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La politica degli autori: Matteo Garrone

Un cineasta con l'ossessione del perturbante, estetico e antropologico.
di Mauro Gervasini

In foto Matteo Garrone, al photocall di Reality a Cannes.
Matteo Garrone (55 anni) 15 ottobre 1968, Roma (Italia) - Bilancia. Regista del film Reality.

mercoledì 3 ottobre 2012 - Approfondimenti

Dal nero dello schermo si compongono i titoli di testa, e proprio mentre campeggia la scritta tendente al fucsia di Gomorra, un neomelodico napoletano canta questa strofa: «La nostra storia sembra scritta da un cartone o una Tv... sintonizzato al nostro amore fino al 3003». Un attimo prima tre camorristi sono stati brutalmente accoppati mentre facevano bagni di sole, in un prologo dal décor fantascientifico. Matteo Garrone (Roma, 15 ottobre 1968) è cineasta amante dei contrasti, ma per attraversare brevemente il suo cinema vorremmo evitare frasi fatte e banalità. L'immaginario è complesso e sfugge alle formule. Certo i suoi film, a partire da Estate romana (2001), che soprattutto da un punto di vista narrativo è l'importante preludio ai titoli successivi, hanno in comune un'ossessione: quella del perturbante. Sia esso estetico o antropologico. Anzi, la sintesi di Reality, attualmente in sala, è che non vi sia più soluzione di continuità tra lo schema mentale della rappresentazione di una realtà (il piano estetico...) e l'adesione dei corpi e delle menti (...quello antropologico). Garrone cita spesso Federico Fellini. Due momenti rimandano all'incipit della Dolce vita: all'inizio di Reality arriva in elicottero sopra scorci di periferia napoletana indifferenziata un divo del Grande Fratello che si è riciclato come animatore di matrimoni e discoteche. A un certo punto di Gomorra, invece, a calare dall'alto sulle Vele di Scampia è la statua di Padre Pio. Senza contare altri rimandi espliciti a Lo sceicco bianco. Anche se pare Ginger e Fred il modello più urgente, considerato didascalico solo perché ante litteram, ma al quale deve molto Reality. Il cui senso definitivo fa però venire in mente soprattutto David Cronenberg, a partire da una comune intuizione: non è più la televisione a essere scambiata per realtà, ma la realtà a essere vissuta come televisione. Un po' il senso impattante di Videodrome: la televisione come putrefazione della realtà, intimamente connessa.

Il cinema di Garrone è all'apparenza ricco di personaggi fuori dal comune, estremi. Un meticoloso orafo vicentino che costringe la sua amante a diventare anoressica (Primo amore, 2004); un imbalsamatore dalle sembianze ingenerose ossessionato dal suo aitante apprendista (L'imbalsamatore); due ragazzi che imitando Scarface rubano armi alla camorra "giocando alla guerra" (Gomorra, 2008); un pescivendolo che in attesa di una chiamata "certa" dal Grande Fratello sviluppa un misto di paranoia e schizofrenia delirante (Reality). Il loro habitat è descritto di conseguenza. Il Veneto inghiottito dalle ombre di Primo amore. Il casertano postatomico contrapposto all'uggiosa e lovecraftiana Cremona di L'imbalsamatore. La degradata ma a tratti sgargiante periferia napoletana, inquietante mix di postmodernità e arcaismo plebeo, di Gomorra e Reality. I luoghi, anche quelli minimi come un centro estetico, una piscina o l'interno involgarito di una casa del 700 (dove abita Aniello Arena in Reality, per intenderci) sono la proiezione architettonica, o urbana, del mutamento antropologico; per questo nel cinema di Garrone sono così pulsanti e vivi, diremmo organici come la materia biotecnologica di un racconto di fantascienza. Il regista, anche in recenti interviste, insiste nel voler collegare il proprio racconto alla dimensione fiabesca, contrapposta al realismo attraverso il quale erroneamente vengono letti i suoi film. La fiaba però vale come archetipo, poi si sviluppa visivamente in qualcosa d'altro, di più. Per dire: la scena con Ciro e Marco nel bosco di Gomorra, peraltro ispirata da un disegnatore immaginifico come Toccafondo, parte sì dalla fiaba ma approda all'horror; mentre il cocchio di Cenerentola che seguiamo all'inizio di Reality fa il suo ingresso in un mondo ballardiano, televisivo e distopico insieme. Per tornare ai contrasti: un iperrealismo della fantasia.

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