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La trattativa: il paese, morto, secondo Guzzanti

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti


domenica 19 ottobre 2014 - Focus

Ho atteso che l'affaire Guzzanti, percorresse la sua traiettoria di polemiche per scriverne. Il famoso tweet in cui la regista esprimeva solidarietà ai due mafiosi inibiti a testimoniare e ammiccava al coinvolgimento del Presidente della repubblica, ha ottenuto quello che la Guzzanti voleva, la grancassa. Ci voleva, perché quando ho visto il suo film La trattativa, all'Apollo di Milano, in sala c'ero io, solo. Poi la grancassa qualcosa ha prodotto, il sedicesimo posto al box office italiano. Come sempre mi astengo dalla politica, rimango ai fatti oggettivi. In breve: il film racconta della trattativa, appunto, che sarebbe quella intercorsa fra mafia e Stato dopo le stragi di Roma Milano e Firenze, e le uccisioni dei giudici eroi. La materia è la solita, che conosciamo. Passano collaboratori di giustizia, pentiti, connivenze politiche, processi per mafia, per associazione mafiosa e quant'altro. I nomi, che non faccio, -li abbiamo letti e sentiti davvero troppe volte- sono i soliti che da circa vent'anni rimbalzano tutti i giorni, a tutte le ore, nel tigì, nel talk, negli approfondimenti, nei servizi cartacei. Tutto ci è stato spiegato, fino all'esaurimento e all'angoscia. Tutto è stato documentato, attraverso verbali, intercettazioni, testimonianze. Accade spesso, da noi, che la rappresentazione proceda per stadi. Le piattaforme che ho detto. Ma poi arriva il modulo finale, il film, cioè la fiction, cioè l'invenzione. E, è notorio, la fiction tutto può permettersi. In un talk il conduttore, che parte quasi sempre da una posizione di faziosità, che può essere legittima, è costretto a ospitare una parte e una controparte. E' un equilibrio indispensabile di idee e...di litigio. La fiction non ha questo dovere, può procedere su un'unica via, su un'idea aprioristica dell'autore e l'autore ti dice: accettala, perché mi sono documentato. Ma nel film della Guzzanti non è davvero facile accettare tutte le idee. Non bastano i documenti acquisiti e accreditati, semplicemente perché i documenti non bastano alla verità. Abbiamo imparato nell'era recente che persino il dna che dovrebbe essere qualcosa di scientificamente univoco, non lo è. Dunque nel film lo Stato si muove secondo le minacce e i ricatti della mafia. E Stato significa tutti, proprio tutti gli esponenti delle più alte istituzioni fino alla più alta. Davvero edificante. Guzzanti racconta attraverso un gruppo teatrale che guarda la televisione, prende atto e poi ogni attore entra nelle sembianze di un personaggio dell'"affaire". Continuo a non fare i nomi, i soliti. Dunque l'abbrivio è complesso e confuso: un'opera sincretica, fra teatro, televisione e cinema. Ma il miscuglio non funziona, il racconto zoppica e gira su se stesso, senza chiarezza e senza efficacia. In una sequenza la stessa Sabina afferra un secchio d'acqua, cambia ambiente e l'acqua finisce addosso a un mafioso torturato dalla polizia. In una riunione di boss mafiosi, in un angolo, nella penombra ci sarebbe un tale dei servizi segreti, indossa un impermeabile, un cappello largo e un paio di occhiali che nascondono il viso. E' più grottesco del Bogart finto di Woody Allen. Ho sempre molto apprezzato la Guzzanti, per intelligenza, profonda capacità comica e anche appeal: rivaleggiava nella sua performance sexy, con la Marini. Era convincente anche nel suo Draquila, dove raccontava la tragedia del terremoto dell'Aquila e denunciava il falso miracolo della ricostruzione. Ma allora c'era ancora una guerra da combattere, adesso non più. Ne La trattativa Guzzanti rifà la gag dell'ex Presidente del consiglio ed è qualcosa di esausto e sorpassato. Com'è esausto e sorpassato il modello. La regista è un soldato che fa la guardia, a niente. Fiction: mi concedo qualcosa anch'io, come Guzzanti, che chiamerò Hiroo Onoda: nome che dice poco o nulla, ma è un altro eroe della guardia al niente. E' il giapponese che nel 1944 ebbe l'ordine di tenere la posizione in un'isola delle Filippine. La tenne fino al 1974, non si era accorto che la guerra era finita da 29 anni. Un nome più famigliare è quello di Riccardo cuor di leone. Lo immagino che arriva in Terra santa dove è rimasto un accampamento dismesso, e il Saladino non combatte più, è in un padiglione lontano, col suo harem. La Crociata è inutile. Pasolini diceva "siamo tutti in pericolo" era il 1975. Lo sappiamo, è così anche adesso. E allora concludo e ti dico, Sabina, non attaccare gli ultimi anticorpi che ci rimangono, per la sopravvivenza. Le cattive notizie continuano ad esserci dispensate come ho detto sopra. Non ci servono creativi che rendano quelle notizie ancora più cattive. Un po' di pietà, per favore. Per fortuna, ribadisco, in sala ero solo.

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