani, all'aperto, come tutti gli anni organizzo una serie di film a tema. Quest'anno si tratta della vita degli scrittori. Saranno cinque film con le cinque rispettive vite: Duras, Lilly Hellman, Maugham, Capote e Fitzgerald. In un paio di questi film si incrociano altri autori, come in Giulia dove Jane Fonda fa la Hellman e Jason Robards è Dashiell Hammett, il suo compagno. In questo senso Violette è davvero il paese delle meraviglie. Se avessi potuto disporne, il titolo sarebbe stato l'"eroe" della rassegna per qualità e numero dei personaggi. La Leduc era la figlia, sgradita, di una serva, siamo all'inizio de secolo scorso. Crebbe in mezzo ai traumi, sgradita e allontanata da tutti. Cercava di farsi piacere gli uomini ma le piacevano le donne, mentre lei non piaceva né agli uni né alle altre. Voleva vivere, provare, sperimentare, amare, essere amata e capita, e apprezzata. Le riuscì di essere capita e apprezzata, come scrittrice.
Perché sotto tutti quei dolori, quelle prove e quei demoni, c'era un grande talento per la scrittura. Il contesto era la Parigi del secondo dopoguerra, un contesto ardente, culturalmente decisivo, traboccante di intelligenze e di esempi che provocavano e cambiavano culture e abitudini. Ricercatori che si impegnavano su vecchi codici e vecchie regole e ne dettavano di nuove, in tutti i campi e sentimenti, a cominciare da quello sessuale. E in questo senso Violette era una precorritrice, costretta ad esserlo, per indole e ... disordine. Sposò un omosessuale che la respingeva, si innamorò di Simone De Beauvoir, la grande scrittrice, madrina di molte delle trasgressioni parigine di quella stagione. Violette l'aspettava nell'ombra e le saltava addosso, cercava di baciarla, ma l'altra, come tutti, come tutte, si ritraeva.
Eccole quelle intelligenze. Gente come Jean Genet, Jean Cocteau, Jean Paul Sartre, Albert Camus, questi due ultimi, premi Nobel. E poi il gay ufficiale Maurice Sachs e la stessa Simone de Beauvoir. Ebbene tutti si presero cura della Leduc. Del suo talento e della sua intelligenza. Le davano soldi, la raccomandavano, la incoraggiavano, l' ascoltavano. Camus le fece pubblicare, da Gallimard editore importante, L'asphyxie, il romanzo che la fece conoscere. Violette aveva sempre vissuto barcamenandosi, fin da ragazzina, portando a casa qualche soldo con la borsa nera, sempre in contrasto con la madre Berthe, donna invasiva e in competizione, del tutto negativa, più odiata che amata dalla figlia. La de Beauvoir, grande intellettuale, compagna di Sartre finì per essere per la Leduc un esempio e un'ossessione. Simone, più organizzata e inserita nei vari ambienti dell'intelligenza, trasgressiva a oltranza, aveva imposto la sua idea sul sesso libero, pagando anche un prezzo alto quando venne interdetta all'insegnamento per una relazione lesbica con una sua studentessa. Meno organizzata ma più istintiva Violette trasmise nella scrittura la violenza, e la poesia, delle sue attitudini e dei suoi demoni. Quando scrive La bastarda racconta tutto di se stessa tutte le intimità, le fantasie adolescenziali mai risolte o risolte male, un aborto in stato avanzato di gravidanza. Iperrealista, con un forza poetica in più. Il regista Provost indirizza Emmanuelle Devos, che fa Violette e non è una bellezza ma neppure brutta com'era la vera Leduc, con buona potenza e onestà evidente. La fa corteggiare da un uomo bello che, finalmente, fa l'amore con lei. Nell'insieme complesso, infinito di emozioni, di fantasie, di dolori, di scelte e di risoluzioni non risolte, il regista stralcia una frase della scrittrice: "Tenere in mano il membro di un uomo è barocco, ma è la radice della vita." Una didascalia che fa testo racconta che Violette è stata la prima scrittrice a descrivere in modo così diretto il desiderio femminile.

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