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Road to the Oscars

Il senso degli Academy Awards per il cinema.
di Roy Menarini

Tra i nove lavori che si contenderanno l'Oscar 2013 come miglior film, i due grandi favoriti sono Argo e Lincoln.

domenica 24 febbraio 2013 - News

Gli Oscar sono come Sanremo. Puoi anche credere di essertene liberato, ma poi scopri che la capacità di adattamento della kermesse supera qualsiasi tramonto e qualunque tentativo di imitazione. E poi, perché dovremmo liberarcene? L'idea di competizione - che alcuni considerano più sensata per lo sport che per un'arte - è impossibile da sradicare, e fa parte del gioco, in tutti i sensi. D'altra parte, proprio nei mesi scorsi una rivista importante come Sight&Sound ha decretato, coinvolgendo centinaia di critici e storici del cinema, una classifica dell'intera storia del cinema. Anche le persone serie amano divertirsi con premi e classifiche, e mai come nell'epoca del web queste graduatorie, grandi e piccole, si sono moltiplicate.

Gli Oscar, sebbene affiancati da decine di altre premiazioni (prima fra tutte il Golden Globe) mantengono stabile il proprio primato, e celebrano la cultura del cinema visto in sala. Per farlo, negli ultimi anni l'Academy ha quasi automaticamente privilegiato il cinema di maggior impegno e ignorato la dimensione spettacolare dell'industria, quasi avesse paura dei mostri dell'intrattenimento mediale capaci di divorarsi la settima arte - la vittoria di Hurt Locker su Avatar ne è stata la conferma più trasparente.

Gli Oscar fanno anche annusare l'aria che tira. Prevedibilmente, questo 2013 sarà segnato dall'euforia per la rielezione di Obama. Il favorito Argo rappresenta, se non un film di propaganda, un ottimo esempio di cinema politico liberal e a favore di un'America forte nel mondo ma non violenta, testarda e capace di proteggere i suoi cittadini. La "favola" di Re della terra selvaggia, a sua volta, oltre a inaugurare la categoria (morale) di "film amato dal Presidente degli Stati Uniti", racconta anche della vicinanza sempre più stretta tra mondi un tempo inconciliabili, il Sundance e l'Academy - come già accaduto per Precious, altro film citato e difeso da Obama durante il suo primo mandato. Di Lincoln e della sua potenza di fuoco storiografica, guardata attraverso il democratismo sofferto di Steven Spielberg, non si può certo dire che sia indipendente dai temi della politica governativa USA, e così si potrebbe dire anche di Django Unchained. Si potrebbe, ma con un distinguo. In fondo, come commentato da autorevoli critici, la coppia Django-Broomhilda rappresenta la versione "uncorrect" di Barack e Michelle, una negritudine che si prende la sua libertà, che si vendica dei razzisti, dentro un'America di bounty killer e ricchi bianchi usurpatori, tanto da far ricordare le tesi di Frantz Fanon, filosofo e combattente nero, idealista delle rivoluzioni africane e sostenitore di una decolonizzazione violenta. E che dire di Zero Dark Thirty, opera a dir poco controversa di Kathryn Bigelow, segnata da un oggettività talmente veritiera da far discutere polemicamente i commentatori schierati su interpretazioni del tutto opposte del film, tra chi lo considera un inno alla tortura e chi un attacco ai metodi della CIA. Saranno queste - di Tarantino e Bigelow - le punte di un cinema molto candidato ma poco vincente, proprio perché meno pacificatore e troppo critico nei confronti dell'identità nazionale? Lo scopriremo presto: basta dire che, comunque vada, l'annata hollywoodiana è stata tra le più proficue e intriganti degli ultimi anni.

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