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I colori della passione, nell'arte il senso dell'esistere

Majewski fa del Cinema uno strumento di riflessione teologica e storica.
di Giancarlo Zappoli

In foto una scena del film I colori della passione di Lech Majewski.

lunedì 2 luglio 2012 - News

Pieter Bruegel (detto Il Vecchio per distinguerlo dal figlio primogenito detto Il Giovane) nasce tra il 1525 e il 1530 e muore nel 1569. Il suo decesso avviene quindi a un'età che noi non consideriamo nell'ambito dell'anzianità. Il suo essere Vecchio sta quindi nella paternità di un primogenito che seguirà le sue orme ma anche in quella di una pittura che coglie e sa esprimere il sottile confine che separa le vicende quotidiane da quelle universali. Con I colori della passione (in streaming su MYMOVIESLIVE! fino a domenica 8 luglio) Lech Majewski il Vecchio (ho avuto modo di conoscerlo personalmente ma non so se abbia un successore definibile, come per Bruegel, Il Giovane) ha deciso di cogliere l'intimità di un Maestro mostrando come la complessità (e l'apparente banalità) del presente abbia bisogno dello sguardo dell'artista per potersi tradurre, senza forzature, in riflessione 'alta'.

Entrambi modulano la loro espressione artistica sulla figura del cerchio. Bruegel (che aveva trovato nel banchiere Niclaes Jonghelinck un mecenate) individua, grazie all'estro inventivo di Majewski, nella tela del ragno il focus su cui costruire una sua visione del mondo che passa attraverso la Passione di Cristo per puntare a quella dell'umanità intera.

Il suo Maestro decide di lavorare con la stessa strategia dell'aracnide il quale ha ben chiaro quale sia il centro della propria tela e il suo scopo. La circolarità in Bruegel coinvolge le mura della Città (sovrastata dall'Albero della Vita) in contrapposizione al Cerchio funebre (a destra del quadro) di chi attende solo di poter assistere a un'esecuzione e che merita che a sovrastarlo ci sia unicamente la ruota dell'esposizione alla Morte, strumento di tortura tra i più esecrabili. Ma la dimensione del cerchio si esalta in un film che si apre su una notte in cui delle torce fanno luce così come il regista vorrebbe tentare di illuminare i significati più nascosti di un'opera d'arte. Dalle ruote che consentono al Mulino di trasformare il grano in farina fino al ballo finale la circolarità domina sia visivamente che concettualmente.

All'interno di essa agisce una visione che ci si aspetterebbe centripeta (il Cristo e la sua Passione) ma che si rivela invece centrifuga. Il Gesù di Bruegel/Majewski è al centro dell'azione con la sua caduta sotto il peso della Croce ma chi lo circonda non ne percepisce l'essenzialità preferendo volgere lo sguardo o verso il Calvario o verso il Cireneo che viene strappato alla sua compagna per trovarsi costretto ad aiutare il Cristo. L'intervento di Majewski non si riduce a una sorta di osservazione entomologica dell'opera d'arte utilizzando freddamente ciò che la tecnologia gli mette a disposizione. Va oltre sotto più punti di vista. Così come inizialmente aveva utilizzato il linguaggio cinematografico con le dissolvenze incrociate con cui ci faceva entrare in contatto con il bosco da cui si sarebbe tratto il legno per realizzare la Croce, così fa del Cinema uno strumento di riflessione teologica e storica. Il Dio di Majewski è chiuso non più in una torre d'avorio ma in un mulino da cui domina il mondo che ha creato con sguardo distante pur offrendogli la farina per le Ostie. Ma anche l'artista (e quindi il regista) è un dio, seppure minore. Può condensare in un quadro/fermo immagine il senso complesso dell'esistere. Può fare di una tela un grido di protesta nei confronti di un'oppressione e può vedere nel Cristo una "minaccia per ogni idiota pericoloso il cui interesse non coincideva né con Dio né con gli uomini ma con le sue miserabili certezze ed il proprio potere". Il re spagnolo che devasta l'amore di una coppia per uccidere un eretico pretende di difendere Gesù ma è lui stesso, nell'opera di Bruegel, a metterlo a morte con i suoi sgherri prezzolati. La lettura degli avvenimenti può essere quella, circoscritta, del banchiere che vede nel Calvario il tentativo di schiacciare la Riforma. Ma lo sguardo può essere più ampio e complesso grazie a quell'umanità variegata che Bruegel sapeva osservare e che Majewski ci ripropone con una finalità precisa. Ci ricorda infatti, nella sequenza finale. quanto sia sterile 'rinchiudere' le opere d'arte in musei finendo così per ammirarle senza amarle (e quindi comprenderle) nella loro infinità attualità. Un'attualità che il cinema sa spiare così come uno tra i più piccoli tra i figli del pittore spia la nudità della madre. Senza malizia ma con stupore e curiosità dinanzi alla manifestazione della perfezione della bellezza.

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